lunedì, settembre 22, 2008

Piero Calamandrei

IN MEMORIA
di
PIERO CALAMANDREI
Firenze 21 aprile 1889 – Firenze 27 settembre 1956
Avvocato, Giurista, Politico, Partigiano,
Parlamentare dell’Assemblea Costituente
un personaggio d'altri tempi

appartenente a quel novero di uomini illustri che non si possono né si potranno mai dimenticare.
Uno strenuo difensore, in sede di Assemblea Costituente, della laicità della neo Repubblica Italiana, grande maestro e difensore del diritto di ogni cittadino a vivere in una vera democrazia.
A lui vada un doveroso ricordo nella oramai prossima ricorrenza del cinquantaduesino anniversario della sua morte.
E’ oramai questo il miglior modo per ricordare quanto nel corso della sua vita ebbe a dire ed a fare per tutti noi.
Un doveroso omaggio all’uomo politico strenuo difensore della libertà ed al docente di elevata cultura giuridica e politica.
Autore di vari importanti studi giuridici e di altri scritti, due dei quali provvederò a postare sabato prossimo in sintonia con quanto è divenuto oramai un mio motto:
“ Il dovere di comunicare a coloro che non sanno od hanno dimenticato perchè il loro futuro si fondi sulla memoria del passato”.
Certi errori non dovranno essere più ripetuti per il bene delle nostre future generazioni.
Il prossimo 27 settembre cadrà il 52° anniversario della sua morte.
Questi suoi due scritti cui accennavo li definirei come
UN INNO ALLA RESISTENZA IN MEMORIA DI CHI PER ESSA PERSE LA VITA
ED UNA SEVERA LEZIONE NEI CONFRONTI DI UN CRIMINALE NAZISTA.
Oggi desidero qui riportare il testo integrale di una sua “lezione” attraverso la quale, spiega ai giovani studenti universitari quello è stato lo spirito della nostra Costituzione e quello che sarebbe dovuto essere nei tempi futuri.
E’ stato, allora, per tutti un vero e proprio
CREDO
per tutti, ripeto, ma specialmente per me e per chi come me era una giovane matricola; per questo ho tentato per tutta la mia vita a battermi, spesso vanamente, affinchè l’insegnamento di questo grande personaggio si tramandasse a tutti i giovani, studenti e lavoratori.
Oggi ? Non credo proprio, ed è per questo che la lezione di Calamandrei è ancora viva ed attuale come non mai; parrebbe scritta solamente ieri e non 53 anni or sono.
Sino ad allora non mi ero interessato di politica se non molto alla lontana, come un "per sntito dire" ma, come se fosse stato un segno del destino, mi accadde durante le festività natalizie del 1954 un fatto per me illuminante.
Accompagnai da Milano, dove risiedevo con i miei, a Bassano del Grappa una mia cugina che era venuta a trovare i miei.
Suo padre, mio zio paterno, reduce dall’Istria, si era stabilito in quel delizioso paese che io sconoscevo.
Per andare a trovare un’altra cugina si doveva percorrere un lungo viale ai margini del quale c’erano da entrambi i lati una serie interminabile di alberi sui quali insistevano delle croci di legno con su inciso a fuoco un nome e cognome ed un vasetto di fiori finti.
In ognuno di quegli alberi erano stati impiccati dai nazi-fascisti, dopo una retata nella zona del monte Cimone, anche dei giovani italiani rei di essere “partigiano”, molti dei quali “per necessità”, non essendosi arruolati nella milizia della Repubblica Sociale Italiana.
Tra quegli alberi ve n'era uno sulla cui croce c'era scritto il nome di un cugino di mia mamma che dovette darsi alla macchia dopo che era stato rimpatriato dall’Africa a seguito delle ferite riportate in guerra.
Da allora, nel 1955, mi iscrissi ad un Partito che è stato il mio sino ad oggi, seguendo tutte le sue trasformazioni sia nei nomi ma soprattutto nelle idee.
Che scelte avevo ?
La “lezione sulla nostra Costituzione” con ancora sette anni di vita la presi sin dall'inizio a modello della mia attività politica; non potevo tirarmi indiero e far finta che io non 'entrassi per nulla.

Calamandrei, dopo la Liberazione, da esperto giurista qual’era, aveva partecipato attivamente a tutte le discussioni in seno all’Assemblea Costituente ed anche alla definitiva stesura della nostra Carta Costituzionale.

Ma, in particolare, non sono stati i suoi pur rilevanti studi giuridici ad interessarmi particolarmente bensì questa “lezione” assieme a due suoi brevi scritti il cui contenuto mi sono entrati sin nel profondo del cuore; chi ha vissuto quei periodi tragici e bui, anche se allora ero ancora un fanciullo frequentante le scuole elementari, può ben comprendere il significato di ogni sua singola parola.
Li pubblicherò il 27 settembre prossimo.

Il primo, di cui riporterò il tratto più significativo, riguarda il momento dell’insurrezione popolare contro il nazifascismo mentre il secondo è una famosissima risposta, oggi purtroppo caduta nell’oblio, data al criminale nazista Kesselring .
Costui, condannato alla pena di morte per i crimini commessi dalle SS in Italia contro le popolazioni civili dietro suoi espliciti ordini ( Marzabotto e Fosse Ardeatine quelle più eclatanti) , ebbe la pena commutata in quella dell’ergastolo e, quindi, dopo pochi anni scarcerato “per gravi motivi di salute” e spedito in Germania dove visse sano, felice e contento per altri otto anni .
Al momento della sua scarcerazione ebbe anche la spudoratezza di dire che gli italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento per il bene che aveva loro fatto !
Calamandrei gli diede, con il suo secondo scritto, la celeberrima risposta:

“Lo avrai camerata Kesselring……”

oggi oramai colpevolmente dimenticata da tutti, e dolosamente nascosta ai più; essendo stata riportata su una lapide posta nel palazzo del comune di Cuneo nonché sotto il monumento alla “IGNOMINIA” , chi volesse potrebbe anche andersela a leggere di persona.
Ma ecco il testo della sua lezione milanese
Discorso sulla Costituzione
di Piero Calamandrei
Milano, 26 gennaio 1955
L’art. 34 dice:
«I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi piú alti degli studi».
Eh! E se non hanno mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il piú importante di tutta la Costituzione , il piú impegnativo per noi che siamo al declinare,ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi.
Dice cosí:
«E compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori al­l’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
È compito di rimuovere gli ostacoli che im­pe­discono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo.
Soltanto quando questo sarà rag­giun­to, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo
«L’Italia è una Repubblica de­mocratica fondata sul lavoro»
corrisponderà alla realtà.
Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chia­ma­re neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tut­ti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro mi­glior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cam­mi­no, a questo progresso continuo di tutta la società.
E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà.
In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di un lavoro da compiere.
Quanto lavoro avete da compiere!
Quanto lavoro vi sta dinanzi!
È stato detto giustamente che le costituzioni sono delle polemiche, che negli articoli delle costituzioni c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica.
Questa po­­lemica, di solito, è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime.
Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quan­do tutte queste libertà, che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute.
Quindi, polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino contro il passato.
Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società pre­sen­te.
Perché quando l’art. 3 vi dice:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine eco­no­mico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana»
riconosce con questo che que­sti ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli.
Dà un giudizio, la Costituzione , un giu­di­zio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare at­tra­ver­so questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a di­spo­si­zio­ne dei cittadini italiani.
Ma non è una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire.
Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’in­­tende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giu­ri­diche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse svi­lup­pata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della so­cietà.
Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per tra­sfor­ma­re questa situazione presente.
Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé.
La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove.
Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.
Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è – non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani – una malattia dei giovani.
«La politica è una brutta cosa»,
«che me ne importa della politica»:
quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emi­granti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante.
Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava.
E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: «Ma sia­mo in pericolo?», e questo dice:
«Se continua questo mare, il bastimento tra mezz’ora affonda».
Al­lo­ra lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice:
«Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda!».
Quello risponde: «Che me ne importa, non è mica mio!».
Que­sto è l’in­dif­­ferentismo alla politica.
È cosí bello, è cosí comodo: la libertà c’è.
Si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che in­te­res­sar­si di politica.
E lo so anch’io!
Il mondo è cosí bello, ci sono tante belle cose da vedere, da godere, ol­tre che occuparsi di politica.
La politica non è una piacevole cosa.
Però la libertà è come l’aria: ci si ac­cor­ge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni gior­no che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
La Costituzione , vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non so­no belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte co­mune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento.
È la Carta della propria libertà, la Car­ta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo.
Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946: questo popolo che da 25 anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di or­rori – il caos, la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi.
Ricordo – io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui – queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio Paese, del nostro Paese, della nostra Patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del no­stro Paese.
Quindi, voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventú, farla vivere, sen­tirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto – questa è una delle gioie della vita – rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in piú, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo.
Ora, vedete – io ho poco altro da dirvi –, in questa Costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle pros­sime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato.
Tutti i nostri dolori, le no­stre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli.
E a sapere intendere, dietro questi ar­ti­co­­li ci si sentono delle voci lontane.
Quando io leggo, nell’art. 2,
«l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,economica e sociale»,
o quando leggo, nell’art. 11,
«l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli»,
la patria italiana in mezzo alle altre patrie, dico: ma questo è Mazzini, questa è la vo­ce di Mazzini;
o quando io leggo, nell’art. 8,
«tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere da­vanti alla legge»,
ma questo è Cavour;
o quando io leggo, nell’art. 5,
« la Repubblica una e in­di­vi­si­bi­le riconosce e promuove le autonomie locali»,
ma questo è Cattaneo;
o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate,
«l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico del­l Repubblica ",
esercito di popolo, ma questo è Garibaldi;
e quando leggo, all’art. 27,
«non è ammessa la pena di morte»,
ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria.
Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti.
Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Co­sti­tu­zio­ne!
Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, ca­du­ti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Rus­sia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita per­ché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.
Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un te­sta­mento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle mon­ta­gne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati.
Do­vunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lí, o giovani, col pensiero per­ché lí è nata la nostra Costituzione.
segue

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