La liberta' del web sacrificata sull'altare della sicurezza
l'analisi dello scrittore
MARCO ROVELLI
In data 16 dicembre 2009
Non stupisce che la pluralità delle voci del web diventino oggetto dell'agenda politica solo quando attentano al Capo.
"Attentano", ovviamente, in senso esclusivamente etimologico, ovvero nella misura in cui lo "riguardano".
Ma dal guardare il Capo, di farne oggetto di "mira", al mirare effettivo come quello di un attentatore non c'è che un passo.
E a decidere se il passo varca la soglia sono, oggi, i vari Maroni e Carfagna, che chiedono di far tacere quelle voci, di sedare quel "canaio".
A far la differenza è un'intenzione (che è, appunto, ciò che muove un'attenzione).
Se il Capo lo guardi male, storto, in tralice, allora quel "guardare" non è più la lecita (e financo doverosa) contemplazione, ma un'illecita, e violenta, malevolenza.
E' il Capo il catalizzatore di ogni discrimine tra lecito e illecito.
E dalle sue vicende corporee (reali/virtuali) può nascere un disegno di legge.
Fino ad ora, la molteplicità di gruppi razzisti su Internet non aveva mai rilevato ai fini di un discorso pubblico, nessuno si era mai sognato di mettere all'ordine del giorno di un Consiglio dei ministri una qualche misura restrittiva nei confronti del web.
Eppure basta scorrere i gruppi di Facebook per vedere quante vomitate d'odio razziste, sessiste, omofobe, fasciste.
E' a portata di click, lo può fare chiunque, anche un Maroni.
Eppure, niente.
Ma non è solo questo: è il linguaggio sul web che non ha la stessa valenza che altrove.
Vi è un surplus finzionale, cartoonico, che è specifico del discorso dei social network.
Il parlante, ridotto a scrivente "senza volto", percorre liberamente tutta la superficie del linguaggio, non più costretto da vincoli reali.
L'iperbole, in un social network, è la normalità.
Giudicare quanto avviene in un social network con i parametri della "realtà" significa proprio non cogliere la loro specificità.
Non è il "ti spacco la faccia" del bar a cui poi segue un pugno.
Alle alabarde spaziali del social network non seguono che alabarde spaziali.
Ma le misure restrittive ipotizzate da Maroni non arrivano a questo a livello del discorso, si fermano prima.
A Maroni infatti interessa altro.
Parla di regole non solo per il web ma anche per i cortei.
Si parte dal web per arrivare a colpire il reale.
Il web è ancora una volta, secondo una tendenza in atto, il laboratorio dell'anti-democrazia.
In questa vicenda ci sono tutti, ma proprio tutti, gli elementi di un regime autoritario: l'identificazione Capo/gente, il corpo sacrale del Capo (se doppio o triplo sarebbe da vedersi), la sovranità che sgorga dal Capo (e dunque dal suo corpo virtuale/reale) e azzera qualsiasi divisione e pluralità dei poteri, il vulnus ad esso inferto come vulnus alla stessa democrazia (ormai convertita in plebiscitarismo permanente) - e, come in necessaria successione logica, il binomio sicurezza/libertà, dove i due termini sono inversamente proporzionali.
Lo stato d'eccezione, del resto, si fonda su questo.
Per la vostra sicurezza, vi togliamo la libertà.
Sta nella trama stessa della sovranità moderna, del resto: non pensava forse Hobbes che gli individui, in nome della propria sicurezza, devono rinunciare ai propri diritti e delegarli al Leviatano, al sovrano/dio in terra?
E così funziona ancora, in nome della sicurezza è necessario che rinunciate ai vostri diritti.
Ci stanno provando.
Sta a noi che ci riescano o meno.
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A qualcosa è servito questo articolo, così come anche la netta presa di posizione di
Stefano Rodotà.
Il ministro Maroni ha abbassato il tono ed il rigore assoluto delle emanande leggi.
Vedremo cosa ne verrà fuori perché, in piena contraddizione con alcune esternazioni di “pace” sia del Premier che di qualche ministro, c’è sempre qualcuno che getta benzina sul fuoco.
In aggiunta a quello che in un primo momento il ministro Maroni ha detto
Vorremmo che ci spiegasse il perché non sia stato mai fatto nulla, così come sottolineato da Marco Rovelli nel suo articolo, in presenza di siti con questa foto
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