Intercettazioni, l'appello dei magistrati
La Camera ha approvato la questione di fiducia posta dal governo sul Ddl sulle intercettazioni.
I sì sono stati 325, 246 i no, due gli astenuti.
La riforma delle intercettazioni unita a quella del processo segnano nei fatti «la morte della giustizia penale in Italia».
A insorgere contro le nuove norme è l'Associazione nazionale magistrati, che parla di scelte legislative «che rappres
entano un oggettivo favore ai peggiori delinquenti».
In particolare, le norme sulle intercettazioni «impediranno alle forze di polizia e alla magistratura inquirente di individuare i responsabili di gravissimi reati».
I magistrati si dicono «sgomenti» che il Parlamento compia queste scelte proprio «in un momento in cui la sicurezza dei cittadini è evocata come priorità del Paese».
E spiegano con esempi concreti la «gravità delle conseguenze» delle nuove norme: «gli stupri di Roma, le violenze nella clinica di Milano, le scalate bancarie alla Antonveneta e alla Bnl: in nessuno di questi casi con la nuova legge sarebbe stato possibile accertare i fatti e trovare i colpevoli».
«È semplicemente assurdo pensare che si possano fare intercettazioni solo nei confronti del colpevole già individuato.
Ed è del tutto irragionevole prevedere che le intercettazioni debbano sempre essere interrotte dopo 60 giorni, anche nei casi, come un sequestro di persona, un traffico di stupefacenti o di armi, in cui il reato sia in corso di esecuzione».
E non basta: «la equiparazione delle riprese visive alle attività di intercettazione rappresenta un grave danno per la lotta al crimine.
Con queste norme non saranno possibili riprese visive per identificare gli autori di rapine in banca, spaccio di stupefacenti nelle piazze, violenza negli stadi, assenteismo nei pubblici uffici».
Un quadro ancora più preoccupante se letto insieme alla riforma del processo penale in discussione in Senato; una proposta che «non introduce le riforme necessarie ad assicurare l'efficienza del processo e la sua ragionevole durata, ma addirittura inserisce nuovi, inutili formalismi, che determineranno un ulteriore allungamento dei tempi del processo».
In sostanza è come se «Governo e Parlamento chiedono alle forze dell' ordine e alla magistratura inquirente di tutelare la sicurezza dei cittadini uscendo per strada disarmati e con un braccio legato dietro la schiena». Sarebbe allora «più serio e coerente - sostiene la giunta dell'Anm - assumersi la responsabilità politica di abrogare l'istituto delle i
ntercettazioni piuttosto che trasformarle in uno strumento non più utilizzabile».
Un mio commento, senza dubbio con parere negativo nei confronti di questo provvedimento legislativo, lo pubblicherò nei prossimi giorni.
Ma voglio subito, a chiarimento della mia posizione, rappresentarvi un caso giudiziario che con questa legge allora già vigente non poteva nemmeno incominciare.
Si presenta ad una stazione dei CC una vecchietta che il giorno prima era stata rimandata indietro dalla Polizia di Stato in quanto non convinta del racconto della stessa anche perché, ad una certa età, aveva incominciato a dare qualche “numero”.
Viene interrogata con una certa perizia ed il racconto fatto era alquanto plausibile; in buona sostanza riceveva telefonate minatorie per indurla a vendere la sua abitazione ad un prezzo ridicolo.
La storia, a detta della denunciante, andava avanti da alcune settimane e le minacce andavano ad assumere significati preoccupanti.
Una volta registrato il verbale, fu facile con le intercettazioni telefoniche autorizzate dal PM di turno a scoprire l’autore delle telefonate che, dai seguenti accertamenti risultava abitante in quel luogo con generalità false confermate da falsi documenti di identità.
Si trattava di un meridionale latitante, già condannato all’ergastolo per concorso in omicidio di un noto magistrato palermitano.
Oggi sarebbe ancora uccel di bosco.
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