Sconfitti e contenti
di
Tommaso Cerno
Ai consiglieri regionali non rieletti andranno 32 milioni di euro di liquidazioni.
Mentre i vitalizi per gli ex supereranno i 100 milioni.
Ecco i privilegi della casta locale.
E il governo rinvia il taglio delle poltrone.
Altro che onorevolini.
La casta local dei consiglieri regionali spende e spreca come quella global di Montecitorio.
E il diminutivo fa davvero sorridere: costano cari quando sono in carica e si paga salato pure chi perde la poltrona.
Berlusconi aveva annunciato sforbiciate e tagli negli enti locali.
E invece niente.
Succederà tutto di nuovo il 28 e 29 marzo, quando 13 regioni andranno alle urne e l'esercito dei trombati, anziché piangere per la delusione, riderà passando alla cassa.
Pronto a intascare la liquidazione d'oro che spetta agli ex e che regalerà oltre 32 milioni di euro netti ai reduci di questa legislatura, senza contare il vitalizio che succhia un centinaio di milioni l'anno e potrebbe crescere del 15 per cento.
LA MAPPA INTERATTIVA
Cifre che raddoppiano se si calcola l'esborso lordo per le casse pubbliche e triplicano sommando le regioni che hanno votato in anticipo.
Tanto a pagare il conto ci penseranno come sempre gli italiani.
La sfera di cristallo per stimare quanti incasseranno la buona uscita non c'è, ma la statistica aiuta.
"L'espresso" ha analizzato i dati delle precedenti elezioni, arrivando a una stima.
A ogni ex andranno in media 43 mila euro per 5 anni di carica, già sgravati da tasse e contributi.
Con picchi da super manager per i veterani, che in alcuni casi si porteranno a casa fino a 257 mila euro dopo tre mandati.
A colpi di simili Tfr per sforare il tetto dei 30 milioni basta che la metà dei 709 consiglieri
(e un centinaio di assessori) chiamati al rinnovo non sia rieletto, calcolando due legislature a testa. Sono costi della politica che salgono in silenzio a ogni elezione.
Nessuno ci fa caso perché quei parlamentini sembrano minuscoli, contano fra 30 e 90 consiglieri ciascuno.
Ma presi tutti insieme fanno quasi 1.100 onorevoli, più di Camera e Senato.
Ecco che in bilancio c'è chi infila 8,9 milioni in più come la Lombardia, chi 3,5 come il Veneto o 4 come il Piemonte.
Crescono le spese anche nelle regioni più piccole, come le Marche, dove stanziano mezzo milione. "Sono conti fatti a spanne.
Noi abbiamo previsto 6 milioni e non è certo che ci basteranno", spiegano nel Lazio.
A Napoli il 28 dicembre su queste spese s'è sfiorata la rissa in aula:
"Il presidente Mucciolo faccia chiarezza sul punto, senza se e senza ma",
ha chiesto Angelo Giusto del Pd.
Nel bilancio non c'è traccia di quattrini, eppure la legge prevede fra 46 e 140 mila euro, solo in minima parte accantonati con le trattenute.
Austerity?
Macché, un escamotage per non far crescere, almeno in apparenza, i conti di un consiglio dove quasi il 40 per cento viene inghiottito dagli stipendi dei politici.
Fanno oltre 32 milioni l'anno.
La patata bollente passerà alla nuova giunta che dovrà trovare altri soldi per rimborsare chi rimarrà senza poltrona.
Nel 2005 capitò a 35 consiglieri su 60 e costò più di 4 milioni:
"Prevediamo una cifra simile anche stavolta", ammettono a Palazzo.
L'ira del cardinale
Sulla casta dei regionali è stato scagliato perfino un anatema.
A Natale il cardinale di Torino, Severino Poletto, tuonò contro la "vergogna" di una politica che in tempi di crisi nera non ha di meglio da fare che aumentarsi lo stipendio.
Il Tfr piemontese con i suoi 85 mila euro netti a legislatura è il più alto d'Italia, assieme a quello della Puglia, pari a 80 mila.
Le regioni che si sono raddoppiate i fondi (due mesi di stipendio per ogni anno passato fra i banchi) stanno una al Nord e l'altra al Sud, a dimostrare che la mappa delle liquidazioni da sogno non rispetta il confine del Po, ma straripa dappertutto.
"Servirebbero esempi di austerità quando tanta parte della popolazione vive male",
denuncia il porporato.
E in tutta risposta il consiglio scarica la colpa sull'ex governatore di centrodestra Ghigo,
che introdusse il nuovo tariffario.
Anche se pure con il Pd nell'era Bresso l'indennità che per un operaio Fiat equivale a due vite e mezzo in fabbrica è rimasta invariata.
La motivazione ufficiale fa sorridere, anche perché rievoca la procedura per gli ex detenuti:
"Quei soldi servono al reinserimento sociale",
ripetono un po' tutti i politici.
Insomma, risarcisce il professionista che ha perso clienti per dedicarsi alla cosa pubblica, come Luca Caramella del Pdl:
"Non è facile ripartire da zero quando non vieni rieletto, soprattutto se il consigliere lo fai a tempo pieno come me", risponde al vescovo.
Ma anche il bancario a 2 mila euro al mese, come Mariano Rabino del Pd:
"Nel 2000 mi sono pagato una costosa campagna elettorale e non sono riuscito a farcela.
Per coprire i debiti ci ho messo qualche anno.
In banca ho ritrovato il mio posto, ma la carriera era ormai ferma ".
Eppure nel plotone dei reduci non tutti sono d'accordo.
Come Luigi Bianchini, avvocato marchigiano eletto nel 1970, proprio all'esordio dei nuovi enti.
È un senior degli ex, ma ammette che quando è troppo è troppo:
"L'indennità di fine mandato per chi ritrova il posto di lavoro non ha alcun senso.
Andrebbe abolita", taglia corto.
Per ora è un sogno.
Quando Roma impose una dieta ai conti regionali, ci fu l'insurrezione.
Al punto che la Campania fece ricorso e vinse:
"Quella norma denota un centralismo inaccettabile e scavalca i nostri poteri",
hanno sostenuto tornando alla vecchia e più generosa retribuzione.
Così ogni Regione può ritoccare in piena autonomia il privilegio.
Alcuni virtuosi, si fa per dire, ci sono.
La buona uscita ce l'hanno anche loro, ma più bassa.
In Calabria ricevono 21 mila euro netti a legislatura, in Emilia Romagna 24 mila e in Veneto 27 mila.
È il cruccio di Alberto Deambrogio del Prc, firmatario di una proposta di legge per ridurre i privilegi. Non ci sta ad essere bollato come sprecone a causa di queste differenze in busta paga:
"Siamo diventati uno dei cavalli di battaglia dell'antipolitica per l'impostazione craxiana mai sopita, un uso del denaro pubblico troppo leggero ", dice.
Lui prende l'indennità di carica e, se non sarà confermato, avrà il suo Tfr e il vitalizio.
"Ma giro quasi tutto al partito", ribatte.
Già, versa il 55 per cento dopo il flop alle politiche che ha tagliato fuori Rifondazione dai rimborsi elettorali:
"La gente non capisce, ma io sono fra l'incudine e il martello.
Da una parte mi dicono che siamo la casta, dall'altra i compagni di Casale Monferrato mi chiedono come mai non ci sono i nostri manifesti per le regionali.
Perché non ci sono soldi.
Avanti di questo passo la politica rischia di tornare una prerogativa dei ricchi".
Premio fedeltà
Chi è in odore di addio, non se ne sta certo con le mani in mano.
Mentre i disoccupati cantano sotto la sua finestra "O lavoro ce ata dà!", l'assessore campano Corrado Gabriele, ad esempio, piazza fedelissimi dello staff all'Agenzia del lavoro.
Il 31 dicembre è stato nominato direttore generale Francesco Girardi, fino al giorno prima coordinatore d'area del suo assessorato.
La scelta spettava proprio a Gabriele e all'ufficio: c'erano 50 profili idonei, hanno preferito lui.
Tanto che la Cisl già annuncia un ricorso.
Una settimana fa, poi, i dipendenti del consiglio hanno scioperato.
Ce l'hanno con l'ipotesi di stabilizzazione di circa 210 ?comandati da altri enti?, gente che proviene da società pubbliche o private, fuggita dopo pochi giorni, il tempo necessario per accomodarsi a Palazzo senza concorso.
Costano 6 milioni l'anno.
Sistemare i portaborse, però, è pratica bipartisan e diffusa.
In Veneto qualche tempo fa sono stati addirittura stabilizzati grazie a una legge votata all'unanimità, con la polemica fuoriuscita del governatore Giancarlo Galan dal gruppo di FI.
Grandi manovre anche in Calabria, dove già nel 2001 vennero assunti 86 portaborse
in tempo di elezioni.
C'era di tutto.
Figli, fratelli, sorelle di politici e pure funzionari di partito.
Addirittura Carlo Guccione, allora segretario provinciale Ds di Cosenza e oggi trionfatore alle primarie del Pd.
Ma la tradizione continua, fra graduatorie che si allungano all'Arpacal, l'agenzia per l'ambiente,
e assunzioni a chiamata diretta nelle Asl.
Tutti raccomandati dai trombati in fuga nel 2010.
Sfizi e vitalizi
Finito di pensare agli amici e spendere la regalia, si torna in coda per il vitalizio.
Guai a chiamarlo baby pensione, gli onorevoli si infuriano.
E invece si tratta proprio di questo.
Per maturarla bastano quasi sempre cinque anni e non ne servono certo 35 come ai comuni mortali. E proprio dopo il voto di primavera si prevede una nuova infornata, tanto che fra le pieghe delle Finanziarie locali compare l'ennesima voce di spesa.
Il Lazio ha stanziato il 12,5 per cento in più, passando da 14 a 16 milioni di euro l'anno, altri stimano addirittura un incremento del 25 per cento come l'Umbria che ritocca la posta da 1,9 a 2,4 milioni.
Se la media sarà davvero questa, cioè 2 milioni di maggiori uscite per un'assemblea da 70 consiglieri, si spenderanno quasi 15 milioni in più.
La Conferenza dei consigli regionali a Roma cerca di metterci una pezza.
Nemmeno i tecnici conoscono nel dettaglio tutte le leggi in vigore.
Per fare i conti ci hanno messo anni e qualche misteriosa casella vuota c'è ancora:
"Anche per il vitalizio i consigli sono sovrani e, se questo è giusto sul piano dell'autonomia, crea però delle disuguaglianze che i cittadini non comprendono", spiegano alla direzione.
Proprio così.
Le indennità sono calcolate su quelle dei parlamentari, ma c'è chi si assegna il 65 per cento come Liguria e Marche, chi il 90 come il Lazio, chi l'intera cifra come la Sicilia.
Anche i contributi obbligatori variano dal 10 al 27 per cento, come l'età di riscossione.
E se una serena vecchiaia è un diritto, a Roma la politica non ha mai sentito parlare dello scalone, visto che chi resta fuori dall'aula di via della Pisana può anticiparsi la pensione già dai 50 anni. Muovendosi lungo la Penisola cambia di poco.
L'età minima è spesso 60 anni, ma si può quasi sempre bluffare.
C'è chi ci mette qualche mese in più, chi rinuncia agli spiccioli, ma la morale è la stessa:
la spesa dei regionali è fuori controllo.
Le baby pensioni
A rimettere ordine ci provò l'ex coordinatore nazionale delle assemblee legislative Alessandro Tesini, che rese pubblici i criteri di calcolo.
"Ci fu una mezza rivoluzione, ma rifarei tutto.
Indennità e vitalizio così come sono rappresentano un'anomalia italiana",
denuncia l'esponente del Pd.
Tanto che il sistema è saltato da almeno vent'anni.
Anche in questo caso non esistono statistiche ufficiali, eppure raffrontando i bilanci passati,
la falla è presto trovata.
Il meccanismo dei contributi resse fino al 1990.
Da allora gli ex consiglieri (oggi sono oltre 4.500) superano quelli in carica:
"In questo modo il vitalizio viene alimentato da una trattenuta che, nel tempo,
è sempre più esigua rispetto alle uscite.
Il nostro fondo non è più in grado di autoalimentarsi per cui preleva denaro pubblico, quando gli istituti pensionistici come l'Inps devono per legge chiudere in pareggio", spiega Tesini.
C'è anche una seconda anomalia e cioè la percentuale di trattenute,
che non supera i duemila euro al mese.
Nessuna assicurazione privata in Italia, a fronte di versamenti del genere, garantirebbe una rendita vitalizia media di oltre 5 mila euro lordi con picchi da ottomila euro in così breve tempo.
Senza considerare che la pensione è anche reversibile, passa cioè ai congiunti in caso di morte.
Fra crociate anti spreco e conti che non tornano, lo squadrone degli ex si sente in pericolo.
Teme che un brutto giorno anche in Italia il bonus per i trombati svanisca nel nulla.
Per dare battaglia si sono inventati le associazioni di categoria, forti di migliaia di iscritti regione per regione, e hanno pure un coordinamento nazionale per fare pressing sul parlamento.
"Siamo noi i primi che abbiamo attuato una politica del risparmio, proprio per evitare interventi dall'alto ",
protestano i presidenti dei gruppi di ex da Nord a Sud.
"I parlamentari nazionali sono uniti, fanno blocco, e in questo modo li stanno ad ascoltare.
Noi non saremo da meno".
Anche se la falla nei conti s'allarga.
Inesorabile a ogni rinnovo.
ha collaborato Claudio Pappaianni
(20 gennaio 2010)
E
PANTALONE PAGA
anche chi con la politica si è fatto miliardario !
Queste sarebbero le riforme da fare subito ma la maggioranza le evade così come coloro che evadono le tasse e votano per gi evasori.
Il vero problema italiano sta proprio nell’evasione fiscale e nell’aumento del debito pubblico..
Una volta sistemata questa spina nel nostro fianco tutto il resto si appiana se si ha effettivamente a cuore il destino di milioni di italiani, specie i soliti che arrivano a stento alla terza settimana e coloro che smettono di cercare il posto di lavoro perché hanno perso ogni speranza di trovarlo.
E’ poi proprio in questo spaccato che la malavita organizzata cerca e trova i propri proseliti in quanto spinti a ciò dalla fame.
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