E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio,
al lamento d'agnello dei fanciulli,
all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Salvatore Quasimodo
Storia e letteratura spesso si fondono
in un inno:
quello a favore della libertà.
Se manca la libertà, intesa in senso lato,
non c’è vita.
Le voci più nobili abituate a lottare non con le armi
ma con le parole
sono costrette a tacere
per non fare sapere, sia in guerra che in pace,
ciò che accade.
Un commento di questa poesia di Quasimodo
ben si collocherebbe in un esame
dei nostri giovani maturandi.
Oggi è un pio desiderio ma nella speranza che
tanto possa verificarsi in un migliore avvenire
la butto qui siffatta proposta
tanto perché qualcuno riesca a raccoglierla
per tramandarla nel tempo che verrà.
Poche parole, quelle di Quasimodo,
che avrebbero dovuto chiudere per sempre un' epoca storica
ma che oggi, sotto molti aspetti,
pare che ritorni quale spettro del nostro passato.
Va riemergendo nuovamente il volto di un’epoca
tragica ma sconfitta dal mondo civile.
Ma che oggi rialza la testa qual novella
Idra di Lerna.
Quasimodo simboleggia il patibolo di molti
nostri giovani impiccati sugli alberi
attraverso il palo del telegrafo;
oggi, probabilmente, lo avrebbe simboleggiato
attraverso una certa propaganda
che un tizio si diverte a propinarci
con il suo verbo ed il suo fare.
Attenzione !
Una sola parola, detta al momento giusto,
fa più danno di quello che farebbero mille spade.
Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
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