di EZIO MAURO
Direttore responsabile de La Repubblica
7 febbraio 2009
Pronto in caso contrario a "rivolgersi al popolo" per cambiare la Costituzione.
Il Presidente del Consiglio non era mai intervenuto in questi mesi nel dibattito morale, politico e culturale sollevato da Beppino Englaro con la scelta di chiedere la sospensione della nutrizione artificiale per sua figlia, ponendo fine ad un'esistenza vegetativa di 17 anni, giudicata irreversibile da 14.
Ma ieri l'istinto populista ha consigliato al Premier di scegliere proprio il dramma pubblico di Eluana, giunto al culmine della sua valenza emotiva sollecitata dalla cornice di sacralità guerresca del Vaticano, per sfidare Napolitano su una questione di fondo: il perimetro e la profondità del potere del suo governo, che Berlusconi vuole sovraordinato ad ogni altro potere, libero da vincoli e controlli, dominus incontrastato del comando politico.
È uno scontro che segna un'epoca, perché chiude la prima fase di un quindicennio berlusconiano di poteri contrastati ma bilanciati e ne apre un'altra, che ha l'impronta risolutiva di una resa dei conti costituzionale, per arrivare a quella che Max Weber chiama l'"istituzionalizzazione del carisma" e alla rottura degli equilibri repubblicani: con la minaccia di una sorta di plebiscito popolare per forzare il sistema esistente, disegnare una Costituzione su misura del Premier, e far nascere infine un nuovo governo, come fonte e risultato di questa concezione tecnica mente bonapartista, sia pure all'italiana.
Il caso Eluana, dunque, nel momento più alto della discussione e della partecipazione del Paese, si è ridotto a pretesto e strumento di una partita politica e di potere.
Berlusconi aveva infine ceduto alle pressioni del Vaticano e all'opportunità di dare alla sua destra senz'anima e senza tradizione un'identità cristiana totalmente disgiunta dalle biografie e dai valori, ma legata alla precettistica e alle politiche concrete della Chiesa: così ieri mattina ha annunciato al Consiglio dei ministri la volontà di varare un decreto legge di poche righe, per vanificare la sentenza definitiva della magistratura che accoglie la richiesta di Beppino Englaro, e per impedire la sospe
nsione già avviata ad Udine dell'alimentazione e dell'idratazione per Eluana.
Il Presidente della Repubblica, che già aveva spiegato giovedì al governo l'insostenibilità costituzionale del decreto, ha deciso di assumersi su un caso così delicato una pubblica responsabilità, che non si presti ad equivoci davanti all'esecutivo, al Parlamento, alla pubblica opinione.
Dando forma e sostanza all'istituto della "moral suasion", ha scritto una lettera a Berlusconi in cui spiega le ragioni che rendono impossibile il decreto, se si guarda - come il Capo dello Stato deve guardare - soltanto alla Costituzione, ai suoi principi, ai criteri che stabilisce per la decretazione d'urgenza.
C'è una legge sul fine-vita davanti al Parlamento, dice Napolitano nel messaggio, c'è la necessità di rispettare una pronuncia definitiva della magistratura, se non si vuole violare "il fondamentale principio della separazione e
del reciproco rispetto" tra poteri dello Stato, c'è la norma costituzionale dell'uguaglianza tra i cittadini davanti alla legge, quella sulla libertà personale, quella sulla possibilità di rifiutare trattamenti sanitari.
Ci sono poi i precedenti di altri inquilini del Quirinale - Pertini, Cossiga, Scalfaro - che non hanno firmato decreti-legge, e soprattutto c'è la funzione di "garanzia istituzionale" che la Costituzione assegna al Capo dello Stato.
Da qui l'invito al governo di "evitare un contrasto", riflettendo sulle ragioni del no del Presidente.
Con ogni probabilità è stato questo richiamo al ruolo di garanzia del Quirinale, unito al gesto pubblico di rendere nullo il decreto del governo, rifiutandosi di emanarlo, che ha convinto Berlusconi a sfruttare l'occasione per aprire la contesa suprema sul potere al vertice dello Stato.
In conferenza stampa il Premier ha spiegato la sua scelta sul caso Englaro con motivazioni morali ("Non mi voglio sentire responsabile di un'omissione di soccorso per una persona in pericolo di vita") ma anche con giudizi medico-scientifici approssimativi ("Lo stato vegetativo potrebbe variare"), e con affermazioni incongrue e sorprendenti:
"Eluana è una persona viva, che potrebbe anche avere un figlio".
Ma il cuore del ragionamento berlusconiano è un altro: la lettera di Napolitano è impropria, perché il giudizio sulla necessità e urgenza di un decreto spetta per Costituzione al governo e non al Quirinale, mentre il giudizio di costituzionalità tocca al Parlamento. Non solo, ma il decreto d'urgenza è l'unico vero strumento di governo in un sistema costituzionale antiquato.
E se il Capo dello Stato "decidesse di caricarsi della responsabilità di una vita", non firmando il decreto, il governo si ribellerebbe invitando il Parlamento "a riunirsi ad horas" per approvare "in due o tre giorni" una legge stralcio che anticipi il testo in discussione al Senato, bloccando così l'esito della vicenda Englaro. Eluana, tuttavia, è già sullo sfondo, ridotta a corpo ideologico e a pretesto politico. Ciò che a Berlusconi interessa dire è che non si può governare il Paese senza la piena e libera potestà governativa sui decreti legge.
"Si può arrivare ad una scrittura più chiara della Costituzione.
Senza la possibilità di ricorrere a decreti legge, tornerei dal popolo a chiedere di cambiare la Costituzione e il governo".
La sfida è esplicita, addirittura ostentata.
Quirinale e Parlamento devono capire che il governo assumerà il potere legislativo attraverso i decreti legge, della cui ammissibilità sarà l'unico giudice, con le Camere chiamate ad una ratifica automatica di maggioranza e il Capo dello Stato costretto ad una firma cieca e meccanica.
Berlusconi vuole decidere da solo, in un'aperta trasformazione costituzionale che realizza di fatto il presidenzialismo, aggiungendo potestà legislativa all'esecutivo nella corsia privilegiata della necessità e dell'urgenza, criteri di cui il governo è insieme beneficiario e giudice unico, senza lasciar voce in capitolo al Capo dello Stato.
Un Capo dello Stato minacciato pubblicamente dal Premier, se non firma il decreto per un deficit costituzionale, di "caricar
si della responsabilità di una vita"
Qualcosa che non era mai avvenuto nella storia della Repubblica, per i toni politici, per i modi istituzionali, per la sostanza costituzionale: e anche per la suggestione umana.
La risposta di Napolitano poteva essere una sola: con rammarico, il Presidente non firma, perché il decreto è incostituzionale.
L'assunzione di responsabilità del Quirinale rende nullo il decreto, e costringe Berlusconi a imboccare la strada parlamentare, sia pure con le forme improprie annunciate ieri.
Ma la lacerazione rimane, il progetto di salto costituzionale anche.
È un progetto bonapartista, con il Premier che chiede di fatto pieni poteri in nome del legame emotivo e carismatico con la propria comunità politica, si pone come rappresentante diretto della nazione e pretende la subordinazione di ogni potere all'esecutivo.
Avevamo avvertito da tempo che qui portavano le leggi ad personam, i "lodi" che pongono il Premier sopra la legge, la tentazione continua di sovraordinare l'eletto dal popolo agli altri poteri. Ieri, Napolitano ha saputo opporsi, in nome della Costituzione. La risposta del Premier è stata che il Capo dello Stato non potrà mai più opporsi, e la Costituzione cambierà.
Ecco perché la data di ieri apre una fase nuova nella vita del Paese, una Terza Repubblica basata su una nuova geografia del potere, una nuova legittimità costituzionale, un nuovo concetto di sovranità, trasferito dal popolo al leader.
Si può far finta di non vedere cosa sta accadendo, con l'immorale pretesto della tragedia di Eluana?
Ieri la voce più forte a sostegno di Napolitano è stata quella del Presidente della Camera, che sembra ormai muoversi in un perimetro laico e costituzionale, da destra repubblicana. Dall'altra sponda del Tevere, mai così stretto, è venuto il plauso a Berlusconi del Cardinal Martino, presidente del pontificio consiglio Giustizia e Pace, e la sua "profonda delusione" per la scelta di Napolitano di non firmare il decreto.
Come se insieme alle chiavi di San Pietro il Vaticano avesse anche la golden share del governo italiano e delle sue libere istituzioni.
Certo, sotto gli occhi attoniti del Paese e sotto gli occhi che non vedono di Eluana Englaro ieri è andato in scena uno scambio di favori al ribasso, col Dio italiano consegnato alla destra berlusconiana, come un protettorato, in cambio di una difesa di valori disincarnati e precetti vaticani, da parte di un paganesimo politico servile e mercantile.
Dal caso Eluana non nasce una forza cristiana: ma un partito ateo e clericale insieme, che è tutta un'altra cosa.
Leggevo ieri alcuni commenti su un articolo pubblicato da L’Espresso, alcuni dei quali definivano sia il suddetto settimanale che La Repubblica come stampa comunista.
Mi piacerebbe conoscere da queste persone che si sono bevute i loro cervelli cosa ci sia di comunista nell’editoriale di cui sopra redatto dal direttore del quotidiano in parola.
Non delle frasi ma anche una sola parola che inneggi al comunismo da cui, peraltro, ha tanto imparato e messo in atto il loro plagiatore di cervelli umani.
Sin dalla sua prima discesa in campo non c’era in ogni città grande o piccola che fosse, spazi pubblicitari liberi in quanto erano stati tutti occupati dalla sua immagine accompagnate da slogans inverosimili quali il Presidente operaio, contadino, meccanico, meno tasse per tutti, dimenticando il seguito…per i ricchi e per i ricconi come me ; dei suoi cavalier serventi, candidati a scaldare i seggi del Parlamento, manco una foto tessera, nemmeno un nome, come se non ci fossero, dei candidati ombra, dei fantasmi che però dovevano essere votati.
Nel Collegio di Corsico vinse un tizio che nessuno sapeva nemmeno chi fosse, da dove venisse, cosa facesse, che meriti vantava per essere candidato al Senato: buio pesto.
Non mise mai piede in questa città.
Venne però eletto lo stesso perché votarono l’immagine di Berlusconi.
Questo modo di fare fu definito, ancor prima che se ne appropriasse Berlusconi, come il “culto della personalità” e rappresentò una delle tante accuse rivolte a Stalin.
Se avevano ragione allora i suoi oppositori altrettanto occorrerebbe fare già da qualche anno a questa parte al cavaliere anche se lui, da quel furbetto che è, ebbe dall’America un prezioso consiglio nella pratica ben collaudato proprio lì:
“Se vuoi vincere le elezioni scegliti un nemico qualsiasi, se non esiste createlo, e dacci contro a tutta forza”.
I commentatori dei quali ho fatto cenno mi hanno ricordato proprio questo suggerimento sul quale il nostro ha poi creato le basi di ogni sua campagna elettorale, ed anche in altre in altre occasioni, sino al punto di arrivare a dire che “i cinesi bollivano i bambini e poi se li mangiavano”.
I cinesi mangiano anche le formiche e qui in Italia credo che non ci sia mai stato un comunista che se le sia mai mangiate.
Ad un tizio, conosciuto durante la passeggiata mattutina con il mio fido cane, parlando del più e del meno incominciò ad un certo punto a parlare dei comunisti affibbiando loro epiteti incredibili; lo feci straparlare ed una volta che ebbe finito gli posi una domandina facile facile: ma a lei cosa hanno fatto i comunisti per parlarne così male; nulla mi rispose ma se lo dice il Berluska c’è da crederci ! Sic!!
I comunisti, definiti oggi filobolscevici, furono tutti in prima fila per salvare le nostre fabbriche che i nazi-fascisti volevano distruggere durante la loro ritirata, aiutati in ciò dalle camicie nere della repubblica di Salò, le ultime raffiche della dittatura fascista dalle mani sporche di sangue.
Hanno contribuito assieme alle forze liberali, repubblicane e cattoliche ad organizzare la Resistenza ed a combattere assieme fianco a fianco alle truppe alleate.
Hanno dato il loro sangue tutti assieme perché l’Italia divenisse una nazione civile, laica e democratica, una Repubblica che potesse rientrare nel contesto mondiale non come una nazione vinta ma a testa alta, come, sia pure in ritardo, vincitrice sulla furia nazista.
Adesso abbiamo una specie di signorotto che in nome di una morale che, personalmente, gli fa molto difetto vuole questo ed altro, in poche parole tutto nelle sue mani, così stravolgendo, con un sol tocco di un unico pulsante, tutte le regole democratiche che ogni Paese civile ha voluto, nessuna esclusa, darsi come modello di vita sociale ed economica.
La divisione dei poteri, controllata e difesa da un garante – il Capo dello Stato - è l’unico modello perfetto cui deve ispirarsi ogni equilibrio istituzionale.
Ma il nostro bassotto plurindagato vuole attrarre a sé la carica più alta con in mano i tre poteri istituzionali.
Ma questa non è più democrazia ma una storia del tutto diversa: quella della più becera tirannia.
Mi viene in mente il momento in cui il 10 novembre 2007 fece il suo ingresso nella sala, gremita di neofascisti di ogni risma, in cui si svolgeva la consacrazione della nascita de La Destra di Storace.
Venne accolto da una standing ovation e dal reiterato grido:
DUCE, DUCE,DUCE.
Lui se la godeva compiaciuto, sorridendo.
Arrivato sul palco, baci abbracci, pacche sulle spalle
"Il mio cuore vibra con voi"
Stando così le cose, chiare come il sole d’agosto, che dire di più se non per aggiungere solamente che Eugenio Scalari nel suo editoriale domenicale commenta l’articolo, anche rifacendosi alla nostra storia di qualche tempo addietro, appena poco più di 70 anni fa, di Enzo Mauro.
E’ interessante tutto l’editoriale centrato sul caso della povera Eluana, ma, in particolare sul tentativo eversivo di cambiare le regole democraticamente dai nostri nonni e padri.
Ve lo proporrò domani.
Acqua passata afferma il participio passato del verbo inquisire, in alcune parti certo che col passar delle epoche potrebbero avere, come anche è avvenuto in passato, delle rinfrescatine condivise da tutti ma lui pretende ben altro: il potere assoluto e questa sua pretesa verrà sempre delusa salvo interventi cruenti sul popolo italiano e sulle sue attuali istituzioni.
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