giovedì, ottobre 29, 2009

Vedrete di che pasta sono fatto, dice il Premier.

L'abbiamo già vista, peccato che rammostrarla qui, in questa sede, è sconveniente; a qualcuno potrebbe venire il mal di stomaco o qualcosa di peggio.
Ma non si sa mai che un domani qualcuno non lo faccia.
Per me, oggi come oggi, basta il mio commento finale!
Ma domani chissà !

LO SPECCHIO DI CALAMENDREI

di

Gian Carlo Caselli

Nel notissimo libro di Piero Calamandrei

(giurista eccelso che ha partecipato attivamente alla stesura della nostra Costituzione ed insigne maestro universitario di diritto)

“ELOGIO DEI GIUDICI SCRITTO DA UN AVVOCATO”

si legge.

“ Chi entra in Tribunale, portando nel suo fascicolo, in luogo di buone ed oneste ragioni, secrete inframmettenze, occulte sollecitazioni, sospetti sulla corruttibilità dei giudici e speranze sulla loro parzialità, non si meravigli se, invece che nel severo tempio della giustizia, si accorgerà di trovarsi in un allucinante baraccone da fiera, in cui da ogni parete uno specchio gli restituirà moltiplicati e deformati i suoi intrighi”.

(Grazie, dr. Caselli, per averlo ricordato sia a me che a tanti altri colleghi che hanno avuto il privilegio di conoscere personalmente il prof. Calamandrei e di aver sentito a Milano la sua lezione sulla Costituzione).

Continua il dr. Caselli:

sono passati più di cinquant’anni ma le parole di Calamandrei conservano pieno vigore.

Certi protagonisti dell’attuale stagione italiana sembrano infatti puntare tutto, in tema di giustizia, su inframmettenze nemmeno troppo occulte.

Per esempio, c’è chi dimentica che i giudici sono soggetti soltanto alla legge

(art. 101 della Costutuzione) per pretendere invece che accettino dipendenze – dirette od indirette – da qualcosa che non è legge ma altro: palazzo, contingenti maggioranze o sondaggi, potentati economici o culturali.

Oppure accusa quegli “impudenti” di magistrati che si ostinano a fare il loro dovere di essere “politicizzati”, prevenuti e faziosi: capaci persino di trasformare i Tribunali in luoghi dove si consumano vendette politiche, mentre in realtà si tratta semplicemente di non essere disposti a rinnegare la giustizia per fare la volontà di qualcuno.

Rischia l’effetto di “specchio deformante” poi, chi usa come metro di valutazione dell’intervento giudiziario l’utilità,sostituendo (con effetti devastanti) i tradizionali criteri di correttezza e rigore.

Oppure chi gestisce il processo come momento di contestazione e rottura, con strategie finalizzate a condizionarne pesantemente il lo svolgimento o svalutarne l’esito, strategie che nulla hanno a che vedere con un sistema di stratta legalità.

Ancora.

Si colloca fuori dal

“severo tempio della giustizia”

chi pensa che l’investitura popolare conferisca il diritto di attaccare ingiustamente chi fa semplicemente il suo dovere istituzionale.

O proclama che le sentenze ( ovviamente quelle sgradite a certi interessi) non possono valere più del voto di milioni di italiani.

O decreta che determinati interventi giudiziari sono ……eversione della democrazia.

Anche oltrepassando la soglia della giurisdizione ordinaria per entrare per entrare a piedi giunti nel campo di quella costituzionale, accusando la Consulta di intrighi o lesa maestà per non aver sentenziato come certi ambienti speravano.

E si sconfina nel “baraccone” se si punta ad una sorta di “redde rationem” con la magistratura, prefigurando riforme della giustizia che sembrano ispirarsi a logiche di amico/nemico poco compatibili con una buona qualità di democrazia.

Con tutto un “battage” di zelanti epigoni che si attaccano persino al colore dei calzini di un giudice, o alle sue passeggiate in attesa del proprio turno dal barbiere.

Gli effetti sarebbero comici se non ci fossero

(nel tentativo di imbrattare l’immagine di un magistrato in quanto “reo” di aver preso una decisione contraria a certe aspettative)

Anche forti elementi di intimidazione, capaci di sovvertire le regole fondamentali della giurisdizione e di incidere sulla serenità dei giudizi.

Scriveva Alessandro Galante Garrone che

“a volte non basta, per un giudice, essere onesto e professionalmente preparato; in certe situazioni storiche, per poter ricercare ed affermare la verità, con onestà intellettuale, bisogna essere combattivi e coraggiosi”.

Il nostra Paese sta attraversando una tale situazione ?

Se così è, riesce difficile parlare di democrazia in salute.

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Per chi non lo conoscesse riporto qui di seguito il curriculum del

dr. Giancarlo Caselli.

Nei primi degli anni ‘70 sino alla metà degli anni ’80 è stato Giudice Istruttore presso il Tribunale penale di Torino interessandosi particolarmente dei reati di terrorismo riguardanti le Brigate Rosse e Prima Linea.

Membro della commissione che ebbe a preparare il testo della delega del

Nuovo Codice di Procedura Penale

e nel 1991 consulente della Commissione Stragi e, contemporaneamente ,

componente del Consiglio Superiore della Magistratura.

Nominato magistrato di Cassazione, assume la carica di Presidente della Prima Sezione della Corte d’Assise di Torino, quindi, nel 1993

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.

Seguiranno poi altri incarichi nel Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ma, nel 2005, essendo probabile la sua nomina a

Procuratore Nazionale Antimafia, con una legge “contra personam” voluta dal capo del Governo (Berlusconi III) venne presentato dal sen. Bobbio, in quota AN, ed approvato un emendo alla legge in vigore con il quale venne abbassato il limite d’età massimo onde impedire la nomina di Castelli che, quella nuova età, l’aveva superata.

Nominato con voto unanime del CSM,

PROCURATORE CAPO DELLA REPUBBLICA

presso il Tribunale di Torino.

A titolo di cronaca preciso che

la Corte Costituzionale, successivamente alla nomina di Piero Grasso quale nuovo Procuratore Nazionale Antimafia, dichiarò illegittimo il provvedimento che aveva escluso il giudice Gian Carlo Caselli dal concorso.

Tanto per far comprendere il taglio morale del nostro Premier.

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