EUTANASIA
e
TESTAMENTO BIOLOGICO
- 1 -
In tempi recenti si sono verificati ed ancor oggi si stanno verificando nel nostro Paese dei casi rientranti in questa delicata tematica.
I primi, malvissuti da tutti, riguardano i casi di Welby e Giovanni Nuvoli, e nei secondi ,ancora irrisolti, quelli di Eluana Englaro e Salvatore Crisafulli.
Mal vissuti sia dai diretti interessati e dalle loro famiglie ma, soprattutto da coloro che dovrebbero risolvere questa problematica ma non la risolvono perché bloccati da una perenne diatriba politico-religiosa senza tenere nemmeno in minimo conto i desiderata delle persone direttamente interessate che giacciono immobili immersi in un coma profondo ed irreversibile che, visto l’andazzo, definirei come coma di Stato.
Proprio per questo, ma anche per l’ingerenza del Vaticano che, pur valida in uno Stato confessionale non lo è altrettanto in uno Stato laico così com’è il nostro sulla base della Costituzione, non si è riusciti a trovare una soluzione giuridica al problema de quo.
Con la conseguenza del fallimento di ogni iniziativa legislativa in merito e, quindi, con la mancata risoluzione di ogni caso.
Ci si chiede, posto che è solamente il Parlamento della Repubblica Italiana l’istituzione che dovrebbe legiferare per risolvere ogni caso sino ad oggi irrisolto, e non lo ha fatto a causa di un vero e proprio scontro “ideologico” tra le forze c.d. laiche e quelle c.d. teocon, indipendentemente dagli schieramenti politici di appartenenza, cosa si dovrebbe fare ?
E’ da ricordare come alcuni sondaggi lanciati nel 2006 in occasione del caso Weby le prime ebbero il sopravvento sulle seconde perché fu data prevalenza all principio della autodeterminazione del malato, in quanto facente parte dei suoi diritti, mentre le seconde, invece, furono minoritarie come numero perché basavano il loro rifiuto alla prima teoria in quanto contrastante con la “legge divina”; in buona sostanza si sosteneva da parte dei teo.con – tecnocrati conservatori - come la vita di ogni essere umano fosse un bene inalienabile, anche da parte dell’interessato, in quanto
“dono divino”.
E’ questa mia una sintesi del diverso modo di pensare tra le due parti che, a mio parere, non si riuscirà mai ad avvicinarle per trovare una soluzione “intermedia” che possa riaccostarle su questa tematica in quanto, proprio per questa tipologie di dispute, non ci sono, né ci saranno mai, delle vie di mezzo:
o prevale la legge dello Stato o quella divina.
Stato e Chiesa, come spesso è accaduto in passato ed anche di recente, si trovano e predicano in campi diversi.
La decisione spetterebbe al popolo italiano ma sino ad oggi, nonostante che quest’ultimo, stando ai sondaggi effettuati nel periodo del 2007 in cui era assurto agli onori delle cronache il
“ CASO WELBY”
fosse in maggioranza abbastanza netta favorevole sia all’eutanasia che al testamento biologico, non si è fatto ancora nulla.
Come spesso accade nei casi di “vacatio legis”su temi sensibili come quelli in questione è la magistratura che, su istanza degli interessati, ha il dovere di assumere alcune decisioni anche di rilevante importanza.
La magistratura non può dichiararsi incompetente per materia.
Incomincia così ad esaminare le norme della nostra Carta Costituzionale, ricorrendo poi, all’interpretazione analogica di norme già esistenti che, a suo parere, presentino accostamenti al caso sottoposto al suo giudizio.
E così è stato.
Ma, in contrasto con alcune sentenze emesse sia dalla Corte d’Appello di Milano che, ben due, dalla Corte di Cassazione, c’è il iverso parere della CEI.
Proprio da qui parte la necessità di esporre su questi temi uno studio che avevo approntato in occasione del caso Welby, al fine di poter offrire a chi vorrà documentarsi elementi oggettivi che lo possano mettere in grado di crearsi una propria opinione.
Questa è la tesi della CEI di questi giorni:
e
TESTAMENTO BIOLOGICO
- 1 -
In tempi recenti si sono verificati ed ancor oggi si stanno verificando nel nostro Paese dei casi rientranti in questa delicata tematica.
I primi, malvissuti da tutti, riguardano i casi di Welby e Giovanni Nuvoli, e nei secondi ,ancora irrisolti, quelli di Eluana Englaro e Salvatore Crisafulli.
Mal vissuti sia dai diretti interessati e dalle loro famiglie ma, soprattutto da coloro che dovrebbero risolvere questa problematica ma non la risolvono perché bloccati da una perenne diatriba politico-religiosa senza tenere nemmeno in minimo conto i desiderata delle persone direttamente interessate che giacciono immobili immersi in un coma profondo ed irreversibile che, visto l’andazzo, definirei come coma di Stato.
Proprio per questo, ma anche per l’ingerenza del Vaticano che, pur valida in uno Stato confessionale non lo è altrettanto in uno Stato laico così com’è il nostro sulla base della Costituzione, non si è riusciti a trovare una soluzione giuridica al problema de quo.
Con la conseguenza del fallimento di ogni iniziativa legislativa in merito e, quindi, con la mancata risoluzione di ogni caso.
Ci si chiede, posto che è solamente il Parlamento della Repubblica Italiana l’istituzione che dovrebbe legiferare per risolvere ogni caso sino ad oggi irrisolto, e non lo ha fatto a causa di un vero e proprio scontro “ideologico” tra le forze c.d. laiche e quelle c.d. teocon, indipendentemente dagli schieramenti politici di appartenenza, cosa si dovrebbe fare ?
E’ da ricordare come alcuni sondaggi lanciati nel 2006 in occasione del caso Weby le prime ebbero il sopravvento sulle seconde perché fu data prevalenza all principio della autodeterminazione del malato, in quanto facente parte dei suoi diritti, mentre le seconde, invece, furono minoritarie come numero perché basavano il loro rifiuto alla prima teoria in quanto contrastante con la “legge divina”; in buona sostanza si sosteneva da parte dei teo.con – tecnocrati conservatori - come la vita di ogni essere umano fosse un bene inalienabile, anche da parte dell’interessato, in quanto
“dono divino”.
E’ questa mia una sintesi del diverso modo di pensare tra le due parti che, a mio parere, non si riuscirà mai ad avvicinarle per trovare una soluzione “intermedia” che possa riaccostarle su questa tematica in quanto, proprio per questa tipologie di dispute, non ci sono, né ci saranno mai, delle vie di mezzo:
o prevale la legge dello Stato o quella divina.
Stato e Chiesa, come spesso è accaduto in passato ed anche di recente, si trovano e predicano in campi diversi.
La decisione spetterebbe al popolo italiano ma sino ad oggi, nonostante che quest’ultimo, stando ai sondaggi effettuati nel periodo del 2007 in cui era assurto agli onori delle cronache il
“ CASO WELBY”
fosse in maggioranza abbastanza netta favorevole sia all’eutanasia che al testamento biologico, non si è fatto ancora nulla.
Come spesso accade nei casi di “vacatio legis”su temi sensibili come quelli in questione è la magistratura che, su istanza degli interessati, ha il dovere di assumere alcune decisioni anche di rilevante importanza.
La magistratura non può dichiararsi incompetente per materia.
Incomincia così ad esaminare le norme della nostra Carta Costituzionale, ricorrendo poi, all’interpretazione analogica di norme già esistenti che, a suo parere, presentino accostamenti al caso sottoposto al suo giudizio.
E così è stato.
Ma, in contrasto con alcune sentenze emesse sia dalla Corte d’Appello di Milano che, ben due, dalla Corte di Cassazione, c’è il iverso parere della CEI.
Proprio da qui parte la necessità di esporre su questi temi uno studio che avevo approntato in occasione del caso Welby, al fine di poter offrire a chi vorrà documentarsi elementi oggettivi che lo possano mettere in grado di crearsi una propria opinione.
Questa è la tesi della CEI di questi giorni:
Testamento biologico
Cei, no ad autodeterminazione paziente
Vescovi favorevoli a dichiarazioni 'certe e documentate'
CITTA' DEL VATICANO, 30 SET –
La Cei ritiene che una legge sulla
“fine della vita”
non debba accettare il
“principio di autodeterminazione' del paziente”
ne'
“ debba finire in accanimento terapeutico o abbandono terapeutico”.
I vescovi sono favorevoli a dichiarazioni 'certe e documentate ma questa volonta' del paziente
“'non deve diventare una decisione”.
Lo ha detto il segretario della Cei Giuseppe Betori riferendo sui lavori del Consiglio permanente.
I vescovi cedono alla necessita' di una legge 'sul fine vita', ha precisato mons. Betori citando la vicenda di
Eluana Englaro, dopo i pronunciamenti giurisprudenziali che
“ stanno aprendo la strada alla interruzione legalizzata delle vite”.
Ha precisato che
“Siamo per la salvaguardia del principio del 'favor vitae', e non della disponibilita della persona a mettere fine alla propria vita, non siamo per il principio di autodeterminazione, ma per una legislazione che metta in chiaro che non ci devono essere ne' accanimento terapeutico ne' abbandono terapeutico.
Ci deve essere attenzione alla volonta' della persona
- ha sottolineato –
ma la decisione non deve spettare alla persona”.
Le 'dichiarazioni del malato',ha rimarcato Betori, devono essere 'certe ed esplicite',non si puo' accettare che 'persino lo stile di vita di una persona diventi interpretabile, non si capisce da chi, nel senso di una dichiarazione'.
SEGUE
La Cei ritiene che una legge sulla
“fine della vita”
non debba accettare il
“principio di autodeterminazione' del paziente”
ne'
“ debba finire in accanimento terapeutico o abbandono terapeutico”.
I vescovi sono favorevoli a dichiarazioni 'certe e documentate ma questa volonta' del paziente
“'non deve diventare una decisione”.
Lo ha detto il segretario della Cei Giuseppe Betori riferendo sui lavori del Consiglio permanente.
I vescovi cedono alla necessita' di una legge 'sul fine vita', ha precisato mons. Betori citando la vicenda di
Eluana Englaro, dopo i pronunciamenti giurisprudenziali che
“ stanno aprendo la strada alla interruzione legalizzata delle vite”.
Ha precisato che
“Siamo per la salvaguardia del principio del 'favor vitae', e non della disponibilita della persona a mettere fine alla propria vita, non siamo per il principio di autodeterminazione, ma per una legislazione che metta in chiaro che non ci devono essere ne' accanimento terapeutico ne' abbandono terapeutico.
Ci deve essere attenzione alla volonta' della persona
- ha sottolineato –
ma la decisione non deve spettare alla persona”.
Le 'dichiarazioni del malato',ha rimarcato Betori, devono essere 'certe ed esplicite',non si puo' accettare che 'persino lo stile di vita di una persona diventi interpretabile, non si capisce da chi, nel senso di una dichiarazione'.
SEGUE
Nessun commento:
Posta un commento