SILVIO STORY
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Mondadori, la presa del potere con seduzioni e mazzette
Claudia Fusani
La Guerra di Segrate è per Silvio Berlusconi una sorta di prova generale della sua “discesa in campo”.
Nella presa del potere di Mondadori, la principale casa editrice italiana, registra tutte le sue abilità:
la seduzione, la dissimulazione, l’uso spregiudicato delle mai chiarite eppure quasi illimitate disponibilità economiche,
la capacità di condizionare i giudici.
Ed è la vittoria sull’altro principale azionista della Mondadori, Carlo De Benedetti, imprenditore e finanziere d’esperienza internazionale,
a convincere il Cavaliere di essere ormai pronto per la conquista del cuore del potere:
il governo del Paese.
La prima parte della vicenda è per Berlusconi un ricasco dell’acquisto di Rete 4 (1984) proprio da Mondadori,
che gli consente di schierare nell’etere tre reti nazionali come la Rai.
Con metodo, l’ormai ex costruttore edile acquista pacchetti di azioni sempre più consistenti della casa editrice quotata in borsa.
Gli eredi del fondatore non vanno d’accordo e, nel 1988, Berlusconi riesce ad avere il controllo anche delle quote
del più debole nipote di Arnoldo Mondadori, Leonardo.
L’azienda di Segrate si ritrova così con tre azionisti:
- la Cir di Carlo De Benedetti (che a sua volta acquista quote azionarie),
- la Fininvest
- la famiglia Formenton, erede di Mario, per molti anni guida indiscussa dell’azienda e genero di Arnoldo.
De Benedetti stipula un patto apparentemente d’acciaio con la famiglia Formenton, convincendola a cedergli la sua quota entro il 30 gennaio 1991.
Per blindare il suo predominio l’ingegnere ottiene, il 9 aprile del 1989, che Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo
vendano alla sua Mondadori i loro pacchetto azionari dell'Espresso.
Nasce la Grande Mondadori, che ha come presidente Caracciolo e in dote Repubblica, l’Espresso e i giornali locali della catena Finegil.
Qui entra in gioco l’abilità seduttiva di Berlusconi, che finora ha sempre dichiarato di voler stare in Mondadori
«come il passeggero sul sedile posteriore di un’auto».
Gioca su più piani: sulla presunta disattenzione di De Benedetti nei confronti delle aspettative dei Formenton,
sulla loro fervente fede rossonera (sono gli anni del Milan stellare di Arrigo Sacchi, Gullit e Van Basten), sulla dissimulazione delle sue reali intenzioni.
Nel novembre 1989 i Formenton rompono clamorosamente il sodalizio con De Benedetti e si schierano con Berlusconi:
«Tu sei un mascalzone!»,
s’infuria Caracciolo quando il Cavaliere gli comunica di avere in mano la quota Formenton.
Il 25 gennaio 1990 Berlusconi entra trionfalmente nel palazzo di Segrate disegnato dall’architetto Niemeyer:
tutti capiscono che è lui il nuovo padrone e che nulla sarà più come prima.
De Benedetti contesta subito davanti alla magistratura milanese la rottura unilaterale dell'accordo con i Formenton,
dando inizio a una lunga querelle giudiziaria.
La battaglia è senza risparmio di colpi, che volta per volta danno il vantaggio a uno o all’altro dei principali contendenti.
Dopo sedici anni di attesa e di anarchia in cui l’ex palazzinaro è potuto diventare in tutto e per tutto alternativo alla Rai,
è in dirittura d’arrivo anche la legge Mammì con l’opzione zero (o tivù o giornali).
Un collegio di tre arbitri, scelti di comune accordo, stabilisce il 21 giugno 1990 che l'accordo De Benedetti e Formenton è più che valido
e che le azioni Mondadori sono legittimamente della Cir.
Alla guida della Mondadori tornano gli uomini scelti da De Benedetti.
Ma durano poco.
Il lodo arbitrale viene impugnato da Berlusconi davanti alla Corte d’Appello di Roma, prima sezione civile, presieduta da Arnaldo Valente.
Il giudice relatore è Vittorio Metta.
È con loro che Berlusconi gioca la carta delle sue “capacità” di convinzione.
Il 24 gennaio 1991 arriva la sentenza che annulla il verdetto del lodo.
Valente nella motivazione arriva a giudicare non valido l’accordo originario, quello del 1988 tra De Benedetti e i Formenton.
La Mondadori è di nuovo di Berlusconi.
Andare avanti a colpi di sentenze contrastanti sembra a tutti una follia.
A districare la complicata matassa è Giuseppe Ciarrapico, imprenditore di destra, amico di Andreotti, in buoni rapporti con Caracciolo.
Grazie alla sua mediazione la Grande Mondadori viene spartita tra De Benedetti, che si tiene la Repubblica, L'Espresso e i quotidiani locali,
e Berlusconi che riceve Panorama e il resto della Mondadori, più 365 miliardi di lire di conguaglio.
E’ il 30 aprile 1991.
Quattro anni e una Tangentopoli dopo, quando Berlusconi è già stato, seppur brevemente, inquilino di Palazzo Chigi,
deflagrano le dichiarazioni di Stefania Ariosto, ex amica di Berlusconi ed ex compagna del suo avvocato Vittorio Dotti,
secondo la quale i giudici Valente e Metta frequentavano abitualmente Cesare Previti, il legale da decenni sodale di Berlusconi:
anzi, dice di aver sentito il futuro ministro della Difesa raccontare di tangenti versate ai magistrati.
La Procura di Milano apre le indagini sulla sentenza della prima sezione civile della Corte d’Appello di Roma e va a caccia dei conti
da cui sarebbero arrivati i soldi per corrompere i giudici che avevano regalato la Mondadori a Berlusconi.
Si scopre che nemmeno un mese dopo la sentenza, la All Iberian che fa capo a Fininvest aveva versato 3 miliardi di lire su un conto di Cesare Previti
e 1 miliardo e mezzo su quello di un avvocato faccendiere.
Dopo un giro tortuoso, parte di questi soldi – secondo i giudici – era finita a Vittorio Metta
(«Un’eredità», dichiarerà al processo).
Previti giura che i tre miliardi sono la sua parcella.
Nel 2003 Vittorio Metta – che, lasciata la magistratura, va a lavorare con Previti - sarà condannato a 13 anni, Previti a 11 anni, gli avvocati e faccendieri Attilio Pacifico a 11 anni e Giovanni Acampora a 5 anni e 6 mesi.
Berlusconi non arriva nemmeno a giudizio grazie alle attenuanti generiche che fanno prescrivere il reato.
Nell’aprile del 2005, in appello, nuovo ribaltamento: tutti assolti per la parte Mondadori.
Nell’aprile 2006 la Cassazione condanna invece Previti, Pacifico e Acampora a 1 anno e 6 mesi e Metta a 1 anno e 9 mesi.
Corruzione c’è stata.
La sentenza fu comprata con 425 milioni di lire prelevati dal conto All Iberian (Fininvest).
Ma la Mondadori, da vent’anni, è proprietà di Berlusconi.
15/continua
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