sabato, ottobre 03, 2009

La vita del sig. B - 16^ con la parola FINE

SILVIO STORY

16

ULTIMA PUNTATA

«L’Italia è il paese che amo...»

Ma il partito è l’unica salvezza

di

Claudia Fusani

Il 26 gennaio 1994 nei telegiornali delle sera accade qualcosa che non s’era mai vista.

Con un cassetta (e come avrebbe potuto essere altrimenti) recapitata in copia a tutte le tivù, le sue e in Rai, Silvio Berlusconi

- perfetto senza neppure una ruga, seduto alla scrivania e qualche libro sullo sfondo, stile quasi presidenziale - ufficializza la sua candidatura.

«L’Italia è il paese che amo, ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perchè non voglio vivere in un paese illiberale...».

Il resto, più o meno, lo conosciamo: tre mesi dopo vince le elezioni; la Seconda Repubblica seppellisce definitivamente la Prima grazie a Tangentopoli che ha azzerato cinquant’anni di storia politica tra cui il Caf prezioso e strategico punto di riferimento del Cavaliere e grazie anche ad un sistema elettorale per la prima volta maggioritario.

Comincia l’era dell’ «Unto del Signore», dell’ «Uomo dei miracoli», del

«Gesù della politica vittima paziente che si sacrifica per tutti».

Quello che Berlusconi omette nel presentarsi al popolo sono due o tre cosette di fondamentale importanza.

La prima: a fine del 1992 il saldo è negativo per 1.111 miliardi; il 1993 si conferma negativo.

La seconda: azzerato il Caf, il gruppo Fininvest è senza referenti politici, senza Craxi e, per dirne una, senza i rubinetti sempre aperti delle banche.

La terza, sullo sfondo, di cui il futuro premier può non essere a conoscenza: anche Cosa Nostra in Sicilia è in cerca di nuovi referenti, c’è in cantiere un nuovo partito,

"Sicilia libera".

I pentiti racconteranno poi che la nascita di Forza Italia li fa desistere.

Dell’Utri nel 1993 ha già cominciato il travestimento degli uffici Publitalia in sedi di Forza Italia.

Otto anni e mezzo di governi Berlusconi hanno spiegato, tra le altre cose, come l’Unto del Signore intenda il concetto di occuparsi della cosa pubblica, con, ad esempio, leggi a proprio uso e consumo e scudi fiscali.

Da un punto di vista giudiziario non c’è dubbio che il Presidente del Consiglio abbia fatto dal 1994 a oggi una vita dura.

Anzi durissima.

In un modo o nell’altro - prescrizioni, archiviazioni, reati cancellati dal Parlamento - ha sempre vinto lui.

Ma le 400 pagine con cui il giudice Nicoletta Gandus a maggio scorso ha motivato i quattro anni e mezzo di condanna per corruzione in atti giudiziari di David Mills, l’avvocato inglese specializzato nella costruzione di società off shore, sono quelle che più danno fastidio al premier.

Una lancia nel fianco, la storia di Mills non ancora affondata del tutto solo grazie al lodo Alfano,lo scudo giudiziario per le quattro più alte cariche dello Stato e, non per caso, primo atto del Berlusconi IV.

Dice, quella sentenza, che l’avvocato Mills è stato corrotto.

E che il corruttore altri non dovrebbe essere che Berlusconi medesimo.

Soprattutto, quella sentenza fa luce su alcuni misteri della fortuna di Sua Residenza prima, Sua Emittenza poi e infine del tycoon-premier.

Mills comincia a collaborare con Berlusconi nel 1981.

Nel passaggio tra palazzinaro ed editore multimediale, chiede a Berruti - l’ex della Guardia di Finanza che chiuse gli occhi ai tempi della Edilnord – di esplorare il modo di fondare compagnie britanniche off shore per comprare i diritti cinematografici americani ed evitare il fisco.

L’uomo giusto si chiama David Mills che quando nel ’99 viene chiamato a testimoniare al processo All Iberian

- la cassaforte Fininvest, diranno i processi, di tutte le tangenti e delle dazioni al Psi di Craxi – sarà molto vago, negherà la geografia delle società off shore Fininvest.

Una deposizione così preziosa che nel 1999 frutta all’avvocato un regalo di Natale di 600mila dollari, circa un miliardo di vecchie lire.

Per capire l’entità del “regalo” che Mills ha fatto a Berlusconi con quella deposizione, occorre fare qualche passo indietro e andare al 25 ottobre 1996, nella stanza del giudice Simon Brown della Queen’s bench dell’Alta Corte di Londra.

Quel giorno, infatti, il giudice Brown decide che un vasto archivio di documenti devono essere trasferiti a Milano presso i colleghi italiani Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo che indagano sulle tangenti Fininvest.

Quelle carte, che i legali di Berlusconi cercano di bloccare per mesi, diventano la base probatoria, nei dieci anni a seguire, di ben quattro processi contro il premier.

E raccontano che Berlusconi ha creato tra il 1989 e il 1996 fondi neri per almeno 45,7 milioni di euro, soldi usati per ingrassare la casse del Psi e avere i favori dell’amico Craxi, per corrompere giudici come Metta, e via così giù per li rami.

Raccontano di una massiccia evasione fiscale , il giudice Brown parla di una

«gigantesca truffa per mezzo della quale almeno 100 miliardi di lire sono stati furtivamente rimossi dalla Fininvest e usati per scopi criminosi».

Disegnano, quelle carte, una geografia di 64 società offshore tra Virgin islands,Panama, Channel islands.

Ci sono i misteri della All Iberian, che Berlusconi ha sempre negato anche solo di conoscere, e che è il centro dell’universo offshore berlusconiano, cioè la Fininvest group B-very discreet. All Iberian, ha raccontato Mills, è stata creata da lui il 13 maggio 1988 sull’isola di Jersey e agiva per conto della Fininvest spa.

Responsabile era Giancarlo Foscale, cugino di Berlusconi, già prestanome ai tempi della prima Fininvest e figlio dello zio socio accomandatario della Italcantieri nel 1973.

Bisognerebbe qui parlare anche del ruolo della Cmm corporated services limited, lo studio di Mills in Regent street a Londra, snodo dei fondi neri e delle società off shore.

Ma questo è un filo tortuoso che arriva a Calvi e a Sindona e di nuovo alla P2 e che meriterebbe un capitolo a parte.

Basti dire che nella fortuna di Berlusconi alla fine tutto si tiene.

E si spiega.

Serve la pazienza di mettere in fila gli indizi e il disegno si fa, più di trent’anni dopo, un po’ più chiaro.

Ne manca sempre un pezzo perché i dadi tornano, e si fermano, sulla casella Banca Rasini e sull’incendio che negli anni Ottanta ne mandò in fumo l’archivio e tutti i suoi segreti.

Compresa l’origine della fortuna di Silvio Berlusconi.

(Fine)

Nessun commento: