giovedì, ottobre 01, 2009

La vita del sig. B - 14

SILVIO STORY

14

COSI’ BERLUSCONI PRENDE TUTTO

di

Claudia Fusani

Alla fine, sarà tutta colpa di quella scena d’amore sulla spiaggia tra padre Ralph e la bella Rachel Ward,

i protagonisti di Uccelli di Rovo.

È il novembre 1983.

Le disposizioni della Corte Costituzionale, vecchie di sette anni e ripetute quattro volte,

perché il Parlamento dia regole certe restano parole al vento.

Sono quattro i poli privati.

Il primo è quello di Berlusconi.

Ecco il destino degli altri.

- Rizzoli si fa fuori da sè nel 1981 quando saltano fuori le liste della P2.

- Rusconi, l’editore di Gente e Eva Express, possiede Italia 1 (18 emittenti locali, palinsesto ad alto gradimento, Candy Candy a Morky & Mindy)

- ma lascia nell’agosto 1982 quando la tv ha appena otto mesi di vita.

Ai senatori che nell’88 indagano sull’emittenza televisiva lo stesso Rusconi dice d’essere uscito

«pur avendo una posizione quasi preminente perché il nostro concorrente fruiva di un flusso di denaro illimitato».

Berlusconi compra Italia 1 per 32 miliardi.

Nel giugno 1983 si vota, Craxi ha ben chiaro il potere della tivù per la creazione del consenso, Canale 5 e Italia 1 insieme

garantiscono un’alta copertura e appoggia, in tutto e per tutto, l’amico Silvio.

Resta Rete 4 del gruppo Mondadori-Caracciolo-Perrone, magazzino con duemila ore di intrattenimento:

La schiava Isaura, Dancing days, Dynasty.

Il duello finale si combatte nell’autunno del 1983.

Rete 4 punta sul più “impegnato”, si fa per dire, Venti di Guerra,

20 miliardi per assicurarsi la saga con Robert Mitchum e Ali Mc Graw.

Canale 5 spende molto meno e punta sulla pruderie del sacerdote bello e impossibile che s’innamora.

Vincono Padre Ralph e Canale 5: nell’agosto 1984 Berlusconi acquista frequenze, bande e magazzini di Rete 4 per 135 miliardi.
A fine ’84 la Fininvest ha tre reti come la Rai ma, a differenza della tivù pubblica, si muove in totale assenza di regole.

Dal Parlamento, infatti, nessuna novità.
Nel frattempo sono successe altre due cose:

il sistema delle cassette (1982) e Craxi presidente del Consiglio (giugno 1983).

Il “sistema delle cassette” è banale quanto illegale ed è la vera svolta per il Cavaliere.

Lo inventa un avvocato, Aldo Bonomo, che gioca su un concetto ambiguo quanto geniale:

interconnessione strutturale (quella della Rai) e interconnessione funzionale delle reti Fininvest,

che per legge dovrebbero trasmettere solo in ambito locale.

Tradotto: anche se le antenne del Biscione, a forza di acquisti, coprono tutto il territorio nazionale,

non possono avere la programmazione in simultanea.

Un limite enorme per gli inserzionisti, risolto appunto col “pizzone” o “sistema delle cassette”:

ogni giorno partono da Segrate venti cassette registrate che i venti capi zona mettono in onda in simultanea.

Il limite voluto dalla Consulta - privati via etere ma solo in ambito locale - è palesemente aggirato.
Se nel 1980 il fatturato Fininvest ruota per il 60 % intorno al settore edilizio, quattro anni dopo la situazione è ribaltata:

l’85 per cento del fatturato arriva dalle tivù.

Un fatturato, si può dire, fuori legge.
Bisogna aspettare il 16 ottobre 1984 perché qualcuno faccia qualcosa.

Ci pensano i pretori (comincia qui la tiritera dei “giudici comunisti”) a dare uno stop.

I decreti penali di Giuseppe Casalbore, pretore di Torino, Eugenio Bettiol (Roma) e Nicola Trifuoggi (Pescara)

disattivano le interconnessioni oltre l’ambito locale.

Berlusconi potrebbe continuare in ambito locale ma alza il tiro, denuncia l’”oscuramento” deciso dai pretori.

Fa la vittima, organizza la serrata e scommette sul populismo.

Fa leva sugli orfani dei Puffi e delle telenovele, dei quiz e dei film.

La politica, ancora una volta, balbetta, non capisce o, se capisce, non sa che fare.

Craxi ha gioco facile sabato 20 ottobre quando, anticipando di tre giorni il Consiglio dei ministri,

riaccende le tivù di Berlusconi con «un decreto - spiega - che ripristini il buon senso».

La P2 è sciolta ma con Berlusconi e Craxi l’obiettivo di Gelli di

«dissolvere la Rai in nome della libertà d’antenna»,

sopravvive.

Da quei primi anni ottanta si va avanti con situazioni illegali, monopoli selvaggi, ritardi.

La guerra delle tivù è un capitolo della storia italiana mai chiuso, neppure dai governi di centrosinistra.
Diremo qui solo, e velocemente, che il decreto Craxi non viene convertito in legge il 28 ottobre 1984.

Che il giorno dopo i pretori fanno nuovamente staccare le interconnessioni.

Che Craxi mangia la foglia e capisce che per far vincere Berlusconi deve dare qualcosa

anche alla Rai e ai partiti di riferimento, Pci compreso.

Il 6 dicembre 1984 prende corpo il decreto Berlusconi-Agnes

che diventa legge a colpi di forzature, proroghe, e votazioni di fiducia.

Il tutto protetto e benedetto da Craxi, e non solo.

Mai, osservano le opposizioni, c’è stata nella storia della Repubblica,

“una saldatura così forte tra un gruppo politico e un singolo imprenditore”.
Cinque anni dopo, il 6 agosto 1990, la legge che porta il nome del ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni Oscar Mammì (repubblicano),

che amava ripetere

“la politica è morta, viva la pubblicità”,

si limita a fotografare l’esistente, il duopolio Rai-Fininvest senza un vero tetto pubblicitario e spot senza limiti.

Una legge incostituzionale, fotocopia del decreto Agnes che la Consulta boccerà nuovamente il 5 dicembre 1994.

Si dice che quando le cose cominciano male, poi vanno avanti ancora peggio.

La nascita delle tivù private in Italia era cominciata malissimo.

(14/continua)

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