presso
i tanti
CAFFE’ SICILIA
disseminati in tutta la
II^ chiacchierata
Oggi è un altro giorno e le novità sono notevolmente migliori rispetto a quanto è accaduto nel corso delle scorse settimane.
I discorsi si fanno più seri in quanto i soliti avventori del bar hanno ben compreso che “il vento” sta cambiando direzione agevolato anche da :
- alcune disavventure in cui sono incappati alcuni rappresentanti della UDC siciliani ;
- l’inizio della campagna elettorale del PD con Anna Finocchiaro ad Agrigento.
Relativamente al primo punto non poteva passare inosservata la dura condanna a 16 anni ed 8 mesi di reclusione
a carico dell’ex
deputato regionale dell’Udc
Vincenzo Lo Giudice
ritenuto colpevole per l’appartenenza ad una associazione mafiosa.
La sentenza è stata emessa dal Tribunale di Agrigento, presieduto da Antonina Sabatino.
Per Lo Giudice, imputato nel processo «Alta Mafia» con altre 13 persone tra cui il figlio Calogero - una bella famiglia nella famiglia - l’accusa aveva chiesto la condanna a 18 anni di carcere ; i giudicanti , tuttavia, hanno ridimensionato questa richiesta, mantenendola comunque in una misura perfettamente consona per un siffatto reato.
Urla agli amici un accanito sostenitore della svolta legalitaria nell’isola:
“quali prove volete ancora per avere la dimostrazione di quanto sia lampante il connubio tra l’UDC siciliana e la mafia ?
Ma, nonostante questa sentenza, c’è ancora qualcuno che nicchia tra il sorpreso e l’incredulo, forse influenzato dal Verbo arcorese il quale sui giudici ne ha dette di cotte e di crude.
A fronte di tanta testardaggine, tira fuori il ritaglio di un articolo pubblicato da un quotidiano è lo sbatte con forza sul tavolino per farlo leggere al miscredente.
Il botto è notevole, si girano in molti per vedere quello che era accaduto, ma il pugno sul tavolino era volutamente forte per tentare di riportare alla realtà l’amico riottoso, per svegliarlo dal plagio in cui si trovava il suo cervello.
Ecco l’articolo in parola che descrive l’UDC tipo Sicilia e dà spiegazione della stupida mossa di Cuffaro per tentare di inquinare le acque onde sviare queste notizie per loro dannose.
Da La Repubblica del 25/11/2005
“Nella regione "granaio" dei voti centristi 10 consiglieri su 17 sono accusati di gravi reati.
Udc e mafia, relazioni pericolose in Sicilia mezzo partito indagato
Voti scambiati con assunzioni, estorsioni, corruzione: oltre che su Cuffaro, l'ombra di Cosa Nostra si allunga su molti altri politici”
di Attilio Bolzoni
“PALERMO - Il più pittoresco tra quegli imputati eccellenti si è sempre vantato di una trionfale campagna elettorale.
Andava in giro per la Sicilia con una lussuosa automobile, sulla capote aveva piazzato un altoparlante che diffondeva le note de "Il Padrino". Fino al giorno prima del suo arresto, salutava con un ghigno quelli che lo rimproveravano per i suoi comizi con la musica del film di Coppola.
E poi si presentava così:
«Piacere, sono don Vito Corleone».
Il suo vero nome è Vincenzo Lo Giudice, è di Canicattì, è stato assessore regionale ai Lavori pubblici prima nella giunta di centrosinistra e poi in quella di centrodestra.Il suo partito è l'Udc.Al governatore Totò Cuffaro la mafia farà anche «schifo» come gridano quei manifesti che lui ha fatto affiggere sui muri di tutte le città siciliane, ma quella caricatura strapaesana del Padrino non è stato il primo e non è stato l'ultimo dei suoi amici onorevoli finiti in carcere.
E quasi sempre per quel reato lì, quel concorso esterno in associazione mafiosa che in Sicilia fa dannare molti.
Di voti ne ha tanti il suo partito, nell'isola: il 15 per cento, quasi quattro volte in più che nel resto d'Italia.
E tanti ne ha anche di inquisiti, troppi: dieci deputati della Regione su diciassette.
E' una grande forza politica "sotto inchiesta" l'Udc nella terra "granaio" di elettori dove spadroneggia Totò Cuffaro.
Se il generale Carlo Alberto dalla Chiesa fosse ancora tra noi, probabilmente riscriverebbe sul suo diario quelle stesse parole che aveva appuntato nell'estate dell'82 sugli andreottiani di Sicilia prima di scendere a Palermo:
«E' la famiglia politica più inquinata del luogo».
E' proprio così anche per l'Udc di Vincenzo Lo Giudice e di David Costa, di Onofrio Fratello e di Salvatore Cintola, di Mimmo Miceli e di Antonio Borzacchelli, tutti gli uomini del Presidente catturati o indagati per cose di mafia?
Sarà sempre un caso ma - in tutta la Sicilia occidentale - non c'è indagine su quelle contiguità dove non venga investito o sfiorato un consigliere comunale o di quartiere dell'Udc, un assessore o un deputato del partito di Cuffaro.
L'elenco degli "avvisati" è lunghissimo, lungo quello dei rinviati a giudizio o già sotto processo.Qualche settimana prima della cattura per i legami con i boss Vincenzo Lo Giudice (suo figlio Calogero, presidente del consiglio comunale di Canicattì, fu pure lui inquisito in quell'occasione) si aggirava nelle sfarzose sale di Palazzo dei Normanni commentando le disavventure giudiziarie dei suoi compagni di cordata.
L'inchiesta su Cuffaro e su quelle "talpe" che l'avevano avvertito di un'investigazione che lo riguardava era già avviata, il governatore era stato incriminato e un consigliere regionale era già in galera.
Il don Vito Corleone di Canicattì fu profetico:
«Totò lo vedo malmesso in questa storia, proprio male povero Totò».
Il governatore allora non l'avevano ancora rinviato a giudizio - oggi è a dibattimento per favoreggiamento di Cosa Nostra - ma Vincenzo Lo Giudice presagì la tempesta che lo stava travolgendo.
Fu meno indovino per quell'altro deputato dell'Udc arrestato per corruzione, l'ex maresciallo dei carabinieri Antonio Borzacchelli, uno che secondo l'accusa riusciva ad estorcere denaro perfino agli amici di Bernardo Provenzano.
Disse di lui Lo Giudice:
«E' napoletano, prima o poi si farà una bella cantata».Dopo più di un anno l'ex maresciallo diventato onorevole è rimasto muto come un pesce.C'è un groviglio di inchieste sugli uomini dell'Udc, una sopra l'altra, una dentro l'altra.
Quella che ha inghiottito Totò Cuffaro ha aperto le porte del carcere anche a Domenico Miceli, l'assessore comunale alla Salute di Palermo. E' un medico che era spesso ospite nel salotto di Giuseppe Guttadauro, un altro medico che però era anche il capo della "famiglia" di Brancaccio.
Lì dentro decidevano i primari degli ospedali.E' un'odissea per quelli che all'Assemblea regionale avevano il sogno di rifondare la vecchia Dc.
Perseguitati dai procuratori? Vittime di complotti?
O c'è qualcosa d'altro in quell'Udc siciliana che ha un gran pezzo della sua classe dirigente inquisita per mafia?
«C'è una questione morale nel nostro partito ma la maggioranza del partito non vuole vederla»,
ha dichiarato a sorpresa ai primi di novembre il deputato nazionale dell'Udc Massimo Grillo, figlio di quel Salvatore - parlamentare anche lui - che fu l'unico tra tanti uomini politici beneficiati dai Salvo di Salemi ad avere il coraggio di partecipare ai funerali di uno dei due cugini.
La denuncia di Massimo Grillo è arrivata dopo un altro "incidente" giudiziario: l'inchiesta sulle assunzioni in cambio di voti contro il deputato Onofrio Fratello.
Anche lui dell'Udc. E anche lui indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Mesi prima, di quell'onorevole avevano parlato alcuni pentiti dalle parti di Marsala.
Come altri mafiosi dalle parti di Partinico avevano sussurrato ai magistrati il nome di Salvatore Cintola, assessore regionale al Bilancio.
Quando qualcuno ha chiesto a Cintola se stava pensando di dimettersi dall'incarico, lui ha ribattuto:
«Non ci penso neanche: io adesso mi sento rafforzato».L'ultimo eccellente siciliano della lista nera dell'Udc si chiama David Costa.
Per l'accusa avrebbe chiesto un "aiuto" alla mafia trapanese per l'elezione al parlamento siciliano.
Un anno fa gli notificarono un avviso di garanzia, lasciò la poltrona di assessore regionale alla Presidenza in attesa di tempi migliori.La settimana scorsa l'hanno arrestato.
E' stato proprio quel giorno che il governatore ha dato ordine di far stampare migliaia di manifesti.
Molto ardita come trovata:
il logo della Regione Siciliana con scritto sopra che la mafia fa schifo”.
La primavera è oramai alle porte e si avverte di già di respirare un’aria pulita che assieme all’odore dei fiori di mandorlo appena sbocciati rasserena gli animi di molti, anche di coloro che sino ad oggi hanno piegato la testa davanti al monopolio mafioso della politica e di ogni affare che avesse risvolti economici.
Molti si sono già ribellati ed ascoltano con interesse non più malcelato le parole di una loro corregionale che proprio ad Agrigento ha iniziato la sua campagna elettorale.
Sul palco anche Rita Borsellino in quanto entrambe legate da un patto d’onore in caso di vittoria:
ANNA FINOCCHIARO
Governatore
RITA BORSELLINO
Presidente della ARS
segue
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