LA STORIA SI RIPETE
Molte sono le cose mirabili ,
ma nessuna è più mirabile dell’uomo
Antigone, versi 332-333
Sofocle, in questa sua tragedia, pose di già nel suo tempo - 442 avanti Cristo- il problema sulla supremazia delle due leggi esistenti : quella proveniente dagli dei (legge divina) o quella positiva (legge emanata dal re, nella specie Creonte).
L’eterno conflitto che si perpetuerà da allora sino ai nostri giorni.
Spiccano due personaggi; da un lato Antigone che nonostante il divieto reale ed in base alla legge divina, vuole seppellire il fratello Polinice vittima di un duello con il proprio fratello Teocle e dall’altro Creonte, re di Tebe, che ne aveva vietato la sepoltura.
Antigone viene arrestata e rinchiusa in una grotta ma in suo favore interviene il suo fidanzato Emone che invita il padre, Creonte, a liberare la ragazza.
Nel dubbio il re chiama l’indovino Tiresia che lo consiglia di non punire Antigone in omaggio della legge divina.
Creonte si convince e, assieme ad Emone va nella grotta ma nel frattempo Antigone si è impiccata.
Emone, a quella vista, sguaina la spada per tagliare la corda del cappio ma Creonte, credendo che il gesto del figlio preludesse ad un attacco contro di lui si getta sulla lama uccidendosi.
La conclusione è la fine della c.d. saga dei Labdacidi.
Approfittando della complessa trama del suo racconto Sofocle trae lo spunto per descrivere l'uomo come la creatura più meravigliosa dell'intero mondo e, nello stesso tempo, come la più terribile.
Generazioni di studiosi avvicendatesi nel tempo si sono interrogate su come tradurre quell'aggettivo - deivòs - che contiene in sè, come spesso accade anche per altre parole od aggettivi, una vasta gamma di significati che vanno dal “mirabile” al “mostruoso”: due significati in piena antitesi tra di loro.
Quale fosse in realtà l’esatto pensiero di Sofocle non è dato di conoscerlo per cui ogni traduttore lo interpreta a modo suo.
E questa è anche la bellezza del greco antico, inteso come lingua “morta”.
Si può tuttavia, sia pure con qualche dubbio da parte di alcuni studiosi, definire come la più geniale l'interpretazione che diede l’ Holderlin, traducendo l’aggettivo in parola come “smisurato”, così cogliendo nella tragedia quella componente contraddittoria che le è propria:
la rappresentazione del destino tragico dell'uomo con la sua coscienza, la sua piccolezza e la sua grandezza.
Un uomo può essere sin dalla nascita un genio ovvero un idiota, un altro un sincero od un bugiardo, un mite od un crudele, un uomo morale od immorale e così via.
Per altri questi due lati estremi del carattere umano arrivano alle volte anche a toccarsi sino a fondersi e non solo per volere del soggetto: costui, a seconda delle occasioni, sceglie tra i possibili due l’atteggiamento che più gli conviene; e tanto per tutto il corso della sua vita.
Oggi lo definiremmo un uomo dalla doppia faccia, dalla doppia morale, dalla doppia vita in definitiva.
Amore ed odio non potrebbero mai coesistere tanto lontani sono tra loro questi due sentimenti ma capita anche di vederli abbracciati l’un l’altro nel cuore di una persona.
Le convenienze della vita terrena hanno questo potere e trasformano l’uomo in un mostro a due teste, a due facce, a due anime una buona e l’altra perversa.
Oggi assistiamo ad uno spettacolo che appare come orchestrato non da una entità divina bensì da un demone.
Gli eccessi nel bene e nel male non possono, però, trovare giustificazione alcuna se non in quel delirio umano che a poco a poco disintegra il suo possessore.
Riflettete bene e regolatevi poi di conseguenza.
La tragedia è diversa dalla commedia in quanto la loro scena finale è ben diversa.
Noi, ma sino ad un certo punto però, siamo solamente degli spettatori; ciascuno con le proprie convinzioni, con i propri sentimenti che si collegano spesso al grado culturale posseduto.
Potrebbe anche accadere che i nostri sentimenti vengano cloroformizzati da forze a noi esterne, cadendo così in un stato soporoso in cui non riusciamo a trovare più noi stessi, quelli che eravamo un tempo, prima che accadessero alcuni eventi.
Occorre uno choc per risvegliarci, non certo il bacio di un principe o le parole di un mago.
Occorre ricominciare a far funzionare il nostro cervello in maniera autonoma, facendo risorgere quelle nostre risorse etico-morali che abbiamo trascurato per molto tempo ad immagine e somiglianza di qualcuno che ce le ha celebrate in maniera ossessionante.
Muoiono 9milioni di bambini all’anno per fame e per malattie le quali, pur curabili nei paesi civili, nelle loro terre è impossibile per mancanza di medicinali e supporti ospedalieri.
Siamo abituati a leggere notizie come queste e rimanere del tutto indifferenti; facciamo spallucce e una voce dentro di noi ci rassicura: ma a te che te frega, tanto non tocca ai tuoi figli !L’uomo è un essere grande per volontà divina ma poi tocca solo a lui se rimanere in tale dimensione o sprofondare nel baratro dell'immoralità.
ma nessuna è più mirabile dell’uomo
Antigone, versi 332-333
Sofocle, in questa sua tragedia, pose di già nel suo tempo - 442 avanti Cristo- il problema sulla supremazia delle due leggi esistenti : quella proveniente dagli dei (legge divina) o quella positiva (legge emanata dal re, nella specie Creonte).
L’eterno conflitto che si perpetuerà da allora sino ai nostri giorni.
Spiccano due personaggi; da un lato Antigone che nonostante il divieto reale ed in base alla legge divina, vuole seppellire il fratello Polinice vittima di un duello con il proprio fratello Teocle e dall’altro Creonte, re di Tebe, che ne aveva vietato la sepoltura.
Antigone viene arrestata e rinchiusa in una grotta ma in suo favore interviene il suo fidanzato Emone che invita il padre, Creonte, a liberare la ragazza.
Nel dubbio il re chiama l’indovino Tiresia che lo consiglia di non punire Antigone in omaggio della legge divina.
Creonte si convince e, assieme ad Emone va nella grotta ma nel frattempo Antigone si è impiccata.
Emone, a quella vista, sguaina la spada per tagliare la corda del cappio ma Creonte, credendo che il gesto del figlio preludesse ad un attacco contro di lui si getta sulla lama uccidendosi.
La conclusione è la fine della c.d. saga dei Labdacidi.
Approfittando della complessa trama del suo racconto Sofocle trae lo spunto per descrivere l'uomo come la creatura più meravigliosa dell'intero mondo e, nello stesso tempo, come la più terribile.
Generazioni di studiosi avvicendatesi nel tempo si sono interrogate su come tradurre quell'aggettivo - deivòs - che contiene in sè, come spesso accade anche per altre parole od aggettivi, una vasta gamma di significati che vanno dal “mirabile” al “mostruoso”: due significati in piena antitesi tra di loro.
Quale fosse in realtà l’esatto pensiero di Sofocle non è dato di conoscerlo per cui ogni traduttore lo interpreta a modo suo.
E questa è anche la bellezza del greco antico, inteso come lingua “morta”.
Si può tuttavia, sia pure con qualche dubbio da parte di alcuni studiosi, definire come la più geniale l'interpretazione che diede l’ Holderlin, traducendo l’aggettivo in parola come “smisurato”, così cogliendo nella tragedia quella componente contraddittoria che le è propria:
la rappresentazione del destino tragico dell'uomo con la sua coscienza, la sua piccolezza e la sua grandezza.
Un uomo può essere sin dalla nascita un genio ovvero un idiota, un altro un sincero od un bugiardo, un mite od un crudele, un uomo morale od immorale e così via.
Per altri questi due lati estremi del carattere umano arrivano alle volte anche a toccarsi sino a fondersi e non solo per volere del soggetto: costui, a seconda delle occasioni, sceglie tra i possibili due l’atteggiamento che più gli conviene; e tanto per tutto il corso della sua vita.
Oggi lo definiremmo un uomo dalla doppia faccia, dalla doppia morale, dalla doppia vita in definitiva.
Amore ed odio non potrebbero mai coesistere tanto lontani sono tra loro questi due sentimenti ma capita anche di vederli abbracciati l’un l’altro nel cuore di una persona.
Le convenienze della vita terrena hanno questo potere e trasformano l’uomo in un mostro a due teste, a due facce, a due anime una buona e l’altra perversa.
Oggi assistiamo ad uno spettacolo che appare come orchestrato non da una entità divina bensì da un demone.
Gli eccessi nel bene e nel male non possono, però, trovare giustificazione alcuna se non in quel delirio umano che a poco a poco disintegra il suo possessore.
Riflettete bene e regolatevi poi di conseguenza.
La tragedia è diversa dalla commedia in quanto la loro scena finale è ben diversa.
Noi, ma sino ad un certo punto però, siamo solamente degli spettatori; ciascuno con le proprie convinzioni, con i propri sentimenti che si collegano spesso al grado culturale posseduto.
Potrebbe anche accadere che i nostri sentimenti vengano cloroformizzati da forze a noi esterne, cadendo così in un stato soporoso in cui non riusciamo a trovare più noi stessi, quelli che eravamo un tempo, prima che accadessero alcuni eventi.
Occorre uno choc per risvegliarci, non certo il bacio di un principe o le parole di un mago.
Occorre ricominciare a far funzionare il nostro cervello in maniera autonoma, facendo risorgere quelle nostre risorse etico-morali che abbiamo trascurato per molto tempo ad immagine e somiglianza di qualcuno che ce le ha celebrate in maniera ossessionante.
Muoiono 9milioni di bambini all’anno per fame e per malattie le quali, pur curabili nei paesi civili, nelle loro terre è impossibile per mancanza di medicinali e supporti ospedalieri.
Siamo abituati a leggere notizie come queste e rimanere del tutto indifferenti; facciamo spallucce e una voce dentro di noi ci rassicura: ma a te che te frega, tanto non tocca ai tuoi figli !L’uomo è un essere grande per volontà divina ma poi tocca solo a lui se rimanere in tale dimensione o sprofondare nel baratro dell'immoralità.
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