lunedì, ottobre 12, 2009

Una lezione esemplare per coloro che vogliono comprenderla

La vita come insegnamento

di

Ariedo De Zan

(tratto dal sito Reporter.it di Reggio Emilia)

Il vecchio professore era solito entrare in aula pochi secondi prima del suono della campanella.

Il suo passo era stanco, il passo di chi si porta sulle spalle il peso di una vita.

Aprì la porta, e quasi magicamente cessò il brusio ed ogni studente era seduto al proprio posto.

Per gli altri docenti questo era un mistero:

il prof di matematica aveva chiesto un giorno al vecchio insegnante come avesse fatto ad ottenere tanto rispetto dagli studenti,

ma questi gli aveva risposto solo con un sorriso che valeva più di mille parole.

Entrato in classe, si diresse verso la cattedra e si accomodò sulla poltroncina, sistemando alcuni fogli di fronte a lui. I

nforcati gli occhiali che usava per leggere, prese il registro e cominciò a scorrere a voce alta i nomi, rispondendo ad ogni

“Presente “

con uno sguardo paterno ed un sorriso compiacente.

Li conosceva tutti, quei ragazzi, perchè spesso lo intrattenevano anche oltre il normale orario di lezioni per porgergli quelle domande

alle quali solo un uomo intelligente e di tanta esperienza poteva rispondere.

E lui si compiaceva di poter essere loro d’aiuto.

“Oggi, ragazzi miei, parleremo di libertà “,

iniziò dopo aver riposto il registro in un angolo della cattedra,

“parleremo di libertà e di come questa parola contenga tutto l’amore dell’uomo per se stesso ed i suoi simili,

di come tutte le grandi conquiste siano legate a questo termine spesso usato a sproposito,

ma anche di come certi personaggi facciano di tutto per privare di questo grande valore i propri concittadini.”

Non si alzava mai, durante le lezioni, preferiva incrociare gli sguardi dei ragazzi dalla stessa altezza,

con questo si ricordava di essere stato uno di loro tanti secoli prima.

“Alcuni decenni orsono esisteva nelle società occidentali una casta, un potere occulto che era legittimato oltre ogni limite

a decidere della libertà o meno di chiunque, e nessun organismo gli era superiore.

Questi individui, che d’ora in avanti per comodità chiamerò semplicemente P, erano dietro ad ogni uomo di potere,

ad ogni dittatura, ad ogni atto di violenza gratuita che veniva commesso nella società.

Per diventare P, oltre che una assoluta mancanza di rispetto per i propri simili, bisognava conseguire una laurea in medicina

e poi una specializzazione dove gli insegnanti, tutti esclusivamente P,

trasmettevano la loro distorta conoscenza dell’Uomo come fosse l’unica Verità.

Ma una Verità non religiosa, al contrario:

una Verità in cui l’Uomo era semplicemente un animale appena più evoluto degli altri, dove non esisteva altro di importante se non il cervello.

Tutto quello che riguardava l’Uomo e che non poteva essere spiegato con i mezzi scientifici che la medicina aveva a disposizione,

veniva etichettato da questi come malattia, si inventavano lì per lì un nome il più altisonante possibile,

ed inevitabilmente ne ideavano la cura che, altrettanto inevitabilmente, era sempre più dannosa della loro presunta malattia”.

“Ma non era allora semplice da smentire tutto ciò “, chiese il ragazzo della prima fila accanto alla finestra.

Era sempre lui a fare le domande più argute, ed il vecchio si gongolava nel cercare le risposte più esaurienti possibili.

“Al contrario, questa era la loro forza.

Se io adesso vi dicessi che la Luna è una enorme forma di formaggio, e ve lo dicessi dall’alto delle mie tre lauree,

indossando il camice bianco e guardandovi con aria di superiorità, come fareste a smentirmi ?

Io sarei lo scienziato, il professionista, colui che ha studiato tutta la Verità riguardo alla Luna:

la gente crederebbe a voi o a me?

Allo stesso modo un P, senza nessun vetrino, radiografia o esame del sangue a conferma delle proprie teorie,

diceva che una persona era affetta da una qualche malattia, e nessuno era in grado di smentirlo,

perchè non c’era nulla di palpabile su cui poter confutare e discutere.

Lui era il P, se diceva che eri ammalato nemmeno il Tribunale ti poteva salvare”.

Smise di parlare, versandosi un bicchiere d’acqua e dando il tempo ai suoi studenti di assimilare questo concetto.

“Per facilitarvi la comprensione di questa cosa tanto bizzarra quanto vera, vi racconterò la storia di un ragazzo, che chiameremo Enzo.

Figlio di buona famiglia, intelligente oltre la media, Enzo passava ore a studiare e fare ricerche in biblioteca:

la sua sete di sapere era superiore al richiamo dei coetanei che si divertivano a ballare, andare in piscina,

o fare quelle cose che i giovani amano ed è giusto che facciano.

La madre di Enzo morì quando lui era adolescente, ed il padre presto si risposò.

Quella donna si rivelò presto per quello che era, una arpia affamata di denaro da poter scialare come meglio credeva.

La pace in famiglia finì, lasciando il posto ad imbarazzanti silenzi a tavola, dispetti più o meno celati, liti per i più futili motivi.

Il padre di Enzo era molto dispiaciuto di questa situazione, ma continuava ad appoggiare il figlio nelle proprie scelte.

Ma la vita è un percorso ad ostacoli, ed il genitore di Enzo morì in un incidente lasciando un enorme vuoto nel figlio

e facendo versare qualche falsa lacrima alla seconda moglie”.

Un’altra pausa, per il vecchio professore. Il fiato non era più quello di una volta,

ma stare dietro a quella cattedra era la sua vita, ed i ragazzi lo sapevano.

“Cominciò il calvario di Enzo, che arrivò a farsi aprire una entrata secondaria nella casa per vedere il meno possibile quella donna

che organizzava banchetti e si cambiava d’abito tre volte al giorno:

limitò le visite alle sole festività.

Ma l’arpia presto si rese conto che il denaro ereditato stava finendo, e cominciò ad avanzare richieste al figliastro.

Prima verbalmente, poi con lettere minacciose, fino ad arrivare a coinvolgere avvocati di pochi scrupoli.

Ma la legge era dalla parte di Enzo, come poteva fare la donna a mettere le mani sull’altra parte di eredità?”.

Guardando gli studenti, pareva che il vecchio professore cercasse da loro una risposta,

ma sapeva che nessuno di quei giovani poteva immaginare quanto fosse stato grande il potere dei P.

Quindi continuò.

“La matrigna, consigliata da una amica, si rivolse ad un P.

Questi si dimostrò entusiasta di poter mettere la propria “scienza “al servizio di una donna di cotanta classe, e le disse semplicemente

di convincere il giovane a presentarsi nel suo studio, il resto sarebbe venuto da sé.

L’arpia scrisse quindi una lettera sdolcinata al figliastro, in cui si diceva preoccupata del fatto che lui passasse tanto tempo in camera a studiare,

e che frequentasse molto di più la biblioteca che non la discoteca.

Questo signore di cui le forniva l’indirizzo l’avrebbe aiutato ad aprirsi di più alla vita,

e poi quattro chiacchiere non avevano mai fatto male a nessuno.

Enzo non credette ad una parola di quanto aveva letto, ma decise di prendere l’appuntamento anche perchè pensava di trovare nel P un alleato

per poter convincere la matrigna a lasciarlo stare.

Fu la scelta più sbagliata di tutta la sua vita “.

Ora il professore aveva gli occhi umidi, bevve un’altro sorso d’acqua e riprese il racconto.

Sapeva che quello era il momento in cui se anche fossero finite le lezioni, nessuno dei suoi studenti si sarebbe alzato

senza prima aver sentito la fine del racconto.

“Lo studio era lussuoso, tutto faceva pensare al denaro.

Lo stesso P, tutto curato ed abbronzato, dava l’idea di chi non ha problemi a telefonare in piena notte al direttore della banca per un qualsiasi bisogno.

Il colloquio iniziò quasi si trattasse di una assunzione:

anagrafe, titoli di studio, obbligo di leva, ecc.

Dopodichè il P mostrò ad Enzo dei fogli con delle macchie di inchiostro, chiedendogli cosa ci vedesse.

Trattenendo un sorriso, il giovane disse la verità: lui ci vedeva mille cose e non ci vedeva nulla.

Il P si fece serio, e chiese quale era stata la donna più importante della sua vita:

la madre, rispose semplicemente Enzo.

‘E l’uomo più importante?’, fu la domanda seguente.

‘Il padre’, ottenne come risposta.

La serietà con cui questo uomo di mezza età poneva le domande, mise a disagio Enzo, che cominciò ad agitarsi e a sfregarsi le mani.

Dopo una pausa di qualche secondo, che al giovane parvero anni, il P sentenziò: soffri di asocialità,

il tuo aver idealizzato nei genitori dei modelli da seguire indica una scarsa maturità sociale,

e l’agitarsi sulla sedia come stai facendo ora e la sudorazione alle mani come ti succede in questo momento

sono chiari sintomi di questa malattia.

Il non aver visto nulla nelle macchie d’inchiostro è una ulteriore conferma della tua negazione dei problemi della vita.

Enzo quasi svenne, pensando che era andato a quell’appuntamento per zittire la matrigna e si ritrovava ammalato, una persona da curare.

Prima di congedarsi, il P gli combinò un appuntamento per i giorni seguenti e gli prescrisse un medicinale ‘.... per dormire meglio.

Sono importantissimi i sogni’ .

Gli incontri si susseguirono per diverso tempo, con grande soddisfazione della matrigna che sembrava interessata più che mai al bene di quel ragazzo”.

Ora gli studenti seduti ai loro banchi non avrebbero fatto andar via il professore nemmeno per tutto l’oro del mondo,

lo avrebbero legato alla poltroncina per conoscere il finale, che non sembrava però lieto.

“Enzo si stancò di questa situazione.

Ad ogni incontro si sentiva rivolgere dei paroloni incomprensibili, ma che sembravano tanto gravi.

Non usciva mai da quello studio senza una ricetta: questo per stare sveglio, questo per mangiare,

questo per stare a dieta, quell’altro per non agitarti, quello per non stare troppo immobile.

Smise di prendere quelle porcherie, che lo facevano star male, ed anche di andare agli appuntamenti.

La matrigna, consigliata dal P, cominciò a tempestarlo di telefonate,

gli lasciava bigliettini sotto alla porta o sul tergicristalli della macchina, ma lui era deciso a non mollare.

Finché un mattino, aprendo la porta per andare in biblioteca, Enzo se li ritrovò davanti entrambi.

Non li fece entrare, anzi gli urlò di andarsene cercando di richiudere la porta:

ma la donna mise la mano tra lo stipite e l’anta e rimase schiacciata, urlando come un animale al macello.

Enzo si agitò ancora di più, e si diresse di corsa su per le scale mentre il P gli urlava che non avrebbe dovuto aggredirli, loro erano lì per aiutarlo.

Giunto in camera, il giovane cominciò a buttare tutto ciò che gli capitava in mano giù dalla finestra,

urlando che se era quello che volevano gli avrebbe dato tutto, purché lo lasciassero in pace: ma ormai era tardi.

Il P ordinò di rinchiudere Enzo in una clinica, e più questi urlava la sua voglia di libertà, e più il P gli aumentava le dosi di medicinali.

Il giovane rimase quattro lunghi mesi in quel posto orribile, detenuto senza aver commesso reato.

Uscì grazie all’interessamento di un gruppo di difesa dei diritti civili, ma era ormai irriconoscibile.

Non leggeva, non parlava, rimaneva ore davanti alla finestra di quell’unica stanza che la matrigna gli aveva lasciato

dopo aver incamerato la sua eredità grazie alla perizia del P : incapace di intendere e di volere, aveva scritto. “

Ora gli occhi del professore erano colmi di lacrime, ed attraverso quel velo liquido guardava i suoi sbigottiti studenti.

Due ragazze si soffiarono il naso, anche loro piangevano: forse perchè pochi giorni prima avevano scoperto che la E

che compariva nel lungo nome del loro professore preferito stava per Enzo...............

***

Vi chiederete cosa abbia a che fare questo toccante racconto con la nostra

LIBERTA’

Il titolo stesso dovrebbe dare un valido aiuto per comprendere come, in effetti, esista una stretta connessione tra la vita di questo professore,

una figura che credo immaginaria, e quella di tutti noi;

quella che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte.

Provate a cambiare la iniziale P del racconto con la lettera B e vi verrà facilissimo trovare il bandolo della matassa.

Tutti, ripeto, nessuno escluso.

Sia che si straveda per B sia che lo si contrasti, a difesa delle nostre opinioni, con quei pochi mezzi che ci è ancora possibile

utilizzare.

L’ultimo barlume di una libertà “vigilata e condizionata”.

Siamo di già in pieno regime autoritario; ci siamo voluti fidare di un personaggio, ieri lo ha pienamente dimostrato,

che oramai ha raggiunto l’apice delle menzogne.

Sarebbe la stampa di sinistra a fomentare presso quella estera lo

“spirito anti italiano”.

Semmai è una spirito anti berlusconismo e, detto ciò, mi chiedo se sappia il “Silvio Santo subito”

che in ogni nazione esistono e lavorano alacremente inviati speciali

dei maggiori giornali a livello mondiale così come i nostri sono negli altri Paesi.

Sa o non sa che le ambasciate inviano al loro Paese di appartenenza ampie relazioni sulla governance del Paese ospitante

sui provvedimenti assunti in materia economica, della giustizia, della conduzione del rapporto tra cittadini ed istituzioni.

Non avendo bavagli di sorta e non dovendo soddisfare pretese sconvenienti, questi rapporti altro non dicono che la verità.

Mi pare che oramai il sig. B abbia valicato ogni limite di tracotanza.

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