RACCONTO DI FERRAGOSTO
di
CURZIO MALTESE
IL SIGNOR B
Quell’estate, per il signor B, minacciava di essere l’estate della disfatta.
Netto calo nei sondaggi, i collaboratori che facevano di tutto per nascondergli la rassegna stampa estera e sostituirla con la benevola rassegna della stampa nazionale, qualche larvata critica della Chiesa nonostante i tanti favori economici e politici, la freddezza crescente di alcuni tra gli alleati più fidati.
La cerchia degli ingrati (vera ossessione di ogni potente) che si allargava.
Ma soprattutto era il suo istinto, il suo infallibile fiuto, a dirgli che un ciclo era oramai chiuso.
In una delle sue ultime , rare apparizioni pubbliche, nelle quali il suo sguardo veloce e riassuntivo riusciva sempre a cogliere la media dei sentimenti della folla nei suoi confronti, il solito gruppetto di ragazzini comunisti, malvestiti e barbuti, lo aveva – come sempre – apostrofato con insolenza.
Copione scontato, il normale, insignificante prezzo da pagare, pensava il signor B, all’invidia degli infelici.
Ma nel preciso istante in cui la security allontanava quella sparuta rappresentanza nemica, in un rapido mulinello di minacce e occhiali neri, lo sguardo del signor B, ai margini del piccolo tumulto, incrociò quello di un ragazzo.
Il ragazzo non applaudiva e non fischiava.
Non acclamava e non inveiva.
Non lo amava e non lo odiava.
Sembrava annoiato , sembrava indifferente: così almeno lo classificò l’infallibile, velocissimo sguardo del signor B.
Con una delle sue formidabili zoomate, in un milionesimo di secondo lo sguardo del signor B mise a fuoco l’iride del ragazzo.
Dentro il grigio compatto della noia e dell’indifferenza, il signor B vide danzare qualche residua scintilla di disprezzo, che andava spegnendosi come un fuoco che aveva esaurito il suo ciclo..
Brace che si mutava in cenere.
Fine dello spettacolo.
Lo sguardo di quel ragazzo produsse al signor B uno sconvolgimento interiore che gli uomini del suo staff – una manica di inutili servi strapagati – non sarebbero mai stati in grado di capire.
Pur non avendo cognizione alcuna della sapienza degli antichi (il signor B non aveva mai letto i libri che pubblicava) interpretò quello sguardo come un presagio implacabile: il classico inizio della fine.
Per due notti dormì poco e male, nel grande letto solitario oramai sguarnito di ragazze a noleggio per evitare antipatiche discussioni con gli avvocati della moglie e strascichi polemici prodotti dall’invidia sessuale del nemico impotente.
Ma all’alba della seconda notte quasi insonne, a mezz’aria tra sogno e coscienza, vide sfilare sul soffitto della stanza tutti gli editoriali complimentosi degli ultimi vent’anni, udì il coro ammirato degli agiografi, l’applauso della folla, rivide i sorrisi affabili dei consiglieri, degli avvocati, dei portaborse; e tutti, come un esercito arrivato in soccorso, gli ripetevano la stessa frase:
“Tu sei l’uomo che trasforma le sconfitte in vittorie.
Lo hai sempre fatto e sempre lo farai.
E così sia”.
In quel momento il signor B seppe quello che doveva fare.
Si alzò dal letto e convocò, al completo, il suo stato maggiore.
SEGUE
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