Esaminiamo le tre sentenze incominciando da quella riguardante il caso di
“ ELUANA ENGLARO “
Una bella ragazza come tante nella nostra Italia ma, a seguito di un incidente stradale avvenuto il 18 gennaio 1992, si trova da 16 anni in uno stato di coma profondo – quello che oramai ben può definirsi come “COMA di STATO” – da anni ritenuto dagli stessi medici oramai irreversibile.
Viene tenuta nel suo stato di vita vegetale da una di quelle macchine che, attraverso una sonda, nutrono artificialmente oltre che i tetraplegici anche questi malati terminali ed il padre-tutore è da 13 anni che ha iniziato la sua battaglia legale per ottenere la sospensione di questo trattamento in quanto ritenuto un vero e proprio accanimento su un corpo oramai privo di ogni forma di vitalità.
La Corte d ‘Appello di Milano - Prima Sezione Civile-
con sentenza emessa in data 25 giugno 2008
“Vista la straordinaria durata dello stato vegetativo permanente e l’altrettanta straordinaria tensione del suo carattere verso la libertà nonché l’inconciliabilità della sua concezione sulla dignità della vita con la perdita totale ed irrecuperabile delle proprie facoltà motorie e psichiche
e con la sopravvivenza solo biologica del suo corpo in uno stato di assoluta soggezione all’altrui volere, tutti fattori che appaiono e che è ragionevole considerare nella specie prevalenti su una necessità di tutela della vita biologica in sé e per sé ……considerata l’istanza di autorizzazione all’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale …..va inevitabilmente accolta, a tale decisione non potendo sottrarsi i decidenti per quanto non senza partecipata personale sofferenza”.
Seguono alcune disposizioni cui attenersi nella fase attuativa della sentenza.
E’ da precisare che la Corte d’Appello di Milano si sia trovata tra le mani questo caso nella fase terminale della lunga e complessa fase giudiziaria in quanto a ciò designata dalla sentenza emessa il 16 ottobre 2007 dalla Corte di Cassazione che, per la sua natura di “giudice di diritto e non di merito” non poteva che delineare solo il modus operandi per raggiungere la sentenza definitiva.
Questi, in sostanza, furono i limiti di diritto stabiliti dalla Suprema Corte, oltre ai quali i magistrati d’appello non poteva andare:
1- che sia accertata la irreversibilità e la permanenza delle condizioni i incapacità;
2- che sia accertata la volontà presunta dell’incapace, in merito alle sue convinzioni ed al proprio concetto di sé e della propria dignità.
“Il diritto alla vita- art. 2 della Costituzione - non è il dovere alla vita”
è la massima che si può trarre dalle due sentenze; sono due momenti da tenere nettamente distinti tra di loro anche perché appare del tutto irreale il poter imporre ad un uomo il dovere alla vita a dispetto e contro la volontà dell’uomo stesso.
Altre discussioni a non finire appelli contro questa sentenza ed intanto la povera Eluana giace ancora immobile nel suo letto di morte civile.
SEGUE
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