LA LEGA CHE SLEGA L’ITALIA
quanto meno lo tenta in ogni occasione.
Tentar non nuoce, anzi, anche se poi la fanno rientrare nei ranghi.
Ma in ognuna di queste occasioni chiedo, senza ottenere risposte convincenti da chicchessia:
ma se i loro ministri hanno giurato fedeltà alla Repubblica Italiana e sulla nostra, anche loro, Costituzione, perché si affannano a sconfessare, con molti fatti ed in varie occasioni, il loro giuramento ?
Potrei ritornare indietro nel tempo ma non lo farò perché mi basta risalire al mese di novembre del 2003 allorchè il ministro Carderoli si rese protagonista di una “sparata” analoga a quella di questi giorni in merito all’istituzione di esami di dialetto.
Solo che in quella occasione i destinatari erano diversi da quelli di oggi.
Siamo alla vigilia della presentazione da parte di Fini della proposta di concedere agli immigrati il voto nelle consultazioni elettorali amministrative.
Per tutta risposta la Lega, tramite Calderoli, propone con un suo DDL di sottoporre agli stranieri che chiedono la cittadinanza italiana ad una prova atta a rilevare la loro conoscenza dell’italiano ed anche del dialetto parlato nella Regione di residenza.
Tanto perché una simile concessione comportante tutta una serie di diritti non può ridursi ad un mero atto burocratico.
Secondo il parlamentare lo straniero dovrebbe avere a suo dire, per ottenere la cittadinanza, “piena conoscenza della lingua italiana, dei nostri usi e costumi, della nostra storia, del nostro sistema istituzionale nonché, infine, delle regole basilari della nostra società”.
Che forse nemmeno il proponente conosce.
Continua:
“ avere la cittadinanza italiana dopo dieci anni di residenza legale nel nostro Paese è troppo facile; l’immigrato che intende divenire cittadino italiano deve superare un test che consentirebbe di valutare se l’integrazione nella nostra comunità sia avvenuta o no”.
Certo che come trattano loro gli immigrati ben difficilmente questi ultimi trovano da noi un terreno fertile dove porre le loro radici; potrebbero raccontare solamente i sopprusi subiti e le bastonate ricevute.
Delle due proposte, quella di Fini e quella di Calderoli non se ne fece nulla.
Seconda tappa.
Via i presidi meridionali, le commissioni esaminatrici con membri di commissione provenienti dal sud.
Stavolta il casus belli è l’ennesima bocciatura del figlio di Bossi all’esame di maturità.
Quest’anno pare che sia finalmente passato, anzi, maturato.
Oggi si sfiora il ridicolo, a voler essere clementi.
Approfittando della discussione sulla riforma della scuola, da parte leghista si vuole introdurre una norma secondo la quale i docenti “fuori zona” dovrebbero essere tenuti a sottoporsi ad un test di dialetto.
i docenti che intendono insegnare in una regione diversa da quella della loro nascita debbono conoscere il dialetto.
La presentatrice di questa singolarissima proposta, incostituzionale oltre che stupida, vorrebbe che venissero creati degli albi regionale aperti a tutti, anche agli extra-regionali, e quest’ultimi iscritto solo dopo aver superato questo test.
Ma, a quel che so, i dialetti in una regione sono diversi l’uno dall’atro; per esempio quello meneghino differisce del tutto da quello bergamasco che, quando si sente parlare sembra ostrogoto.
Ricordo che da giovane, quando andavo in Svizzera per imparare il francese ed il tedesco, mi trovavo nel Canton Vaud, dove conobbi un ragazzo bergamasco che faceva il contadino; per capirci dovevano conversare in francese.
In Sicilia, poi, bastano pochi chilometri tra due paesi perché il dialetto cambi, vocaboli diversi, frasi idiomatiche altrettanto e così via.
Tutto sommato un test farei proprio a loro di tutt’altra specie: quello d’intelligenza !
L’ho cercata ma non sono più riuscita a scovarla; mi riferisco ad una vignetta pubblicata subito dopo la sparata di Calderoli:
ESAME DI DIALETTO
L’immigrato davanti a Bossi che gli chiede una frase in dialetto milanese;
il primo risponde subito con decisione:
VADA VIA I’ CIAPP.
Prova superata alla grande !
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