"Lavorare meno per lavorare tutti": uno slogan fallace
di Giorgio Bianco - 18 luglio 2004
Dall'ultimo bollettino mensile della Bce emerge un dato inequivocabile: la produttività dei Paesi dell'area dell'Euro è decisamente inferiore a quella degli Stati Uniti, e di conseguenza anche il prodotto pro capite cresce meno.
Una netta inversione di tendenza rispetto agli anni Ottanta, quando erano i Paesi che avrebbero adottato l'Euro a superare in produttività gli Stati Uniti.
La produttività europea ha continuato a crescere, negli anni Novanta, allo stesso ritmo, ma tra il 1996 e il 2003, negli Usa, Pil pro capite e Pil reale sono aumentati più che in Europa.
Effetto, spiega il rapporto della Bce, di un più intenso e capillare utilizzo delle nuove tecnologie, ma anche di un diverso impiego del fattore lavoro.
Mentre nei Paesi dell'Euro, dal 1980, le ore lavorate scendevano da 17 a 15 mila l'anno, negli Usa sono sempre rimaste al di sopra delle 19 mila.
Il costo del lavoro, spiega ancora il rapporto, nell'ultimo triennio è aumentato, in Italia, del 9,9% (?), in Germania del 2%, in Francia del 1,6%.
Un chiaro sintomo di un andamento negativo della produzione, a propria volta effetto di quella concertazione che, negli anno Novanta, ha mirato soprattutto al contenimento dell'inflazione, attraverso lo scambio tra meno salario e meno orario di lavoro.
Appare allora evidente che l'obiettivo, in vista di una ripresa, non può essere che quello di un incremento della produttività, che ha come presupposto un impiego più flessibile della manodopera.
E qui si misura tutta la fallacia dello slogan
"lavorare meno per lavorare tutti",
che per decenni è suonato suggestivo, ma che ora, non solo nella Francia di centrodestra di Chirac, Raffarin e del ministro dell'Economia Sarkozy, ma anche nella socialdemocratica Germania (uno dei primi Paesi, negli anni Ottanta, a introdurre le 35 ore).
L'idea di aumentare l'occupazione dividendo in fette più piccole la torta già esistente poggia su un clamoroso errore d'analisi.
Un posto di lavoro non si divide in due o in tre senza costi, dal momento che non si ha a che fare con un dolce bensì con esseri umani, i quali necessitano di formazione (e dunque di adeguati periodi di training), di informazione e di comunicazione.
Se si aggiunge poi il peso dei carichi sociali, è stato fatto notare in un dossier pubblicato alcuni anni fa sul sito francese www.libres.org, due persone in uno stesso posto possono arrivare a costare il 20 per cento in più di una persona sola che occupi il medesimo posto di lavoro: «un'impresa di 10 salariati non è dunque comparabile, a livello di costi, a una di 20 mezzi-posti».
Ma esistono anche altri esempi del fatto che il sillogismo in questione cozza clamorosamente contro i dati di fatto, e i Paesi meno toccati dalla disoccupazione non sono affatto quelli dove si lavora di meno, anzi è vero l'esatto contrario.
Uno studio pubblicato qualche anno fa da Giuseppe Pennini, docente di Finanza pubblica alla Scuola superiore di pubblica amministrazione, ex dirigente della Banca Mondiale e direttore per l'Italia dell'Organizzazione Mondiale per il Lavoro, metteva in evidenza che in Giappone, dove il monte ore annuo era di 1.900, e i giorni di ferie 15, mentre in Italia le ore annue lavorate erano in media 1.800, i giorni di ferie 25, e il tasso di disoccupazione del 12 per cento!
Del resto, anche in Italia esistono forti divari nella quantità delle ore lavorate, ai quali corrispondono differenze non meno macroscopiche nei tassi occupazionali, nella produttività oraria e nel reddito pro capite.
Nel 1995, la disoccupazione italiana, secondo l'Eurostat, era del 12 per cento, ma quel dato nascondeva che nel Mezzogiorno saliva al 21 per cento, mentre nel Nordest (dove gli orari lavorativi sono molto più lunghi, e agli abitanti è da lungo tempo affibbiata l'etichetta di "sgobboni") calava al 6,8 per cento. Ancora, nel Regno Unito, dove gli orari sono di fatto tra i più alti d'Europa, uno studio della Banca d'Inghilterra ha evidenziato che dal 1992 a oggi il totale delle ore lavorative è aumentato del 3,2 per cento, a fronte di un aumento dell'occupazione dell'1,8 per cento.
Dovrebbe risultare allora del tutto evidente che quel frusto slogan, che qualcuno, specialmente in Italia, continua imperterritamente a litaniare, è una clamorosa, invereconda bufala, e andrebbe rovesciato nel suo esatto opposto: "lavorare di più per lavorare tutti".
Giorgio Bianco
bianco@ragionpolitica.it
Come mai il ministro SACCONI ha fatto questa proposta proprio ieri
22 dicembre 2008 ?
Sig. Bianco, se ancora esisti, batti un colpo e spiegaci questo clamoroso dietrofront del suo ministro.
Segue articolo de L’Unità.it
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