domenica, marzo 29, 2009

Il simbolo fallico

CORTE DI CASSAZIONE

NO A SIMBOLO FALLICO CON NOME POLITICI

Non rientra nel diritto di satira - e porta dritto alla condanna per diffamazione - affiancare il nome di personaggi politici a parti del simbolo fallico, come la sommità del pene o i testicoli. Lo sottolinea la Cassazione - con la sentenza 12987 - confermando la condanna (la cui entità non è nota) nei confronti del proprietario di un bar di Soave (Verona) che aveva attaccato alla vetrina del suo locale il disegno di un fallo con il nome del sindaco accostato alla parte superiore e quello del vicesindaco a quella inferiore.

Senza successo Vittorio F. ha sostenuto - innanzi ai supremi giudici - che il suo gesto era lecito perché rientrava "nell'ambito della satira politica e mirava alla derisione di soggetti investiti di pubblici poteri che si erano resi responsabili di malgoverno".

Piazza Cavour ha bocciato la tesi rilevando che la satira non si sottrae "al limite della continenza" e che non sono ammessi "accostamenti volgari o ripugnanti che travalicano il rispetto della persona ed espongono il soggetto passivo al dileggio della sua immagine pubblica e al discredito presso la collettività".

Nel caso in questione "l'identificazione con parti dell'organo maschile del nome del sindaco e del vicesindaco rendeva evidente l'intento di propalare un giudizio denigratorio nei confronti degli esponenti più rappresentativi dell'amministrazione comunale".

Non vi spaventate, ho dei primi cugini in USA, con sangue siculo, nati in quella terra fortunatamente uscita da un’era devastante per loro e per tutto il mondo civile e democratico ed ex incivile ma civilizzato a suon di missili con tanto di scuse.


Avrebbero anche loro qualcosa da farsi scusare ma lo faccio per primo io in quanto mi leggono a distanza, trovando poi sempre la frecciatina maliziosa circa la fama acquisita presso di loro dal nostro mr. “farfalletta” che vola giulivo, come una vispa teresa, da canale a canale di ogni TV.
Ma ritorniamo alla Suprema Corte, una Sezione della quale aveva sentenziato poco tempo addietro come il fatto d’aver dato in un’assemblea pubblica del “buffone” al proprio sindaco, che non aveva mantenuto delle promesse avanzate nel corso di una sua campagna elettorale, non costituisse reato.
L’Italia ha un esercito di “buffoni”, allora; sono talmente tanti che potremmo esportarli all’estero, tanto per far divertire i popoli europei, africani, asiatici, e sudamericani, finanche gli zulù, pur con tutto il rispetto per quest’ultimi.
Avevo avanzato una proposta che venne accolta da molti dirigenti statali con entusiasmo e sollievo ma poi, purtroppo, non è stato possibile renderla operativa in quanto la maggioranza assoluta di loro non conosceva le lingue estere e molto poco quella italiana.
Peccato; sarà per un'altra volta, tagli alla scuola interpreti permettendo.

Però, ad evitare episodi come quello messo in atto dall’esercente di Soave occorrerebbe emanare subito una legge per impedire a molti politici, sia quelli a livello nazionale che a quelli a livello locale, che vadano in giro a rammostrare orgogliosamente le loro teste che non per conformazione ma per contenuto cerebrale assomigliano tanto a certi particolari tenuti pudicamente nascosti, non sempre però, perché anche loro debbono svolgere delle funzioni, dagli elettori maschi.
Si eviterebbero tanti di questi episodi.
E, poi, a ben pensare, i nostri amici della antica Grecia il fallo, simbolo della fertilità, lo portavano in processione perché gli dei dessero alle loro terre raccolti eccellenti:
si chiamava “falloforia” dalla quale trassero le loro origini le tragedie greche.
Adesso le tragedie le abbiamo ereditate noi qui in Italia, non solo in primavera al teatro greco di Siracusa, ma in ogni città, rione e via ed in qualunque stagione ; almeno lasciateci ridere un po’ altrimenti
NON CI RESTA CHE PIANGERE.

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