martedì, novembre 03, 2009

Prima o poi doveva finire così

LA CORTE DEI DIRITTI UMANI

"No al crocefisso in classe"


La Corte europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha emesso oggi una sentenza nella quale stabilisce che esporre il crocifisso nelle classi della scuola pubblica è contrario al diritto dei genitori di educare i loro figli secondo le proprie concezioni religiose, e al diritto degli alunni alla libertà di religione.

Il caso riguarda un ricorso di una cittadina italiana, Soile Lautsi, residente ad Abano Terme, che aveva protestato durante l'anno scolastico 2001-2002, per la presenza del crocifisso nelle classi dei suoi figli, che considerava contraria al principio di laicità dello Stato.

Nel maggio 2002, la direzione della scuola aveva deciso di lasciare il crocifisso nelle classi, e in questo senso si era espressa più tardi una circolare del Ministero della Pubblica istruzione indirizzata a tutti i direttori delle scuole pubbliche.

«La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche

- si legge nella sentenza dei giudici di Strasburgo –

potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, che avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione».

Tutto questo, proseguono,

«potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose, o che sono atei».

Ancora, la Corte

«non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una 'società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione (Europea dei Diritti Umani, ndr), un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana».

«L'esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione in luoghi che sono utilizzati dalle autorità pubbliche, e specialmente in classe, limita il diritto dei genitori di educare i loro figli in conformità con le proprie convinzioni

- concludono i giudici della Corte europea dei Diritti Umani –

e il diritto dei bambini di credere o non credere.

La Corte, all'unanimità, ha stabilito che c'è stata una violazione dell'articolo 2 del Protocollo 1 insieme all'articolo 9 della Convenzione».

Il ricorso a Strasburgo era stato presentato il 27 luglio del 2006 da Solie Lautsi, moglie finlandese di un cittadino italiano e madre di Dataico e Sami Albertin, rispettivamente 11 e 13 anni, che nel 2001-2002 frequentavano l'Istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre.

Secondo la donna, l'esposizione del crocifisso sul muro è contraria ai principi del secolarismo cui voleva fossero educati i suoi figli.

Dopo aver informato la scuola della sua posizione, la Lautsi, nel luglio del 2002, si è rivolta al Tar del Veneto, che nel gennaio del 2004 ha consentito che il ricorso presentato dalla donna venisse inviato alla Corte Costituzionale, i cui giudici hanno stabilito di non avere la giurisdizione sul caso.

Il fascicolo è quindi tornato al Tribunale amministrativo regionale, che il 17 marzo del 2005 non ha accolto il ricorso della Lautsi, sostenendo che il crocifisso è il simbolo della storia e della cultura italiana, e di conseguenza dell'identità del Paese, ed è il simbolo dei principi di eguaglianza, libertà e tolleranza e del secolarismo dello Stato.

Nel febbraio del 2006, il Consiglio di Stato ha confermato questa posizione.

Di qui la decisione della donna di ricorrere alla Corte europea di Strasburgo.

I sette giudici autori della sentenza sono: Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu

Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).

Come funziona la Corte di Strasburgo

La Corte Europea dei diritti dell'uomo è stata istituita dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per assicurarne il rispetto.

Ha sede a Strasburgo.

Non è un'istituzione dell'Unione Europea e non va confusa con la Corte di giustizia.

La Corte può pronunciarsi sia su ricorsi individuali che da parte degli Stati contraenti e svolge una funzione sussidiaria rispetto agli organi giudiziari nazionali, in quanto le domande sono ammissibili solo una volta esaurite le vie di ricorso interne.

Se il ricorso, individuale o statale, è dichiarato ammissibile la questione viene sottoposta al giudizio di una Camera e in ogni caso si cercherà di raggiungere una risoluzione amichevole della controversia.

Se la questione non si risolve amichevolmente, la Camera competente emetterà una sentenza motivata nella quale, in caso di accoglimento della domanda, potrà indicare la entità del danno sofferto dalla parte ricorrente e prevedere un'equa riparazione.

Le sentenze della Corte sono impugnabili, in situazioni eccezionali, davanti alla Grande Camera in un termine di tre mesi, decorso il quale sono considerate definitive.

Gli Stati firmatari della Convenzione si sono impegnati a dare esecuzione alle decisioni della Corte europea.

Il controllo sull'adempimento di tale obbligo è rimesso al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa.

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