sabato, luglio 29, 2006

Spigolature...turche



SPIGOLATURE


COSI' o COSI'?





Forse non tutti sanno che ....

l' Unione Europea, a seguito della richiesta di ammissione nell’ambito comunitario avanzata dalla Turchia, ha rivolto a questa nazione svariate raccomandazioni affinchè procedesse in tempi relativamente brevi ad eliminare molte anomalie in quel paese ancora esistenti sia in materia etica – giuridica che di costume.
Dai diritti umani, spesso duramente calpestati, a certe usanze, retaggio di un’epoca arcaica che si perde nella notte dei tempi, non più compatibili con il grado di civiltà raggiunto nel nostro continente, sia pure con molte differenziazioni tra nazione e nazione, specialmente avuto riguardo alla parità dei diritti tra uomo e donna nella società, nella vita di tutti i giorni sia pubblica che privata.
Inbuona sostanza l’invito rivolto potrebbe racchiudersi in una sola ma significativa parola: modernizzatevi !
Su questo invito non c’è certo da scandalizzarsi ove si consideri che in molti dizionari turchi trovano spazio ancor oggi molti proverbi derivanti da una cultura primitiva aventi un senso poco civile nei confronti delle donne ma che in quella nazione anatolica sono ancora vivi e vegeti, nonostante che anche una donna sia stata di recente designata alla carica di “ministro” e che vi siano donne imprenditrici e tra i magistrati.
Infatti, una delle richieste di “modernizzazione”, da attuare subito se Ankara vuole entrare nel consesso europeo, è quella di togliere, perché si incominci a procedere verso una società avente il principio egualitario tra uomo e donna, a togliere da questi dizionari tutti quei proverbi “infamanti e dispregiativi”.
· “ad un buon cavallo basta poco cibo, così come a una buona donna basta un paio di mutande”;
· “la schiena di una donna non va lasciata senza bastonate, e la pancia non va lasciata senza bambini”;
· “come non è buona il mais raccolto dopo il mese di agosto, così non è buona la donna che si alza dopo il marito”.
Ma se la “modernizzazione” di un Paese deve partire da cos’ in basso, quanti secoli ancora occorreranno perché la Turchia possa non dico eguagliare ma quanto meno avvicinarsi alla civiltà europea di oggi , pur anch’essa non esente a cominciare dalla nostra Italia da clamorosi esempi di “disuguaglianza” in molte leggi e nei costumi, specie nel nostro sud ?
In molti, anche tra di noi italiani, hanno espresso opinioni contrarie all’ingresso della Turchia nella UE anche se la sua allocazione territoriale assume per l’Europa tutta, e non solo, un’importanza estrema nello scacchiere medio-orientale; ma la differenza di usi, costumi, legislazione sociale e religioni possono nel loro insieme costituire degli ostacoli insormontabili perché si possa arrivare ad una completa integrazione con le nostre popolazioni, europee da sempre.
Teniamo a mente quanto sta accadendo in quella parte del mondo, specie in Iraq dove etnie diverse sono divise da un odio pregresso mai sepolto con il passare degli anni; consideriamo poi che proprio ai confini che la Turchia ha con la Siria e lo stesso Iraq, dove la stragrande maggioranza della popolazione è di origine curda, vige tuttora una tradizione altamente disumana, quella degli “omicidi di onore” di donne colpevolizzate di avere infangato il buon nome della famiglia solamente per aver osato di rivolgere un solo sguardo ad uno sconosciuto.
Comportamento questo ritenuto gravissimo in quanto integrante un vero e proprio “atto di ribellione” nei confronti della famiglia di appartenenza.
Il tutto anche se è di questi tempi che il governo turco, dietro pressanti inviti giunti da Bruxelles, ha inasprito le pene contro i “delitti d’onore”; ma, ciò nonostante, parrebbe che questa pratica indegna di ogni Paese civile non sia stata nella pratica del tutto sradicata.
E del tutto sintomatico come un conto sia cambiare una legge ed un altro sia quello di poter cambiare la mentalità di una popolazione ottenebrata da antiche tradizioni misogine; prova ne sia che se da un lato sono statisticamente diminuiti gli omicidi, dall’altro sono aumentati i suicidi di quelle che vengono definite “vergini suicide, ragazze che si tolgono la vita su pressione della propria amorevole famiglia.
Almeno così ci raccontano le fonti di stampa turca.
Anche se da noi i casi di suicidi – omicidi non sono rarissimi, ma in altri campi e per motivi differenti !

mercoledì, luglio 26, 2006

La Corte dei Conti e le magie di Tremonti



Forse credeva di produrre l'emmenthal svizzero, solo che gli sono riusciti solamente i....BUCHI.
Leggere per credere !

Anas: Corte Conti, buco da 3,75 mld

Sia coperto dal Tesoro o stop alle opere (ANSA)-ROMA, 26 LUG - La Corte dei Conti conferma il 'buco' del bilancio Anas: per il contratto di programma 2003-2005 risultano 'maggiori oneri' per 3,75 miliardi. La causa, secondo la Corte, e' l'omessa individuazione' a fine 2002 dei passivi residui nel passaggio dell'Anas da ente a Spa, da imputare ai software in uso. Da qui il caso degli stessi fondi assegnati a opere diverse, denunciato dal ministro Di Pietro. Spettera' ora al ministero del Tesoro trovare una copertura o ridimensionare le opere programmate.

Prima la Padania, adesso il Lombardo - Veneto



La cartina della Padania con le sue regioni con le relative lingue dialettali e lo stemma del Vittorio - Veneto.


L’inventiva dei politici della Lega Nord

Debbo doverosamente premettere che questo mio scritto non vuol essere una messa alla berlina del movimento leghista nel suo complesso né di alcuni suoi componenti di spicco, in quanto personaggi di ampia abilità, più che di cultura, politica senza i quali, pur rispolverando antiche radici e tradizioni risalenti addirittura alle “5 giornate di Milano” del 1948 e proseguite poi sino al 1859, allorchè Lombardia e Veneto, liberatesi dall’appartenenza al regno asburgico, entrarono a far parte del regno d’Italia, non poteva assumere una consistenza tale sì da condizionare alcuni nostri recenti governi.
Detto questo, ammetto in tutta sincerità che non ne condivido, tranne una, né le istanze né tanto meno i metodi cui sono ricorsi per portare avanti le proprie rivendicazioni, avendo coltivato e maturato col tempo in me una diversa convinzione politica ed una differente concezione della democrazia partecipativa e della Patria, per me unica ed indivisibile.
L’unica rivendicazione plausibile, a mio modesto giudizio, era e rimane tuttora quella relativa al “federalismo fiscale”, che poi, a ben vedere, era una vecchia proposta, rimasta inascoltata dai vari governi centristi succedutisi in quel tempo, portata avanti sin dagli anni 80’ dall’allora PCI.
Comunque sia mi pare giusto riconoscere ai vari Bossi, Maroni, Calderoli, ecc…. una notevole dose inventiva; sia nel bene che nel male.
In un primo momento si sono inventati di sana pianta una maxi regione, la PADANIA, annettendosi, idealmente, alcuni territori appartenenti per storia e per legge prima al regno e quindi alla Repubblica italiana: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria ed Emilia, ora Emilia – Romagna, con tanto di bandiera, parlamento, ministri, e via di seguito e, come contorno, una coorte di guardie padane appapocchiate in questa nuova ideale realtà territoriale.
Scalata al campanile di San Marco a parte, con la quale si voleva simboleggiare la conquista “manu militari” di questo esteso lembo di terra sottratto allo Stato centrale, la novella mediatica nazione stava per svanire nel nulla allorché venne salvata da un politico “fai da te” che volle sposare questo movimento politico padano onde ottenerne i voti ed i favori nel caso in cui avesse avuto la ventura di prevalere nelle elezioni politiche e capeggiare un governo “pro domo sua”.
E così avvenne ma per poco perché i “padani”, scocciatisi di fare i “portaborse” senza avere nulla in cambio, fecero cadere l’uomo di Arcore salvo poi, dopo tante battute sarcastiche, salaci e poco convenienti, riappacificarsi, avendo l’infedele ex alleato promesso l’attuazione di quella certa legge passata oramai alla storia come “devolution”.
Sappiamo, perché è storia di ieri, come questo rinnovato idillio sia stato sconfitto dalla maggioranza degli italiani e come sia andata a finire questa legge pro Lega bocciata nel referendum confermativo dalla stragrande maggioranza dei votanti.
Tuttavia in due regioni del nord, Lombardia – meno Milano - e Veneto per la precisione, ebbe a prevalere il SI confermativo della legge in parola.
Da questa circostanza inoppugnabile ecco la nuova idea separatista, quella di rispolverare, a conferma del loro millantato spirito progressista, il fu Lombardo - Veneto il cui antico stemma conteneva il “biscione”, simbolo della Milano dei tempi che furono (Mediolanum) ed il “leone di San Marco”, simbolo di Venezia.
Un’analisi molto superficiale dell’esito di questo voto “locale” vorrebbe fare intendere come i lombardo-veneti abbiamo voluto dare al governo centrale il segnale dell’enorme insoddisfazione degli operatori industriali ed economici i quali, oramai stanchi per la mancanza di infrastrutture degne di tal nome che impediva loro di incrementare i propri affari e quindi, in generale, la ricchezza regionale, volevano amministrare “in proprio” il regime fiscale per poter poi disporre a proprio piacimento dei fondi di cui alle entrate tributarie.
Ma se così fosse, cosa avrebbero da dire in proposito il centro-sud e l’Italia insulare per le poche e fatiscenti strutture realizzate da tempo immemorabile e mai modernizzate ?
Ricordate la “sparata” belusconiana”, appoggiata dalla gazzarra a comando da una ben identificata parte degli industrialotti veneti al congresso della Confindustria in quel di Vicenza ?
La realtà, tuttavia, è molto ben diversa da quella clamorosamente ostentata dagli interessati; certo da eseguire migliori strutture ce ne sono anche in quella regione ma le radici che legano mani e piedi la parte industriale veneta alla politica del centrodestra, definita bonariamente come la “questione settentrionale” è di tutt’altra natura: i condoni deliberati a getto continuo dal precedente governo hanno radicalizzato negli operatori economici il convincimento che il frodare impunemente il Fisco sia possibile ovvero, se scoperti, di uscirne fuori con cifre di gran lunga ridotte rispetto al giusto dovuto per legge.
La riprova ? Eccola: l’Agenzia delle Entrate del Veneto gestisce circa 400.000 partite IVA appartenenti a piccole imprese ed a lavoratori autonomi; cambiando il “vento” di direzione , ha deciso di esaminare una posizione IVA su dieci, equivalenti a poco più di 38.000 controlli con il risultato di appurare come il 96, 3 dei controllati avesse compiuto una frode per un totale complessivo di quasi un miliardo di euro !
Su 22 discoteche verificate almeno un giorno alla settimana gli incassi di queste giornate sono aumentati del 300 % rispetto agli altri non controllati !
Ma, guarda caso, la maggioranza dei casi di frodi al Fisco sono state riscontrate nelle province di Treviso e Vicenza, vere e proprie roccaforti leghiste, che peraltro vantano le più ricche piccole e medie industrie di tutta l’Italia.
Tutto qui:sembrerebbe inverosimile ma la c.d. questione settentrionale si identifica nel diverso modo di interpretare almeno due articoli:
· l’art. 5 “La Repubblica, una ed indivisibile….”
· L’art. 53 “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva…”.
Quella reale, beninteso, e non quella “simulata”!

lunedì, luglio 24, 2006

Ipotesi di modifica della nostra Costituzione - 1




Gli articoli relativi ai “Principi fondamentali”, regolanti i diritti ed i doveri dei cittadini, sono da considerarsi come “inviolabili” quali che siano le coalizioni politiche a governare nel tempo il nostro Paese.
E’ altresì “intangibile” la forma repubblicana dello Stato, già dichiarata dall’art. 139 come esclusa da qualsiasi revisione costituzionale.
Fatta questa debita premessa, il primo articolo da “riformare”, perché le leggi di modifica costituzionale non siano d’ora innanzi soggette al volere di una qualsiasi maggioranza, è l’art. 138 che nella formulazione attuale così recita:

“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle due Camere a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.”

La c.d. “devolution”è stata sottoposta di recente a referendum confermativo, dopo che l’apposito comitato antiriforma aveva raggiunto e presentato nei termini stabiliti oltre 500.000 firme di elettori e collateralmente appoggiato da 1/5 di deputati e da più dei previsti 5 Consigli regionali, perché nel secondo turno di votazione in Parlamento non era stata approvata dai 2/3 dei componenti di ciascuna Camera.
E’ questo stesso articolo che ci fornisce la chiave per la soluzione del problema ora in esame in quanto basterebbe spostare ed applicare la surrichiamata soglia dei 2/3, perché una legge possa considerarsi come approvata in via definitiva, senza possibilità di sottoporla a referendum, sin dalle prime due letture alle Camere.
Tale accorgimento avrebbe una valenza assai positiva sia in campo politico che economico; nel primo caso perché obbligherebbe gli schieramenti politici a confrontarsi per ricercare una soluzione condivisa mentre nel secondo si eviterebbero perdite di tempo degli addetti alla macchina elettorale, scuole comprese, e l’esborso di tutte quelle elevate spese conseguenti alla preparazione ed effettuazione di una consultazione elettorale.
Parrebbe l’uovo di Colombo ma il significato politico di un accordo tra opposti schieramenti su una legge costituzionale darebbe quel senso di unità nazionale purtroppo da tempo sperdutosi in ambizioni di parte.
Quello stesso sentimento unitario voluto e dimostrato nei fatti dai nostri Padri costituenti, pur appartenenti a partiti con contrastanti ideologie, dopo la nefasta esperienza di un ventennio durante i quale erano state soppresse tutte quelle libertà di cui oggi fortunatamente godiamo, per averle da loro ereditate.

domenica, luglio 23, 2006

PACE, parola a molti sconosciuta





La seconda è una vignetta apparsa nel 2004 sul sito “Broderie”, ultima di una lunga serie elaborata sulla tematica della PACE; bambini e ragazzi di ogni razza e sesso, in rappresentanza di tutto il mondo civile, manifestano pacificamente, affratellati da un unico ideale, a difesa di uno dei diritti fondamentali dell’intera umanità: quello di vivere pacificamente.
Dopo le catastrofi determinate da due guerre mondiali e da vari conflitti nazionali i rappresentanti dei Paesi membri, in sede ONU, intesero porre termine, attraverso la sottoscrizione del “Trattato per i diritti dell’uomo”, agli eccidi, specie di civili, determinati da conflitti bellici anche regionali, demandando ad appositi organismi internazionali la risoluzione pacifica di ogni contrasto.
Belle e sacrosante parole sono contenute nel preambolo di questo Trattato il cui fine era proprio quello di impedire che quanto accaduto in passato non avesse più a ripetersi.
Ma l’uomo sin dall’epoca preistorica è stato per sua stessa natura un belligerante; a quei tempi il combattere era per lui necessario per poter sopravvivere ma oggi ?
Viviamo in una civiltà ad un livello talmente evoluto che era impossibile immaginarlo agli inizi del secolo scorso; valutando il tutto possiamo affermare che questo alto sviluppo, invece di migliorarci, ci ha fatto ritornare all’epoca dell’”homo homini lupus” ?
Parrebbe proprio di si, non solo a livello mondiale ma anche nazionale dove abbiamo occasione, giorno dopo giorno, di vedere in contemporanea alla ribalta delle cronache persone che navigano nell’oro e gente che soffre, realmente, la fame.
La nostra Italia, divisa in tutto in due, è un esempio di come le cose non dovrebbero andare.
La metà che espone al balcone la bandiera della PACE viene considerata “terrorista” dall’altra metà che appoggia incondizionatamente l’esportazione della democrazia a suon di bombe, retaggio di una vecchia cultura colonialista difficile da cancellare.
La nostra speranza per un futuro di PACE sono i bambini ed i ragazzi di oggi che prima o poi diverranno adulti; molti di loro hanno aiutato il centrosinistra a prevalere nelle recenti elezioni politiche, dando un segnale non trascurabile che va tenuto in debito conto in ogni occasione ed i qualsiasi decisione che l’attuale governo intenderà assumere nel corso di questi anni.

venerdì, luglio 21, 2006

I ricchi ed i poveri oggi


I ricchi ed i poveri


Di norma i nostri umoristi ricorrono alle vignette per evidenziare, in maniera caricaturale, i principali difetti di personaggi politici o dello spettacolo, prendendo lo spunto da fatti di cronaca.
In questi ultimi anni a questa tipologia, che potremmo definire “umoristica”, se n’è affiancata un’altra, che oserei definire come di tipo “sociale” in quanto, con battute ad effetto messe in bocca ai personaggi raffigurati, si pongono all’attenzione dei lettori specifici problemi di alta rilevanza socio-economica e morale.
Quella più sopra riportata è la riprova di questa tendenza; il vignettista, nel caso di specie, porta alla ribalta uno dei più pesanti problemi che gravano sulla nostra società di oggi: l’aumento del numero dei poveri da un lato nonché il profondo baratro che li separa dai ricchi, vecchi e nuovi.
E valga il vero.
L’ISTITUTO di RICERCHE ECONOMICHE e SOCIALI (IRES), rielaborando i dati dell’ISTAT e della BANCA d’ITALIA relativi al triennio 2003 – 2005, ha potuto evidenziare come in Italia il lavoratore dipendente con stipendio medio di 2mila euro lordi al mese (24mila euro annue lordi) abbia avuto in questo periodo di tempo una perdita di 1.600 euro di cui 1.000 dovuto alla perdita del potere di acquisto conseguente al fenomeno del caro prezzi e 600 euro per la mancata restituzione da parte dello Stato del “fiscal drag”, cioè di quella quota parte di maggiore imposta sul reddito pagata per essere il lavoratore - contribuente passato a scaglioni di aliquote più alte per la sola circostanza d’aver avuto un incremento dello stipendio con il recupero dell’inflazione programmata, calcolata sempre in maniera molto bassa rispetto a quella reale.
Non solo non si è riusciti a tenere testa all’inflazione ma addirittura si è dovuto pagare una Irpef più salata.
Senza considerare poi che il valore delle detrazioni e deduzioni d’imposta per la tipologia di lavoro dipendente, per carichi familiari, ecc.. non è indicizzato in rapporto all’aumentare dei prezzi per cui i lavoratori dipendenti ed i pensionati hanno dovuto subire, in termini di potere d’acquisto, una ulteriore perdita.
Ma il dato ancor più negativo emerso negli anni più sopra indicati si riscontra analizzando come il divario tra l’inflazione programmata dal governo, con criteri alquanto strampalati, e quella reale sia andato sempre più aumentando così portando un ampio allargamento della forbice tra la posizione del potere economico dei lavoratori a stipendio fisso ed i c.d. liberi professionisti ed imprenditori, avendo questi ultimi avuto la possibilità, diversamente dai primi, di provvedere “in proprio”, aumentando tariffe e parcelle, a contrastare efficacemente l’inflazione, anzi facendola aumentare con le loro più esose pretese nei confronti dei propri clienti.
E’ anche per tali motivi che, sulla via di siffatte disuguaglianze, la distribuzione della ricchezza in Italia ha potuto raggiunto livelli del tutto anomali tra i vari ceti sociali con un picco alquanto incredibile, quello che indica come il 45, 1 % dell’ammontare della ricchezza sia in mano al solo 10 % delle famiglie più ricche.
Per contro :
- 6,5 milioni di lavoratori guadagnano mensilmente poco meno di 1.000 euro netti al mese;
- 10milioni di pensionati percepiscono ratei mensili inferiori agli 800 euro;
- le lavoratrici dipendenti guadagnano il 18, 2 % in meno rispetto alla media nazionale;
- i giovani guadagnano in media il 24,5 % in meno;
- i lavoratori del Mezzogiorno il 30,2 % in meno;
- i lavoratori immigrati, il 38,6 % in meno.
Uno dei primi problemi che il nuovo governo si è posto è quello del contenimento del costo della vita con l’unico mezzo legalmente possibile, quello delle liberalizzazioni delle professioni, dei servizi e di alcune attività commerciali per poter avere finalmente in Italia una effettiva libera concorrenza; l’abolizione di molti incomprensibili privilegi ed una offerta diversificata conseguente ad una piena libertà di mercato conduce inevitabilmente ad un abbattimento dei costi di beni e servizi in favore dei consumatori.
Gli effetti del decreto legge Bersani stanno suscitando scioperi selvaggi ed ingiustificati; le lobby difese a tutto spiano, anche con l’approvazione di leggi a tutto svantaggio dei percepenti di redditi fissi promulgate per volere del precedente governo di centrodestra, si sono mobilitate con alla testa politici dell’attuale opposizione, pronti a cavalcare il malcontento di categorie sino ad oggi privilegiate.
Buon segno, vuol significare che il ministro Bersani ha colpito nel segno.

Grasso.....è bello alle volte ed utile
















Potrebbe essere una buona idea per.....qualcuno che ha problemi con la giustizia!


CASSAZIONE: NO A CARCERE PER DETENUTO OBESO
Un detenuto troppo grasso "rientra nella categoria dei soggetti ad alto rischio di accidenti cerebro-cardiovascolari" e dunque le sue condizioni di salute possono essere incompatibili con il regime di vita in carcere. A sostenerlo e' la Cassazione che, con una sentenza della prima sezione penale, ha accolto il ricorso di un detenuto, affetto da obesita' (pesa 210 chili), contro un'ordinanza del tribunale di sorveglianza di Catania che aveva rigettato l'istanza dell'uomo volta ad ottenere gli arresti domiciliari. Per la Suprema Corte, il provvedimento impugnato non avrebbe tenuto conto del contenuto di una relazione sanitaria e di una perizia medico-legale sulle condizioni del detenuto, per il quale "sarebbe auspicabile che lo stesso potesse godere di strumenti alternativi di pena rispetto alla detenzione".

mercoledì, luglio 19, 2006

Il simbolo della Repubblica

La bandiera nazionale

E’ invalsa oramai l’usanza di esporre e/o portare la nostra bandiera tricolore lungo le strade e nelle piazze d’Italia, più che nella scadenza di una delle festività civili, in occasione di cortei o per manifestare sentimenti di esultanza per eventi eccezionali, soprattutto sportivi ed in particolare, calcistici
Passati pochissimi giorni, però, la riponiamo in un cassetto, conservandola gelosamente con l’intenzione di riprenderla alla prossima eventuale occasione mentre in alcune nazioni, vedasi l’esempio della confinante Confederazione Elvetica, la bandiera nazionale rimane esposta giorno dopo giorno assieme ed accanto a quella del Cantone.
Questione di cultura civile tramandata nel tempo da padre in figlio, derivante da antiche tradizioni popolari che ebbero a costituire, perpetuandosi nel tempo sino ai nostri giorni, la formazione del c.d. orgoglio nazionale.
I nostri antenati la sfoderavano in occasione di una delle tante rivoluzioni, madri dei nostri attuali cortei, noi oggi per un titolo mondiale che, considerando come il calcio sia per la stragrande maggioranza degli italiani lo sport nazionale, rappresenta un motivo di rivalsa verso tante angherie che ci piovono sul capo da più parti, un voler dire al resto del mondo: ci siamo anche noi !
Centinaia di migliaia di tricolori sventolati in tutte le città li abbiamo visti giorni addietro sventolare ad opera di persone di tutte l’età, donne ed uomini, per festeggiare la nostra quarta vittoria ai campionati mondiali di calcio tenutesi in Germania; lo spettacolo offerto presso il Circo Massimo dai romani, e non solo, credo che non tema confronti con altri, capace di suscitare forti emozioni anche in coloro che, per ovvi motivi di lontananza, non hanno potuto partecipare di persona, limitandosi a godere il tutto attraverso le immagini messe in onda dalla TV, spesso fredde ed impalpabili da un punto di vista emotivo, questa volta piene di tanta genuina gioia.
Ma mi sono ad un certo punto chiesto quanti di questi “sventolatori” avessero avuto l’opportunità di conoscere la storia della nostra gloriosa bandiera e, avendo fatto un improvvisato sondaggio, ho avuto l’amara sorpresa che ben pochi, specie tra i più giovani, conoscessero le sue origini nonché le regole sul come e quando la stessa potesse essere esposta.
Per contribuire a colmare questa lacuna, eccovi in breve la sua storia:


il 7 gennaio 1797 in Reggio Emilia

nasce il primo Tricolore per volere del Congresso Cispadano quale simbolo della Repubblica Cispadana, comprendente il territorio di quelle che saranno in seguito le attuali province di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia.
Alcuni storici però ci rammentano come un “tricolore” – bianco, rosso e verde – fosse apparso nel settembre del 1796 in Lombardia sotto Napoleone e, successivamente adottato anche dal Regno d’Italia.
Dopo alcuni eventi, nel corso dei quali sparì dalla circolazione, questa bandiera uscì dalla clandestinità nel 1831 in occasione della costituzione della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini e da allora incominciò a rappresentare il simbolo della volontà del raggiungimento dell’unità nazionale di tutto il popolo italiano. E così fu.
Dopo la seconda guerra mondiale e conclusesi le lotte per la nostra liberazione, i padri costituenti consacrarono nel 1947, attraverso l’art. 12 della Carta costituzionale – rientrante tra i 12 principi fondamentali della nostra Repubblica - il tricolore come “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
In omaggio e duratura memoria di quelle centinaia di migliaia di italiani, militari, partigiani e civili, che hanno perso la loro vita perché potesse sventolare nel tempo libera e nel pennone più alto possibile del nostro territorio nazionale.
Quando la sventoliamo dobbiamo essere orgogliosi di farlo.

martedì, luglio 18, 2006

Errare è umano ma diabolico è il perseverare

dalla serie : Il "caprone" perde il pelo ma non il vizio-

Zizou, avec monsieur Chirac aussi !?

venerdì, luglio 14, 2006

Le liberalizzazioni - 3

La professione forense…..retribuita, finalmente, anche sulla base del risultato ottenuto in favore del cliente dall’attività del professionista !

E’ da premettere che il decreto – legge Bersani del 4 luglio 2006, n. 223 con l’art. 2 non ha inteso intervenire su questa professione per rimodularla attraverso una nuova e diversa regolamentazione organica, pur necessaria ed ipotizzata per il futuro dal competente ministero della giustizia, bensì per introdurre solamente alcune nuove regole attinenti, in particolare, il profilo economico intercorrente tra avvocati da un lato ed i loro clienti dall’altro in quanto sino ad oggi improntato a norme in contrasto con le leggi della libera concorrenza.
E non poteva essere altrimenti atteso che tutte le normative introdotte dal decreto legge in parola tendono solamente ad eliminare con urgenza nei più svariati campi della distribuzione e dei servizi – nella specie quelli forniti da attività professionali - alcuni evidenti ostacoli, frutto di antichi privilegi garantiti da una vetusta legislazione ma sopravvissuti nel tempo per l’inerzia dei precedenti governi, che ponevano i clienti - consumatori del servizio prestato dal professionista nell’impossibilità di poter scegliere il prezzo più vantaggioso.
Giova rammentare che in linea generale, secondo l’UE, i più evidenti ostacoli al pieno regime di concorrenza sono:
· i prezzi fissi e quelli “raccomandati”;
· le norme restrittive sulla pubblicità;
· i requisiti di accesso alle professioni:
· le strutture monopolistiche aziendali.
Ripeto inoltre che, in sede comunitaria, è da anni che la legislazione italiana è sotto tiro per non aver i nostri governanti dato mano, sulla traccia di precise norme cogenti, peraltro già applicate nel resto dei Paesi facenti parte della UE, a “modernizzare”, liberalizzandole, le nostre leggi disciplinanti le professioni, in modo principale quelle di avvocato, notaio, ingegnere, architetto, farmacista e tutte quelle contabili.
Ciò premesso ritengo utile, per completezza di esposizione e per meglio far comprendere l’arretratezza del nostro ordinamento giuridico in tema di professioni, segnalare quella che è stata la legge base sulla quale, sia pure con alcune modificazioni introdotte col passar degli anni, è andata a sviluppare la professione forense.
Mi riferisco al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 - convertito in Legge 22.01.1934, n. 36, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 281 del 05.12.1933; questa legge, pur riveduta e corretta nel tempo con l’abrogazione di alcune sue norme, regola ancor oggi la parte economica del rapporto professionale attraverso i due articoli più sotto indicati; la proposta di legge di riforma approvata dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 11 settembre 2003, che peraltro lasciava intatta la pregressa normativa attinente la parte riguardante il metodo di quantificazione delle parcelle, non è stata recepita dal governo all’epoca in carica.
Ma ecco il testo dei due articoli che ora ci interessano.
- Art. 57.
I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Nello stesso modo provvede il Consiglio nazionale forense per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di Cassazione ed al Tribunale supremo militare.
Le deliberazioni con le quali si stabiliscono i criteri di cui al comma precedente devono essere approvate dal Ministro per la grazia e giustizia.
- Art. 58.
I criteri di cui al precedente articolo, sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell'autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi.
Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo.
Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell'entità dell'affare.

Le disposizioni contenute in queste due norme, di sapore corporativistico in quanto elaborate in pieno regime fascista, sono proprio quelle prese di mira dal decreto legge 233 in quanto divenute, in un libero mercato qual è quello di oggi, del tutto anacronistiche.

Ci si può domandare che beneficio possano trarne da questa nuova normativa ora introdotta i clienti.
E di tutta evidenza come l’abolizione delle tariffe minime e massime del servizio comporti un abbattimento dei valori tabellari prefissati per legge con conseguente diminuzione dei prezzi in quanto il cliente, anche in queste occasioni, potrà valutare, fra le diverse libere offerte dei professionisti, quella a lui più favorevole.
Ma c’e di più, così come anticipato nel titolo, il decreto legge Bersani consente anche di vincolare l’entità del compenso al risultato della causa, sistema questo molto in uso nel mondo anglosassone ma, sino ad ieri, non consentito in Italia.

Qualcosa ci sarebbe da dire a proposito della reazione avuta dagli avvocati che hanno indetto uno sciopero di lunga durata senza darne il previsto preavviso; ma mi riprometto di ritornate presto su questo argomento avendo qualcosa da rimproverare a molti di questi professionisti, responsabili di aver quasi sempre osteggiato, anche ritardandoli, vari tentativi di introdurre alcune riforme atte a snellire e velocizzare i procedimenti giudiziari, specie in campo civile.
Questo nuovo corso di marca “liberale” suona alle nostre orecchie come musica nuova al punto che anche i cittadini – consumatori, direttamente beneficiari delle regole introducenti dei nuovi rapporti tra domanda ed offerta, stentano a capirci qualcosa; ma le nostre “controparti” l’hanno compreso benissimo, d’ora innanzi sono costretti a rinunciare per legge a tanti loro privilegi e per questo scioperano.
Qualcuno ha avuto anche la spudoratezza di affermare che la loro categoria non comprende il motivo per cui debbono scannarsi tra di loro per fare un favore a noi”!
La libera concorrenza viene da loro concepita come una mattanza tra operatori di una stessa categoria ma, avendo una tale egoistica mentalità, dimenticano che anch’essi nel corso di una stessa giornata usano vestire i panni del consumatore; accade infatti che anche gli avvocati abbiano la necessità di farsi trasportare da un taxi e che un taxista abbia bisogno di un avvocato, di contrarre una polizza assicurativa e via di seguito e che i componenti di entrambe le categorie abbiano bisogno di acquistare dei farmaci, i cui costi da noi sono i più alti rispetto agli altri Paesi europei, ovvero di fare la normale spesa per le necessità familiari.
Dobbiamo noi tutti rammentare che il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, è stato molto chiaro nel dire che chi è contrario ed osteggia queste liberalizzazioni deve rassegnarsi e comprendere che questo suo governo di centrosinistra è stato chiamato a decidere per il bene e nell’interesse della collettività.
A parte la considerazione che con questi provvedimenti la legislazione italiana va sempre più avvicinandosi a quelle più moderne, in perfetta sintonia con i tempi ed i Trattati europei, le cui normative sono già in vigore da molto tempo in diversi Paesi della comunità europea.
Era ora !

W il TRICOLORE


BOSSI ed il tricolore, la nostra bandiera nazionale.

Avanti la Corte d’Appello di Milano si celebrerà il processo nei confronti di Umberto Bossi, già condannato in primo grado dal Tribunale di Como – sezione distaccata di Cantù – chiamato a rispondere del reato previsto e punito dall’art. 292 C.P. (Vilipendio alla bandiera od altro emblema dello Stato); l’ora non più “ senatur” per eccellenza, già ministro della Repubblica per volere del suo amico co-padano sig. Berlusconi, ebbe a pronunciare il 25 luglio 1997, nel corso di una manifestazione leghista in quel di Cabiate la seguente frase: “ Quando io vedo il tricolore mi incazzo; il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo”, frase questa, sia pure con qualche variazione sul tema – “con il tricolore ci si possono pulire il culo” - reiterata in Venezia perché una signora si era permessa di esporre sul proprio balcone, che si trovava proprio davanti al luogo dove si svolgeva un comizio leghista, Liga Veneta e Lega Nord, la nostra bandiera.
Anche se per questo reato, così come per tutti gli altri di vilipendio, una recente legge ha “declassato” le pene, cancellando quella della reclusione ed introducendo quella pecuniaria della contravvenzione, ritenendo il legislatore di allora come questa tipologia di reati rientrassero nella sfera dei “reati di opinione”, si procederà nei confronti del Bossi dopo che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 249/2006 resa il 21 giugno u.s. ma depositata in Cancelleria il successivo 28 giugno u.s., dopo l’effettuazione del referendum, ha ritenuto di risolvere il “conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato”, per la precisione tra la Camera dei deputati - la cui Commissione aveva stabilito che il parlamentare non fosse punibile perché opinione espressa nell’esercizio della sua funzione parlamentare ai sensi dell’art.68 comma 1 della Costituzione - e la magistratura ordinaria, di parere opposto, a favore di quest’ultima.
Ma l’esito del secondo grado di questo procedimento è stato già preceduto dalla sentenza di condanna emessa dai tifosi della nostra nazionale di calcio.

giovedì, luglio 13, 2006

La conferma


La prova: Berlusconi menagramo

Per la verità è da tempo che circolavano voci in tal senso; ma adesso ne abbiamo avuto piena prova.

martedì, luglio 11, 2006

La lingua batte dove il dente duole


Ma cosa vai scrivendo sulle liberalizzazioni !


Alcuni conoscenti, aventi una fede politica diversa della mia, dopo aver letto quanto ho scritto in tema di liberalizzazioni, mi hanno inviato delle mail per tentare di convincermi come, in realtà, il decreto legge Bersani presentasse, in generale, molte anomalie in piena contraddizione con la stessa finalità per il quale lo stesso è stato concepito e formulato.
Qualcuno si riferiva per esempio alla vendita di alcuni prodotti farmaceutici nei supermarket, altri ancora all’intervento sulla legislazione che regola la professione forense, affermazione questa non propriamente esatta perché quella che sarà la riforma di questa attività è ancora in via di elaborazione, così come per altre professioni le cui regole obsolete sono assolutamente da adattare alle normative europee dalle quali non possiamo più discostarci.
Alla fine ne ho dedotto che le loro argomentazioni si basavano su una visione della vita diversa dalla mia che li induceva a difendere lo status quo, legato ad un conservatorismo deleterio per i cittadini-consumatori, vittime da sempre di veri e propri soprusi e non solamente per l’andamento dei prezzi al consumo.
La nostra legislazione ha infatti sino ad oggi sempre snobbato il “cittadino-consumatore”, tutelandolo più o meno convenientemente, a seconda dei casi, come “cittadino-lavoratore”, anche per merito delle associazioni sindacali, ma quello che concedeva con una mano, per lo più con la sinistra, lo toglieva poi con la destra.
Quello che semmai dovrebbe stupire è la circostanza che a porre attenzione sulla tematica dei consumi è un governo di centrosinistra, dimostrandosi così più liberale di quello che ci ha governato negli ultimi cinque anni, segnalatosi nei fatti come un tenace difensore di molte posizioni di potere oramai anacronistiche, quasi medioevali; ma il motivo si comprende bene, il passato governo era infatti fortemente condizionato dalla presenza di un maestoso conflitto di interessi riguardante l’ex leader, conflitto che quello attuale non ha.
Sconfiggere alcune lobby secolari è un compito audace e difficile tanto che si hanno già chiari segnali di ostinata resistenza non sempre comprensibile; guardiamo per esempio quella dei taxisti che, per quanto è accaduto nel corso della manifestazione da loro organizzata a Roma si spiega più delle altre, in quanto ha visto l’intervento in prima persona di alcuni deputati di AN, uno addirittura accolto col grido “DUCE, DUCE”: più chiaro di così !
Poi ecco il turno degli avvocati con uno sciopero senza il dovuto preavviso e programmato per ben dodici giorni; su questo argomento ci ritorneremo.
Giampaolo Fabris in un suo articolo apparso su La Repubblica paragona queste proteste eguali a quelle dei commercianti contro l’istituzione delle isole pedonali nei centri storici o per la revisione degli orari di apertura dei negozi allo stato del tutto anacronistici in quanto antieconomici per un certo lasso di tempo e non più compatibili con lo svolgimento reale della vita quotidiana di chi da lavoratore diviene a fine giornata un potenziale acquirente.
L’isola pedonale all’inizio procurerà degli svantaggi sulle vendite ma poi, a breve termine, come è documentato da centinai di inchieste, produrrà invece degli incrementi; il tutto sta nel sapere sfruttare al meglio l’opportunità di poter disporre della libera circolazione dei compratori-pedoni che avranno più tempo nel sostare davanti le vetrine e nei pubblici esercizi trattenersi in maniera più comoda e meno frenetica di quanto facevano prima, preoccupati della scadenza dei limiti orari delle soste delle proprie autovetture spesso anche parcheggiate, in divieto sui marciapiedi, sulle strisce pedonali o in piena curva.
Alla fine ho compreso una cosa che non mi sarei mai aspettato, quella che queste lobby amano enormemente non i propri interessi bensì quelli dei consumatori tanto da fare scioperi selvaggi a difesa di questi ultimi e non dei loro privilegi !
Specie dopo aver sentito in TV un’intervista a Gianluca Pasanisi, presidente della Fe.nagi.farm., e di Giovanni Antonaglia della Agi.Far. di Roma.
In buona sostanza hanno spiegato che l’opposizione della categoria al decreto legge Bersani, nella parte in cui consente la vendita di alcuni farmaci nei supermarket sia pure sotto il controllo di un farmacista, è determinata dal fatto che il loro primo pensiero è la difesa del consumatore !
Dovrebbero allora spiegarci il perché una loro associazione è intervenuta presso la Regione Lombardia perché obbligasse una delle quattro farmacie comunali, corrente in Corsico (MI), corrente lungo la statale Nuova Vigevanese, aperta 24 ore su 24 festivi compresi, al servizio di tutta la zona ovest del milanese, a ridimensionare gli orari, parificandoli a quelli di tutte le altre farmacie private.
A vantaggio dei consumatori anche questa iniziativa ? No di certo; questa farmacia era con tempo divenuta un punto di riferimento sicuro da parte degli abitanti dei molti comuni del corsichese, sconti sui medicinali a parte.
Raccolte migliaia di firme in favore del vecchio orario prolungato ed inviatele in Regione lo scorso anno, il comune di Corsico sta attendendo ancora una risposta; evidentemente il governatore aveva troppo da fare per concordare la sua elezione al Parlamento, ma una volta eletto cosa aspetta a rispondere ?
Civile comportamento di un politico molto attento ai problemi dei suoi amministrati ?
A voi la sentenza.

lunedì, luglio 10, 2006

lA DEVOLUTION AFFOSSATA DAL REFERENDUM


MA IL VERO SCOPO ERA IL POTER IMPERSONARE TUTTI E TRE I POTERI DELLO STATO


Avevo preannunciato che sarei ritornato sul tema della “devolution”, approvata nel corso della trascorsa legislatura dalla sola maggioranza di centrodestra, cancellata poi attraverso una valanga di NO in risposta al referendum confermativo cui si è dovuti ricorrere in base all’art. 138 della Costituzione per non aver ottenuto questa legge di revisione costituzionale, nel corso della seconda votazione presso le due Camere, il voto favorevole dei 2/3 dei suoi componenti.
Capitolo chiuso, direte; certamente, è proprio così, ma ritengo di ritornare su questo argomento poiché non credo che si sia compreso da parte di molti il pericolo che tutta l’Italia è riuscita ad evitare, sventando con il suo NO, come ho precisato in un precedente mio scritto, di arretrare in un sol colpo – di Stato direi - al 13 luglio 1789, giorno antecedente a quella rivolta, passata alla storia come la “rivoluzione francese” che, prima in un Europa in mano alle potenti dinastie monarchiche, portò attraverso la “Carta dei diritti dell’uomo e dei cittadini” alla divisione dei poteri detenuti sino ad allora in mano ai potenti monarchi di turno.
Si deve ammettere che tutto l’impianto revisionistico era stato, anche a giudizio di molti costituzionalisti tra i quali diversi Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, ben congegnato atteso che il quadro generale di questa revisione costituzionale nascondeva, secondo i voleri dell’allora capo del governo, qualcosa di molto diverso del semplice decentramento da attuarsi con lo spostamento di alcuni poteri già dello Stato alle Regioni: alludo al c.d. “premierato forte” che, una volta introdotto nel nostro nuovo assetto istituzionale, avrebbe costituito un serio ostacolo all’applicazione in concreto della presunta “devolution” causa la figura del tutto accentratrice del premier, titolare unico di ogni potere.
Questa circostanza la si poteva comprendere appieno attraverso la lettura completa del testo in discussione, ma quanti hanno avuto la possibilità o la voglia di farla ?
In contrapposizione a ciò stava la propaganda “ingannevole”, quotidianamente strombazzata da tutti i partiti del centrodestra e dai media filo-governativi, rivolta ad enfatizzare i benefici che da questa riforma “federalista” avremmo tutti goduto tra i quali, in via principale:
· risparmi sulla spesa pubblica perché, come conseguenza dell’abbandono del c.d. “bicamerismo perfetto” – due Camere con identici funzioni oggi in vigore – si andava a ridurre il numero dei deputati da 630 unità a 400 e quello dei senatori da 315 a 200 più 12 deputati e 6 senatori eletti nella circoscrizione riservata agli elettori italiani residenti all’estero ed in più 3 senatori a vita eletti dal Presidente della Repubblica nel corso del suo mandato contro i 6 previsti oggi;
· maggiore rapidità nell’approvazione delle leggi di competenza dello Stato in quanto di esclusiva competenza della Camera dei Deputati;
· eliminazione di quegli ostacoli burocratici quali il voto di fiducia , nomina dei ministri da parte del Premier sul cui capo passa inoltre il potere di scioglimento delle Camere attualmente prerogativa del Presidente della Repubblica;
· eliminazione dei c.d. “ribaltoni” attraverso l’indicazione da parte della maggioranza di un nuovo Premier in caso di un voto di sfiducia nei confronti del capo del governo in carica.
Ecco delineata l’Italia moderna voluta dal sig. Berlusconi il quale, a più riprese, non ha fatto altro che ribadire come l’andare in Parlamento fosse per lui una perdita di tempo; “sono stato costretto ad andare alla Camera” gli scappò di affermare in TV. Chiestogli un dibattito sulla politica estera ebbe a rispondere “ Ma che bisogno c’è ? Basta leggere i giornali”.
Il regolamento della Camera all’art. 135 bis stabilisce che il presidente del Consiglio deve intervenire durante lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata – il c.d. “question time” a cadenza settimanale – ma l’ex Premier non vi ha mai partecipato, in dispregio di ogni regola parlamentare, preferendo inviare l’ex ministro Giovanardi.
Con la possibilità di poter sciogliere la Camera dei deputati nel caso di mancata approvazione di una sua legge come negare la sottomissione del Parlamento ai voleri del premier ? Come non comprendere che in tal modo al suo potere esecutivo si andava aggiungendo anche quello legislativo, proprio del Parlamento, sottoposto direttamente al controllo del capo dell’esecutivo ?
Rimaneva da sistemare quello legislativo e qui interviene la riforma Castelli che dispone tutta una serie di controlli e provvedimenti che delimitano fortemente ogni iniziativa in sede penale da parte della magistratura inquirente.
L’inizio di una azione penale, obbligatoria per legge, diviene di esclusiva competenza dei Procuratori Capi della Repubblica, una cinquantina in tutto, mentre prima potevano iniziarla, senza alcuna espressa autorizzazione da parte di questi ultimi, i circa 2.500 Sostituti Procuratori sparsi nelle varie Procure italiane.
C’era anche un progetto di legge secondo il quale sarebbe stato il Parlamento, all’inizio di ogni anno giudiziario, a decidere per quali reati si potesse obbligatoriamente procedere d’ufficio; non sono riuscito a scovare la fine di questa proposta ma, visto il precedente della legge Castelli, appare chiaro come sia facile, con un provvedimento ad hoc, manovrare un’azione penale da parte degli altri due poteri dello Stato, già riuniti nelle mani del comandante in capo di tutto e di tutti, cioè del Premier “forte”, nella realtà, per legge, divenuto un assoluto sovrano.
Fortunatamente il rischio è per adesso passato ma, visti questi precedenti intenti, chissà cosa potrà accaderci un domani; occorre vigilare e non farsi infinocchiare dai tanti venditori di una falsa democrazia.
Tutto qui ? No, qualcosa va senza dubbio cambiata nella nostra Costituzione.
Come e cosa alla prossima volta

domenica, luglio 09, 2006

Le liberalizzazioni - 2


Le licenze dei taxi


Per meglio intendere il motivo per cui l’attuale governo abbia inteso intervenire, tentando di liberalizzarlo, anche su questo importante settore attraverso il c.d. decreto legge Bersani, occorre far cenno, in via preliminare, ad alcuni dati relativi alle agevolazioni del tutto particolari concesse solamente a coloro che provvedono al trasporto di persone, effettuandolo a mezzo delle autopubbliche, i taxi.
1- dal 01 gennaio 2001 i taxisti ebbero a beneficiare della riduzione del 40 % sull’accisa normale stabilita per la benzina, gasolio, GPL e metano da recuperarsi come credito d’imposta nella misura del 60 % del totale;
2- uno sconto quanto meno del 20 % per l’acquisto di auto nuove, salvo migliori offerte più vantaggiose decise unilateralmente da alcune marche automobilistiche – nella specie dalla Mercedes Benz – con relativa rateazione ad interessi molto contenuti rispetto a quelli del mercato;
3- era previsto il divieto del cumulo delle licenze per il servizio taxi. In buona sostanza ogni persona fisica non poteva essere in possesso di più di una licenza il cui numero totale era contingentato, a seconda delle proprie necessità, da ogni singolo comune; in altre parole vigeva per i taxi il “ numero chiuso” che costituiva una vera e propria forma di monopolio garantito per legge in odio al principio della libera concorrenza.
Di fatto accadeva che nei comuni come Roma e Milano, i cui aeroporti vedono in Italia il maggior traffico aereo, si aveva il seguente numero di autopubbliche:
· Roma n. 5.900 pari al 2,19 % per ogni 1.000 abitanti;
· Milano n. 4.800 pari al 3,58 % per ogni 1.000 abitanti
contro i 21.000 di Londra, i 14.000 di Parigi dove le linee dei metrò è molto più articolata e diffusa sul territorio rispetto alle nostra due città italiane.
Il costo per una corsa di 5 chilometri :
a Roma tra i 19 ed i 20 euro;
a Milano 18 euro
contro l’equivalente di 11/12 euro a Londra ed i 14 euro di Parigi e l’equivalente di 16/17 euro di New York ed i 12/14 euro di Berlino e Madrid.
Per dirla alla Brunetta, economista in quota Forza Italia, questa manovra di liberalizzazione disposta dall’attuale governo conterrebbe “misure degne dell’Urss che umiliano i nostri elettori”!
Probabilmente Brunetta pur di fare il bastian contrario scorda che la normativa UE, ma il loro è stato sempre un governo antieuropeista, fa divieto, pena deferimento alla Corte di Giustizia, di mantenere posizioni di potere che limitino od addirittura eliminino la libera concorrenza che, detto tra di noi, contribuisce se non proprio all’abbattimento quanto meno al calmierare i prezzi anche nel campo dei servizi.
Dal titolo I di questo decreto legge si comprendono subito sia le motivazioni che hanno spinto il governo ad elaborare delle norme innovative in alcune materie che l’urgenza della loro introduzione, e da qui il ricorso al decreto legge piuttosto che ad una legge ordinaria.
Il surrichiamato titolo parla chiaro: “MISURE URGENTI PER LO SVILUPPO, LA CRESCITA E LA PROMOZIONE DELLA CONCORRENZA E DELLA COMPETITIVITA’, PER LA TUTELA DEI CONSUMATORI E PER LA LIBERALIZZAZIONE DI SETTORI PRODUTTIVI”.
Il tutto nel rispetto degli articoli 43, 49, 81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, vero sig. Brunetta ? Anche se a Brunetta risulta che in URSS non esisteva allora una siffatta normativa comunitaria che il governo di centrodestra ha sempre eluso sotto tutti i punti di vista.
Ma è interessante esaminare la norma di cui all’art. 6 del decreto legge in parola ( Deroga al divieto di cumulo di licenze per il servizio di taxi), anche se a seguito di un recentissimo accordo parrebbe che, relativamente a questo benedetto cumulo che si voleva abolire, siano state concordate tra governo e sindacati di categoria alcune variazioni non ancora illustrate.
Così recita l’art. 6:
1.Al fine di assicurare agli utenti del servizio taxi una maggiore offerta, in linea con le esigenze della mobilità urbana, all’art. 8 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:
2bis.Fatta salva la possibilità di conferire nuove licenze secondo la vigente programmazione numerica, i Comuni possono bandire pubblici concorsi, nonché concorsi riservati ai titolari di licenza taxi, in deroga alle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, per l’assegnazione a titolo oneroso di licenze eccedenti la vigente programmazione numerica. Nei casi in cui i comuni esercitino la facoltà di cui al primo periodo, i soggetti assegnatari delle nuove licenze non le possono cedere separatamente dalla licenza originaria. I proventi derivanti dall’assegnazione a titolo oneroso delle nuove licenze sono ripartiti, in misura non superiore all’80 per cento e non inferiore al 60 per cento, tra i titolari di licenza taxi del medesimo comune che mantengono una sola licenza. In ogni caso i titolari di licenza devono esercitare il servizio personalmente ovvero avvalersi di conducenti iscritti nel ruolo di cui all’art. 6, il cui contratto di lavoro subordinato deve essere trasmesso all’amministrazione vigilante entro le ore 24 del giorno precedente il servizio.. I comuni possono altresì rilasciare titoli autorizzatori temporanei, non cedibili, per fronteggiare eventi straordinari”.
Tutto qui, i comuni “possono” non devono, i proventi derivanti dall’acquisto a titolo oneroso della seconda licenza vanno da un minimo del 60 per cento sino al massimo dell’80 per cento ai titolari di una sola licenza, c’è la possibilità con la seconda licenza di dare lavoro a qualche autista professionale rimasto disoccupato.
La libera concorrenza agevolerà il calo delle tariffe ma non solo, elimineranno quei trucchetti da furbetti cui ricorrono spesso molti taxisti in molte città come per esempio se il percorso richiesto è breve “scusi sono stato già chiamato per un servizio”, tassametro con indicato un importo alquanto alto perché “mi trovavo lontano da qui” e così via.
Certo è dura eliminare molte “posizioni di potere” ma le liberalizzazioni, oltre che volute dalla UE, facevano parte del programma del centrosinistra ed andavano quindi messe in atto, volenti o nolenti.

martedì, luglio 04, 2006

Le proposte....improponibili

BOSSI SENATORE A VITA


Gianluigi Paragone e Vittorio Feltri, rispettivamente direttori dei quotidiani La Padania e Libero, alla fine dello scorso mese di maggio ebbero a rivolgere al capo dello Stato, attraverso i loro giornali, un singolare appello, quello della nomina di Umberto Bossi, parlamentare europeo, a senatore a vita.
Siffatta richiesta, com’era logico supporre, provocò diverse reazioni tra i due nostri maggiori schieramenti politici, di stupore ed ilarità nel centrosinistra e di sentito apprezzamento nel centrodestra.
I primi rilevarono come queste nomine siano di assoluta competenza del Presidente della Repubblica e limitate a personaggi che abbiano dato lustro all’Italia per altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario.
Si aggiunge in via subordinata come il sig. Umberto Bossi sia a tutt’oggi il leader del suo partito, la Lega Nord, e che in tale veste non potrebbe certamente assumere quella carica onorifica in rappresentanza di tutti gli italiani.
Per i secondi, invece, Ignazio La Russa di AN proclamò un “sarei contento per Umberto” mentre per Sandro Bondi di F.I. , questo eventuale provvedimento presidenziale, se concesso, “rappresenterebbe un giusto riconoscimento del suo impegno (di Bossi) per rinnovare l’Italia che tuttora continua e, soprattutto, della sua autentica passione civile e politica…”.
Opinione di parte senza dubbio alcuno ma nel frattempo si sono verificati alcuni eventi che, a mio parere, hanno affossato per sempre questo singolare ed ingiustificato tentativo; ma esaminiamo i fatti:
· la minaccia del ricorso alla secessione qualora, pur nel prevalere di NO nel resto dell’Italia, si fosse verificata la vittoria dei SI nel nord Italia (la sua fantasiosa Padania) nel referendum confermativo della “devolution” del 25 e 26 giugno scorso;
· la pioggia dei NO anche al nord, con Milano in testa, senza considerare che a Treviso, la città leghista per eccellenza retta dal sindaco “sceriffo” Gentilini, i SI hanno superato i NO per soli 476 suffragi;
· la sentenza n. 249/2006 della Corte Costituzionale resa il 21 giugno ma depositata in Cancelleria il successivo 28 giugno u.s., dopo l’effettuazione del referendum.
Questa sentenza merita una certa attenzione anche se è una delle moltissime decisioni della Consulta che dirime un ennesimo “conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato”, per la precisione tra la Camera dei deputati e la magistratura ordinaria.
Per evitare questa fattispecie di conflitti sarebbe opportuno che in una prossima revisione della nostra Carta costituzionale si trovasse di comune accordo un rimedio atto ad eliminare una infinità di querelle aventi come oggetto questi “scontri tra poteri statali” ed anche quella miriade di conflitti che insorgono tra lo Stato centrale e le Regioni; ne guadagneremmo tutti ma soprattutto la certezza del nostro diritto.
Ma ritorniamo all’oggetto della sentenza più sopra richiamata.
Il sig. Umberto Bossi, allora deputato della Repubblica Italiana, in data 23 maggio 2001 venne dichiarato dal Tribunale di Como – sezione distaccata di Cantù – colpevole del reato di cui all’art. 292 C.P. (Vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato) per avere in data 25 luglio 1997, nel corso di una manifestazione della Lega Nord in Cabiate, pronunziato le seguenti parole: “quando io vedo il tricolore mi incazzo; il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo”, frase questa, sia pure con qualche variazione del tema, reiterata “ con il tricolore, ci si possono pulire il culo”.
Appellata la sentenza, il processo diviene di competenza della Corte d’Appello di Milano ma in data 23 gennaio 2002 la Camera dei deputati ebbe a pronunciarsi in favore della non punibilità del Bossi per aver lo stesso espresso opinioni come membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68 comma 1 della Costituzione.
Per effetto di tale decisione la difesa del Bossi, in uno ad analoga richiesta avanzata dal Procuratore Generale di Milano, chiede l’archiviazione del processo per l’improcedibilità dello stesso, attesa la decisione assunta dalla Camera dei deputati.
Ma la Corte d’Appello milanese, non condividendo né le argomentazioni nè le conclusioni della Camera dei deputati ricorre alla Consulta, elevando così il conflitto di attribuzione dei poteri.
La Corte Costituzionale in accoglimento delle tesi esposte dalla Corte d’Appello dichiara “ che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dal deputato Umberto Bossi, oggetto del procedimento penale, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni” per cui il procedimento penale continuerà il suo iter giudiziario.
“L’uso del turpiloquio - secondo la Consulta - non fa parte del modo di esercizio delle funzioni parlamentari ed a fortiori le stesse espressioni non possono essere considerate come esercizio della funzione parlamentare quando usate al di fuori delle Camere stesse”.
Certo che ci vuole un bel coraggio a proporre, sia pure in maniera del tutto informale, la nomina a senatore a vita di simili personaggi; se mal non ricordo anche a Venezia il succitato Bossi ebbe a profferire simili frasi nei confronti di una signora veneziana che aveva esposto la nostra bandiera nazionale sul proprio balcone che, guarda caso, si trovava proprio di fronte al punto in cui tenevano un comizio la Lega Nord e la Liga Veneta.
Alla faccia di chi voleva Bossi, il senatur per antonomasia, senatore a vita della Repubblica italiana.

lunedì, luglio 03, 2006

Le liberalizzazioni

LE FARMACIE


Ricordate quando il nostro ex Premier, autodefinitosi come un grande “liberal”, ebbe ad affermare riguardo al lievitare ingiustificato dei prezzi in Italia che “ il governo non può fare nulla per calmierare i prezzi” ?
Nulla di più falso poiché quasi tutti i Paesi aderenti all’Unione Europea che si apprestavano, come il nostro, ad aderire all’area dell’euro fecero di tutto perchè non accadesse quello che poi, da allora sino ad oggi, è avvenuto in Italia: la parificazione del costo di qualsiasi genere, alimentare e non, da £. 1.000 ad € 1,00.
Vennero stipulati da parte dei vari governi accordi preventivi con imprenditori e distributori di tutti i generi di prima necessità e nei Paesi scandinavi non ci fu bisogno nemmeno di accordi in quanto gli stessi settori produttivi decisero tra di loro un codice di comportamento atto a non produrre effetti inflattivi sulle buste paga e ad aprire grandi magazzini chiamati UNIEURO, tutto al costo di un euro.
In Italia nulla di tutto ciò perché, evidentemente, il gran liberal temeva di cozzare contro gli interessi di varie lobby; alle proteste delle Associazioni dei Consumatori venne opposto a giustificazione, dal duo Berlusconi – Tremonti, che l’incremento dei prezzi era stato determinato dall’aver il precedente governo Prodi concordato in sede UE il cambio di un euro a £ 1.936,27 e non ad un tasso più favorevole, per esempio a £. 1.500.
Nulla di più errato, una vera e propria fandonia, per il motivo che non avvenne alcun concordato perché la parità tra lira italiana ed euro, così come per tutte le altre monete nazionali pronte ad entrare nell’area dell’euro, era già stata stabilita da un precedente Trattato sulla base del quale i tassi di cambio tra le varie monete e l’euro sarebbero stati calcolati sulla media dei cambi degli ultimi dieci anni tra monete nazionali ed ECU; da ciò il determinarsi a livello comunitario dell’attuale parità tra le vecchie lire e l’euro.
In realtà a cosa era dovuto il fenomeno italiano di un così incomprensibile lievitare dei prezzi ?
1. i mancati accordi;
2. la complessa e parassitaria catena di distribuzione dei prodotti, specie di quelli alimentari;
3. l’aver privilegiato il trasporto su gomma a danno di quello su ferrovia;
4. il continuo concentrasi di gruppi costituenti dei monopoli di fatto nel campo della produzione e dei servizi che hanno fatto sparire la libera concorrenza, nonostante l’Antitrust;
5. il dilagare della pubblicità nelle TV, di meno sulla carta stampata, i cui costi non potevano che scaricarsi sui consumatori;
6. il fenomeno delle tangenti e delle bustarelle che anche in questi ultimi periodi è stato sempre l’epicentro di quasi tutte le operazioni commerciali e non;
7. la malcelata privatizzazione della sanità e dell’istruzione pubblica;
8. la chiusura a riccio degli albi professionali.
Il governo Prodi, come da programma, ha iniziato con una serie di liberalizzazioni che hanno scatenato da un lato il plauso delle Associazioni dei Consumatori e dall’altro una reazione veemente da parte delle lobby, prima fra tutte quella dei taxisti.
Il centrodestra risulta spiazzato e dà delle diverse valutazioni; la più singolare è quella di alcuni rappresentanti di AN che hanno etichettato questa iniziativa come una “manovra di ritorsione elettorale perché colpisce chi ha votato per noi” ! Infatti, come qualcuno ha spiegato, ed è un discorso da riprendere in altra sede, che la stragrande maggioranza dell’elettorato del centrodestra è dedita all’evasione fiscale prova ne sia che quasi tutti gli evasori totali scoperti di recente dalla Guardia di Finanza risiede nel Nord-Est, dove hanno vinto i SI, bacino di voti dei partiti di destra, Lega Nord compresa.
Se poi ogni famiglia risparmierà a fine anno almeno € 1.000,00, questi sono i calcoli del governo, cose interessa alla maggioranza del centrodestra ?
Ma incominciamo dalle FARMACIE.
Dovete sapere che da qualche tempo a questa parte il nostro sistema distributivo dei medicinali è sotto il tiro della Commissione europea perché le leggi che la disciplinano sono in palese contrasto con le normative comunitarie.
Tanto per fare un esempio: i membri non farmacisti di una famiglia di un farmacista possono diventare titolari, in caso di successione, della farmacia ereditata per un periodo sino a dieci anni. Perché se farmacisti non sono ?
Inoltre la nostra legislazione impone pesanti restrizioni alla compartecipazione di imprese europee nella proprietà di farmacie.
Visto che nonostante i solleciti nulla è stato fatto sino ad ieri per adeguare la nostra legislazione a quella europea, la Commissione ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia per violazione dei “principi della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali” per le suddette restrizioni volute dalla nostra legge nazionale.
La bozza del decreto legge Bersani dà una svolta “comunitaria” alla nostra legislazione e concede la possibilità, sia pure con la presenza di un farmacista, ai drugstore e supermercati di vendere direttamente al pubblico i farmaci da banco o da automedicazione.
Chi detrarrà vantaggio ? Senza dubbio in prima battuta i laureati in farmacia disoccupati e poi anche i consumatori.
La libera concorrenza calmiera i prezzi, ricordiamocelo; altri provvedimenti di liberalizzazioni faranno seguito, a cominciare dall’energia.

sabato, luglio 01, 2006

La patologia dell'insulto


di INSULTARE
Il Direttore perde il pelo ma non il vizio

Chi sciopera perché il contratto nazionale è scaduto da due anni e non si intravedono segnali di ripresa delle trattative viene definito “BAMBA”, termine milanese che sta a significare un’ampia gamma di epiteti che vanno dallo stupido al rimbambito, i senatori a vita hanno introdotto in Italia la “DITTATURA dei “PANNOLONI”, prodotti tipici usati dagli incontinenti, condizione fisica questa legata soprattutto agli anziani e via di seguito.
Il direttore Feltri parrebbe avere una particolare predisposizione ad elargire a destra ed a manca, a ben riflettere più a manca che a destra, epiteti che per alcuni lettori sono spiritosaggini o dei termini goliardici mentre per altri configurano dei veri e propri insulti.
A tal proposito mi piace qui riportare un breve passo di un articolo a firma di Luigi Cancrini, neo deputato DS, pubblicato su L’Unità qualche giorno dopo il voto di fiducia dato al nuovo governo Prodi al Senato, in risposta ad una lettera di un lettore che lamentava il modo in cui il dr. Feltri aveva definito il voto pro fiducia di tutti i senatori a vita presenti in aula.
Riferendosi anche al seguente passo scritto dal direttore Feltri su Libero sotto il titolo “Perché la sinistra non ha vinto……io e Brunetta non siamo rimbecilliti del tutto anche se questo dato mentale potrebbe aprirci un giorno le porte del Quirinale. Anzi no, impossibile, anche da imbecilli non riusciremmo mai ad essere comunisti , o ex o post”, il Cancrini commenta: “Goliardia ? O senso di astio e di invidia. Incapacità di vedere , senza arrabbiarsi, il pensiero degli altri caratteristica di chi, non avendone uno proprio, invidia coloro che il pensiero lo hanno”.
Ritornando a noi, poveri mortali rimbecilliti dalla calura, mi pongo la domanda se quello del Feltri sia proprio un diritto di cronaca ? Era indispensabile insultare il neo eletto Presidente della Repubblica o……; mi meraviglia come nei suoi confronti nessuna Procura abbia ritenuto di aprire un procedimento penale atto a valutare se la suddetta frase integri il reato di vilipendio al Capo dello Stato in quanto, in buona sostanza, l’epiteto di “imbecille” era diretto proprio a lui.
Mi chiederete il motivo per cui sono venuto su questo argomento a scoppio ritardato ? Ve lo dico subito perché il sig. Vittorio Feltri è stato quest’anno condannato ad un anno e sei mesi di reclusione dal giudice monocratico di Bologna per aver diffamato il senatore Gerardo Chiaromonte, deceduto nel 2003, per aver indicato in un articolo del 1990 su Qn (Quotidiano nazionale di cui Feltri era all’epoca direttore) che il nome di quest’ultimo era inserito ingiustamente nel dossier Mitrokhin come uno dei collaboratori occulti dell’Unione Sovietica.
Non poteva mancare certamente la solidarietà di Berlusconi che si è dichiarato sbalordito per una così pesante condanna per “un reato di opinione” !
Evidentemente l’ex Premier ha del diritto una idea molto pallida anche se debbo convenire sulla eccessiva pesantezza della condanna inflitta.