Politico dice “pennivendolo” a cronista?
È diffamazione.
Con sentenza del 20 aprile 2009 n.16702, la Corte di Cassazione ha messo in guardia i politici dall'uso di certe espressioni.
Secondo la Corte rischia una condanna per diffamazione il politico che definisce un cronista
“pennivendolo”.
Secondo quanto si apprende dalla vicenda, un consigliere regionale, condannato per diffamazione aggravata, aveva proposto ricorso per Cassazione contro la condanna in secondo grado, sostenendo sussistere il nesso funzionale tra le affermazioni rese nel comunicato stampa e i giudizi espressi nell’esercizio dell’attività consiliare e che il giudizio espresso nei confronti giornalista Rai costituiva esercizio del diritto di critica nei confronti della connotazione politica data dal giornalista ai suoi servizi.
La Quinta sezione penale ha invece rigettato il primo motivo di ricorso, sostenendo in proposito che “l’argomento concernente i rapporti – “non certo idilliaci”, è il commento dell’estensore – fra un consigliere regionale e un giornalista televisivo non può certo considerarsi rientrante tra i temi devoluti alle attribuzioni del consiglio regionale: onde non è ravvisabile quel necessario nesso funzionale, rispetto all’attività svolta nell’esercizio delle funzioni consiliari tipiche, ma che costituisce l’indefettibile presupposto per l’applicabilità dei principi giurisprudenziali richiamati dal ricorrente.
A maggior ragione la linea difensiva supposta si rivela inaccoglibile in considerazione del rilievo in fatto, che pure è dato cogliere nella motivazione della sentenza impugnata, secondo cui il comunicato stampa “non si limita a riprendere solamente i contenuti della seduta”: con ciò lasciandosi intendere che le espressioni offensive hanno costituito un’aggiunta ed un elemento di novità, rispetto all’intervento svolto dal consigliere nell’aula consiliare.”
Infine i giudici di legittimità hanno rigettato anche il secondo motivo, argomentando così:
“l’infondatezza del secondo motivo, facente riferimento all’esimente dell’esercizi del diritto di critica, si staglia con evidenza di fronte al rilievo per cui l’espressione
“pennivendolo che utilizza la Rai per scopi di bassa cucina politica” eccede vistosamente il limite delle continenza, stante la connotazione inutilmente denigratoria e la sovrabbondanza rispetto al concetto da esprimere.
È note che – conclude la Corte - per costante giurisprudenza, la continenza costituisce (…) uno dei requisiti indispensabili perché possa utilmente essere revocata la scriminante di cui all’art.51 c.p. in rapporto al diritto di critica: donde l’inconsistenza della censura che su tale norma ambisce a fondarsi”.
Autrice Luisa Foti
dello Studio Legale CATALDI
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