mercoledì, ottobre 08, 2008

La lieta morte ed il testamento biologico - 3

EUTANASIA
e
TESTAMENTO BIOLOGICO
- 3 –

Ancora sul caso Englaro
A completamento di questa vicenda la cui risoluzione è attesa perché, qualora la sentenza della Corte d’Appello di Milano non venisse annullata, potrebbe determinare in buona sostanza l’inizio nel nostro Paese di una nuova era sul tema della c.d. “morte lieta” voluta dall’infermo.
Tuttavia, perché si giunga ad una soluzione definitiva, vi sono ancora alcuni ma, divenuti oggi uno solo.
Incominciamo da quel ma tolto di mezzo dalla stessa Procura Generale di Milano la quale, avverso la sentenza della Corte d’Appello, aveva proposto ricorso per Cassazione.
Questo ricorso è stato dichiarato come “abbandonato” in quanto proprio oggi la Corte Costituzionale dovrebbe decidere sul “conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato” sollevato dal Parlamento contro la sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre 2007 sulla base della quale ed entro i limiti posti dalla stessa la Corte d’Appello di Milano ebbe a emettere la sua decisione che permetteva il distacco della piccola sonda dalla narice della povera Eluana, così provocandone la morte per mancanza di alimentazione.
Perché il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato; il Parlamento, Camera e Senato, avevano eccepito che la Corte di Cassazione non poteva decidere alcunchè su questo caso, in mancanza di una specifica norma di legge.
Per tale motivo, così facendo, si era sostituita al legislatore.
In poche parole viene sostenuto che i giudici della Suprema Corte erano andati al di là delle loro prerogative così sostituendosi al Parlamento che, secondo la stessa Costituzione è, tra i tre poteri dello Stato, l’unico organo competente ad emanare leggi.
Staremo a vedere.
Ma, a proposito di sentenze, voglio qui riportarne altre due attinenti il delicato problema dell’eutanasia e del testamento biologico.
In prosieguo, partendo dal caso Welby, vedremo cosa accade nelle altre nazioni europee e cosa sostengono le varie associazioni nate pro e contro l’eutanasia.
Queste due sentenze m’è parso logico inserirle sotto il seguente titolo; in fin dei conti proprio di questo si tratta: del

DIRITTO A VIVERE
ma anche in determinati casi
DIRITTO A VOLER MORIRE

Corte di Cassazione
IV^ Sezione penale
Sentenza n. 37077/2008

Oggetto del contendere: la libera determinazione alle cure.
Viene riconosciuto il diritto del paziente che è
"in possesso delle capacita' intellettive e volitive",
di rifiutare le cure
"secondo una totale autonomia di scelte che puo' comportare il sacrificio del bene stesso delle vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario".
Iin particolare si insiste sul concetto secondo il quale
"il consenso informato"
del paziente
"ha come contenuto concreto la facolta' non solo di scegliere tra le diverse possibilita' di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale".
Tanto viene stabilito attraverso il
"diritto del singolo alla salute, tutelato dall'art. 32 della Costituzione
(per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge)".
Da questo presupposto ne deriva che
"il criterio di disciplina della relazione medico-malato e' quello della libera disponibilita' del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacita' intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che puo' comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario.
II^ sentenza
Corte di Cassazione
III^ Sezione civile
Su un caso di un testimone di Geova avvenuto nel 1990 che, trasportato in gravissime condizioni all’Ospedale di Pordenone, venne sottoposto a trasfusione nonostante che avesse appeso sul collo un cartellino con su scritto
NO SANGUE.
In ossequio al divieto che la loro religione impone ai propri adepti ed ai loro familiari.
A seguito di tale trasfusione il paziente contrasse l’epatite B.
Da qui la vertenza giudiziaria giunta sino al terzo grado di giudizio.
Le sentenze dei primi due gradi di giudizio che respingevano la richiesta di risarcimento danni vennero confermate anche in terza ed ultima istanza ma dalle motivazioni addotte salta a tutta evidenza un principio secondo il quale
Il paziente può rifiutare le cure ma occorre il 'dissenso informato'
Il paziente dispone di
''un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso della vita''
Tale diritto, prosegue la Corte, è
di indubbia rilevanza costituzionale che emerge tanto dal codice di deontologia medica quanto dai documenti del Comitato Nazionale di bioetica del 1992”
ma il dissenso deve essere inequivoco e informato attraverso una dichiarazione
“articolata, puntuale ed espressa”.
La dicitura
NO SANGUE
scritta sul cartello allacciato al collo al collo del paziente appare ictu oculi come non possa rispondere ai requisiti richiesti per poter avere il valore di uno specifico rifiuto alle cure.
E' quanto scrive la Corte di Cassazione mettendo nero su bianco che
''nell'ipotesi di pericolo grave e immediato per la vita del paziente, il dissenso del medesimo debba essere oggetto di manifestazione espressa, inequivoca, attuale, informata''.
Un testimone di Geova che aveva chiesto il risarcimento dei danni morali e biologici per essere stato sottoposto ad una serie di trasfusioni di sangue nonostante egli avesse attestato il suo rifiuto delle trasfusioni con un cartellino con scritto
'no sangue'.
Secondo la Corte i medici hanno fatto bene a fare le trasfusioni al paziente che era giunto in ospedale in fin di vita perche' un conto
''e' l'espressione di un generico dissenso ad un trattamento in condizioni di piena salute, altro riaffermarlo puntualmente in una situazione di pericolo di vita''.
In quest'ultimo caso, secondo la Corte
''e' innegabile l'esigenza che, a manifestare il dissenso al trattamento trasfusionale, sia o lo stesso paziente che rechi con se' una articolata, puntuale, espressa dichiarazione dalla quale inequivocamente emerga la volonta' di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita, ovvero un diverso soggetto da lui stesso indicato quale rappresentante ad acta il quale, dimostrata l'esistenza del proprio potere rappresentativo, confermi tale dissenso all'esito della ricevuta informazione da parte dei sanitari''.
Per queste ragioni l'aver scritto su un cartellino "no sangue" non può significare che il paziente abbia espresso un "dissenso informato alle cure" specie se si considera che è giunto in ospedale
''in stato di perdita di conoscenza e in pericolo di vita''.
Non si può secondo la Corte far gravare sul medico l'onere di
"ricostruire sul piano della causalita' ipotetica la reale volonta' del paziente secondo un giudizio prognostico ex ante, e di presumere induttivamente la reale 'resistenza' delle sue convinzioni religiose a fronte dell'improvviso, repentino, non altrimenti evitabile insorgere di un reale pericolo di vita, scongiurabile soltanto con una trasfusione di sangue''.
La Corte ricorda che
''la validita' di un consenso preventivo ad un trattamento sanitario non appare in alcun modo legittimamente predicabile in assenza della doverosa, completa, analitica informazione sul trattamento stesso, cosi' la efficacia di uno speculare dissenso 'ex ante', privo di qualsiasi informazione medico terapeutica, deve ritenersi altrettanto impredicabile, sia in astratto che in concreto, qualora il paziente, in stato di incoscienza, non sia in condizioni di manifestarlo pienamente''.
Nella sentenza la Corte insiste nel ribadire che un conto e'
''l'espressione di un generico dissenso ad un trattamento in condizioni di piena salute'', un altro ''e' riaffermarlo puntualmente in una situazione di pericolo di vita''.
Per vostra curiosità alla “vittima della trasfusione” venne riconosciuto il risarcimento del solo ”danno biologico” – la cui quantificazione venne demandata alla Corte d’Appello di Trieste, ma non altro, nemmeno i danni morali.
Anche questa sentenza non fa altro che riaffermare il principio secondo il quale
Il paziente, pur a costo della perdita della vita, può rifiutare, attraverso un dissenso informato, che gli vengano praticate delle cure.
Ma come può dare un assenso informato chi viene ricoverato in stato comatoso e, quindi, non in possesso delle facoltà psichiche e mentali ?
Entra qui in scena il discorso sul tanto invocato da più parti
TESTAMENTO BIOLOGICO
Ci sarebbe infine da chiedersi come mai il Parlamento allora non ebbe a sollevare il conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato atteso che a quei tempi , come del resto oggi, non vigeva alcuna norma regolamentatrice che potesse dettare il da farsi a fronte di casi consimili.
Sempre per demerito del Parlamento o anche perchè il Vaticano era in tutt'altre faccende affacendato '
SEGUE
con il
CASO WELBY

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