lunedì, agosto 27, 2007

I plagiati - IV^ parte


L'ESEMPIO DELLO STRUZZO
e la sua conseguenza sull'uomo:
lo
STRUZZONISMO
PARTE IV^
I processi incardinati a seguito della contestazione del reato di plagio nel corso dei 50 anni della sua vigenza sono stati molto rari e, comunque, gli imputati vennero assolti con declaratoria dell'insussistenza del fatto e/o perchè il fatto non integrava il reato per il quale l'accusa aveva ritenuto di dover procedere penalmente.
Solamente due processi fecero all'epoca scalpore più per la personalità dei rispettivi imputati che per i fatti in sé, sebbene nel primo processo i giudicanti ebbero nei confronti dell'accusato considerazioni infamanti che, da un lato, costituirono un ruolo determinante nella motivazione della sentenza di condanna e. in un secondo momento, la prova dell'arbitrarietà con cui venne interpretata questa norma giuridica da parte dei giudici della Corte d'Assise di Roma tanto da indurre la Consulta a dichiararla come in contrasto con la nostra legge costituzionale
.
Il perchè di così pochi processi in mezzo secolo di vigenza pur in presenza di moltissimi casi di succubi di veri e propri lavaggi del cervello l'ho già anticipato ma qui ribadisco come la descrizione dell'azione che avrebbe dovuto integrare il reato di plagio era talmente vaga che la dottrina e la stessa giurisprudenza definirono l'articolo 603 C.P. come una fattispecie meramente teorica di un reato ipotetico: fumo negli occhi e niente di più!
IL PRIMO PROCESSO
venne celebrato nel 1968 presso la Corte d'Assise di Roma e si concluse con una pesante condanna nei confronti dell'imputato, tale Aldo Braibanti, nonostante la pena venisse poi ridotta dalla Corte d'Assise d'Appello nel 1969, ancor diminuita poi con l'applicazione di un condono per gli ex partigiani; il caso venne chiuso definitivamente con la sentenza del 30 settembre 1971 della Corte di Cassazione che confermava la decisione assunta in secondo grado.
IL SECONDO PROCESSO
venne celebrato nel 1978 presso il Tribunale di Roma a danno di un sacerdote cattolico e si concluse con l'archiviazione degli atti a seguito della già ricordata sentenza della Corte Costituzionale del 1981.
Il processo al diavolo
Aldo Braibanti, chi era costui e quali le circostanze di fatto che determinarono il processo contro di lui ?
Laureato in filosofia teoretica, poeta, artista, esperto ceramista, mirmecologo, autore di testi per il teatro e di programmi radiofonici, regista di cinema sperimentale; un ingegno multiforme ma, per molti di quei tempi, aveva alcuni difetti:
1- sin dall'età di 16 anni si era dichiarato antifascista;
2- ancora studente liceale si era iscritto al movimento – allora clandestino - “Giustizia e Libertà” e nel 1943 al Partito Comunista;
3- era ritenuto, e forse lo era, un omosessuale, un
DIVERSO.
Per la sua attività antifascista venne, durante il ventennio fascista, catturato e segregato per due anni presso la fiorentina “Villa Triste” - via Bolognese 67 – occupata al piano terra dalla famigerata 92^ legione della milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale ed al piano superiore dalle SS - dove venne sottoposto ad ogni sorta di sevizie.
Uno dei tanti luoghi definiti oggi di “villeggiatura” da un personaggio della nostra politica nonostante che sulla facciata di questo immobile spicchi una lapide che ricorda ai passanti i suoi tristi trascorsi:
“ Non più Villa Triste se in queste mura spiriti innocenti e fraterni animati sol di coscienza in faccia a spie, torturatori, carnefici, vollero per riscattare vergogna, per restituire dignità, per non rivelare il compagno, languire, soffrire, morire per non tradire”.
Eppure anche di questi tempi c'è ancora qualcuno che inneggia e ricorda quel periodo come uno dei migliori che l'Italia abbia mai avuto e che il nostro DUCE di allora fu uno dei più grandi uomini politici europei !
Figuriamoci allora cosa sia stato per costoro Hitler !
Ma, tornando al Braibanti, ecco la trappola per toglierselo dai piedi.
Nel 1964, all'età di 35 anni, venne denunciato da tale Ippolito Sanfratello con l'accusa di aver “plagiato” il di lui figlio Giovanni che, a quel che sembra, aveva deciso di abbandonare la famiglia per andare a vivere a Roma presso l'abitazione del Braibanti in quanto intenzionato a dedicarsi alla pittura.
In pendenza dell'istruttoria svolta dal PM dr. Lojacono avvenne un'irruzione in casa Braibanti da parte del padre che, con l'aiuto dell'altro figlio Agostino – seguace del vescovo scissionista Lefebre – riuscì a “rapire” Giovanni ed a farlo rinchiudere in un manicomio.
Il processo in Corte d'Assise venne celebrato il 14 luglio – giorno in Francia dedicato alla festa nazionale inneggiante alla Libertà – e concluso con una sentenza di condanna del Braibanti a 9 anni di reclusione, ridotti a 7 per aver usufruito del condono di 2 anni per essere stato un partigiano; pena ridotta poi dalla Corte d'Assise d' Appello da 9 a 4, ridotti quindi a 2 dal condono di cui sopra.
La Corte di Cassazione ebbe a confermare in toto la sentenza di secondo grado, ponendo così la parola fine a questa poco chiara vicenda giudiziaria la cui sentenza base di primo grado appare dalle sue stesse motivazione frutto di pesanti pregiudizi nei confronti dei “diversi”, in questa occasione degli omosessuali veri o presunti tali.
In tale sentenza il Braibanti venne definito come
“ diabolico, raffinato seduttore di spiriti, affetto da omosessualità intellettuale”.
In contemporanea, tutta la stampa che raccontò le varie fasi del processo, definì, all'unisono, il fatto materiale configurante secondo i cronisti di cronaca nera il reato di “plagio” come
la storia più squallida che sia mai stata trattata in un'aula di giustizia”.
Molti intellettuali , tra i quali Moravia, Zavattini, Pasolini, Bellocchio, Elsa Morante, Dacia Maraini ed in parte anche Umberto Eco parlarono di un processo confezionato contro l'omosessualità e non contro la persona dell'imputato.
Alla fine di questa sua fase giudiziaria dell'uomo Braibanti, scontata la pena nella sua interezza, restò solamente l'ombra, un uomo distrutto che viveva nella più completa indigenza e, solamente dopo lungo tempo, gli vennero riconosciuti i benefici economici previsti dalla Legge Bacchelli.
Vi sarete già resi conto di come sia bastato poco o nulla per trasformare il reato di plagio, consistente nella sottomissione di un individuo attraverso una forza fisica, in violenza morale determinante sottomissione psichica.
Ciò attraverso la formulazione irrituale, per il nostro ordinamento giuridico di natura penale, di una norma talmente vaga sino al punto da consentire una sua interpretazione del tutto personalistica sia da parte del PM dr. Jacono che dal Collegio giudicante presieduto dal dr. Orlando Falco; saranno in seguito le stesse motivazioni offerte dai giudici di primo grado a costituire la solida base della dichiarazione di incostituzionalità della norma in parola.
Pregiudizi ? Eccome, pur di condannare il Braibanti e per salvaguardare i pregiudizi di gran parte della stampa e di molti cittadini nonché i dettami della Chiesa contro l'omosessualità i giudici sono ricorsi a dei veri e propri salti mortali, cancellando d'un sol colpo un uniforme diverso orientamento giurisprudenziale e dottrinale.
Affermare in pompa magna che per la consumazione del reato de quo
“....non è richiesta una padronanza fisica sulla persona ma un dominio psichico al quale può eventualmente accompagnarsi , ma non necessariamente , una signoria in senso materiale e corporale...”
vuole proprio significare il travolgere lo spirito della pur vaga norma nata per punire l'azione del plagiante come sostanzialmente fisica attraverso l'esercizio sul plagiato di attività corporali e fisiche.
Il processo all'acqua santa
L'imputato è questa volta un sacerdote cattolico, autore di molti libri pubblicati dalla EMI – Edizioni Missionarie Cattoliche – il quale venne accusato da parte di due madri, tali Maria Pallante e Cerocchi Luisa, d'aver plagiato i loro rispettivi figli.
Accusa gravissima specie per l'alta figura carismatica del destinatario di questa infamante denuncia; a differenza del caso precedente non ritengo di dover far cenno, pur conoscendolo, al nome dell'accusato in quanto il procedimento penale si risolse ben presto nel nulla per la cancellazione dal nostro Codice Penale di questo discusso reato.
Essendo le sentenze di incostituzionalità di una qualsiasi norma giuridica pronunciate dalla Consulta efficaci ex tunc e non ex nunc, cioè sin dalla data della loro entrata in vigore e non dalla data successiva alla sentenza della Corte Costituzionale, nella mancanza in questo caso di una decisione passata in giudicato, il presunto plagio da parte del sacerdote, ammesso e non concesso che ci fosse stato, non era più punibile per mancanza di una norma di legge che lo prevedesse come reato perseguibile, tanto in virtù dell'art. 25 della Carta Costituzionale.
E' doveroso sottolineare come i PM, a fronte di simili accuse, hanno sempre usato, come è giusto che sia, procedere come estrema cautela ed in questo caso il Pubblico Ministero del Tribunale di Roma, titolare di questa inchiesta, visto il precedente processo contro Braibanti e le motivazioni che portarono al pronunciamento di una sentenza di condanna, ebbe la felice intuizione che qualcosa non quadrava e con ordinanza del 02 novembre 1978, rimise alla Corte Costituzionale la valutazione sulla legittimità di questo reato in rapporto:
all'art. 25 comma 2 della Costituzione “perchè la norma era priva del requisito della tipicità che, coerentemente al principio della riserva assoluta di legge in materia penale, richiede una puntuale corrispondenza fra fattispecie astratta e fattispecie reale”;
all'art. 21 comma 1 della Costituzione nella parte in cui la sua portata “ecceda la funzione di tutela dell'integrità psichica di fronte alle aggressioni che possono verificarsi”.
In parole povere viene eccepita, per la formulazione astratta della norma impugnata, la possibilità di sue false ed arbitrarie interpretazioni – come accaduto per il caso Braibanti - ed il PM si chiede anche:
quali siano le azioni idonee per ottenere la piena sudditanza di una persona capace di intendere e di volere: violenza fisica o psichica ?;
come fornire una prova, nella realtà impossibile, sull'esistenza di un nesso causale tra l'azione del presunto plagiante e “ la sottoposizione al proprio potere” e la riduzione “ in totale stato di soggezione ” in mancanza di strumenti adatti;
e che dire l'altrettanta impossibile prova per stabilire le capacità psichiche del plagiante il quale, per riuscire nel suo intento, avrebbe dovuto possedere doti quasi ultraterrene il cui accertamento non poteva né allora né oggi ricavarsi da alcuna perizia in quanto la sua forma mentis era del tutto indipendente da una qualsivoglia causa patologica.La Consulta accoglierà in toto l'eccezione di incostituzionalità avanzata nei confronti dell'art. 603 C.P. e lo cancellerà, dichiarandolo anticostituzionale, dal nostro ordinamento giuridico, così sollevando, more solito, ampi consensi ma anche molti dissensi.
E così, valutato il tutto, viene difficile non considerare quanto accaduto al povero Braibanti alla stregua di una congiura, pur non concordata tra le parti interessate, contro i
DIVERSI ?
Giustizia venne così fatta perchè ad errare furono i primi giudici, non i secondi, ed il tutto per il merito di un PM alquanto preparato ed attento.
Pensate che in mancanza di questa sentenza sarebbero considerati ancor oggi come colpevoli di un “plagio” anche coloro che applicano le terapie della ZEN, introdotte tra il 1600 ed il 1700 dal monaco zen Hakuin Ekaku Zenji, le quali, attraverso tecniche mentali-energetico-spirituali o tramite tecniche di manipolazione corporea ottenevano ed ottengono tuttora sul paziente, sia pure a scopo terapeutico, quel “vuoto mentale” costituente la base indispensabile per guarirlo da patologie ansioso-depressive.
La gramigna in Italia è dura da estirpare anche a causa di una certa favorevole campagna pubblicitaria per cui non c'è da stupirsi se dopo 30 anni, nel 2004, un nostro ministro, col suo sorrisetto sfottente, si presenta a Bruxelles nella sua qualità di commissario “in pectore” per sottoporsi, prima dell'investitura ufficiale, all'esame della Commissione europea dalla quale ci viene rimandato indietro in tutta fretta, essendo stato clamorosamente bocciato per il solo fatto, considerato in Europa molto grave, d'aver espresso gli stessi sentimenti ispiratori della sentenza di condanna del Braibanti.
Un capitolo a parte è, ma della stesso stampo integralista, l'attuale campagna destrorsa contro i Dico sui quali mi sono espresso nella serie dei post dedicati al tema del “PAPA RE”.
segue

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