mercoledì, luglio 30, 2008

La riforma della Giustizia - 2

LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA – 2
Intervengono i magistrati

Alla vigilia del Natale 2004 un mio carissimo amico, prematuramente scomparso due mesi dopo, sapendo che mi interessavo in particolare sulla riforma della nostra
“Giustizia- Ingiustizia”
mi inviò questo pezzo che trascrivo oggi, visto che il nostro Premier intende porre ancora una volta mano su questo problema GIUSTIZIA ma non per risolverlo, bensì per paralizzarne ancor più il suo iter, ammesso che al punto in cui si trova tale finalità sia ancora possibile.
Questa è la logica conseguenza dell’operato di chi ritiene di fare, per suoi motivi personali, una specie di ritorsione nei confronti di quei magistrati i quali, invece di bighellonare e lasciar perdere, hanno puntato la loro attenzione, peraltro doverosa per legge, su alcuni “affari personali” di un tizio che, tra l’altro, è niente popò di meno che il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il bene e per volontà del Popolo Italiano, sia pure in parte.
L’ho tenuto in questi quattro anni prima in un cantuccio del mio pc e poi passato su di un CD che avevo conservato gelosamente qui in Sicilia.
Credo che l’articolo in parola possa offrire un importante contributo per comprendere quali siano gli attuali e veri problemi della nostra Giustizia da risolvere al più presto, almeno quelli più importanti.
Tra il serio ed il faceto proposte a non finire per chi volesse intendere; ma credo che saranno in pochi i politici veramente interessati a che la Giustizia funzioni anche in Italia; basterebbe sgombrare il campo da preconcetti, ideologie non solamente politiche, ma guardare e puntare al sodo.
E chi meglio dei diretti operatori potrebbe segnalare, perché il potere legislativo possa correggerle, le strozzature che impediscono ancor, o soprattutto, oggi il suo corso normale ?
Ma ci sono in Parlamento i saputelli, magari molto competenti in altre professioni che con la giustizia nulla hanno a che fare, gli indagati ed anche i pregiudicati che vogliono dire la loro; anche gli avvocati che più dura una causa od un processo penale e più cresce il costo della parcella, ecc…
Sono costoro che hanno sempre avuto voce in capitolo col risultato di leggi incomprensibilmente prive di una logica atta a ridurre tempi e costi della Giustizia.
Dopo quella di Davigo vi presenterò in una terza parte il
“J’accuse”
del Procuratore Antimafia
Pietro Grasso
Ma veniamo al punto

02.11.2004

PIERCAMILLO E IL LUPO



Poiché non c’erano giornalisti, a parte me munito di registratore, ti mando un prezioso inedito che mi è costato una laboriosa sbobinatura.
La flotta macedone catturò un pirata e lo portò davanti ad Alessandro Magno perché lo giudicasse. Alessandro Magno gli chiese: “Con che diritto infesti i mari?”. E il pirata: “Con lo stesso tuo. Con la differenza che io lo faccio con una nave e mi chiamano pirata. Tu lo fai con una flotta e sei chiamato re”.
Con questo aneddoto (citato da Sant’Agostino), Piercamillo Davigo, oggi giudice di Corte d’Appello a Milano e negli anni 90 giudice per indagini preliminari all’epoca di Mani Pulite, ha iniziato il suo intervento ad un convegno che si è svolto nello scorso fine settimana nel monastero di Camaldoli.
Era un incontro sul tema della giustizia, e di tutti i relatori Davigo è stato sicuramente il più brillante.
Almeno secondo me.
Poiché non c’erano giornalisti, a parte me, munito di registratore, ti mando un prezioso inedito che mi è costato una laboriosa sbobinatura.
Davigo ci ha intrattenuto su numerosi temi ma poi sollecitato da una domanda sulla prossima riforma dell’ordinamento giudiziario si è scatenato.
Sarebbe un peccato rinchiudere il suo intervento tra le mura di quello splendido monastero camaldolese, anche perché in alcuni passaggi è davvero esilarante, e così mi permetto di sottoporlo anche alla tua attenzione.
Leggilo perché ne vale veramente la pena.
firma……………..
Vorrei cominciare col dire che la differenza, contrariamente a quello che pensava il pirata, non è nel numero delle navi.
La differenza tra i briganti e lo Stato è nella giustizia.
Se le leggi di uno stato si ispirano a principi di giustizia universalmente accettati, allora quello Stato può difendersi credibilmente dai briganti.
Se le sue leggi non hanno più quel contenuto di giustizia, c’è il rischio che torni a contare il numero delle navi.
La questione della riforma dell’ordinamento giudiziario e della verifica delle professionalità è propaganda pura per una serie di ragioni.
Primo
I magistrati sono caratterizzati da quello che viene chiamato potere diffuso.
Quindi non hanno necessità di selezionare i più bravi.
Casomai c’è bisogno di selezionare quelli non idonei per mandarli a casa.
Non è che si tratta di fare un concorso per selezionare i più bravi e mandarli nelle funzioni superiori.
Paradossalmente, e ve lo dico facendo io il giudice d’appello, se si dovesse guardare alla difficoltà del lavoro, dovremmo rovesciare la carriera del giudice.
Dovremmo far cominciare gli uditori dalla Corte di Cassazione.
E’ tutto molto più facile.
Intanto c’è solo diritto.
La ricostruzione del fatto, che il più delle volte è la cosa più difficile, non c’è.
C’è il massimario della Cassazione che ti mette a disposizione tutti i precedenti.
Per cui se uno non si discosta dai precedenti anche se è un idiota è in grado di scrivere una decorosa sentenza.
Quando è diventato bravo dovrebbero mandarlo in Corte d’Appello.
E’ un po’ più difficile perché oltre a tutto quello che fa la Cassazione, senza però il massimario, e quindi devi andare in biblioteca a studiare, c’è anche la ricostruzione del fatto.
E tuttavia la posizione del giudice d’appello è legata alla sentenza di primo grado e ai motivi di impugnazione.
Quando uno è diventato molto bravo dovrebbero poi mandarlo in primo grado dove trova persone che gli raccontano delle cose e deve cercare di mettere insieme la ricostruzione dei fatti e una sentenza.
Quando infine è diventato bravissimo dovrebbero mandarlo a fare il pubblico ministero perché lì trova una notizia di reato e deve da lì costruire il processo.
Solo che se uno fa il pubblico ministero a 70 anni, muore.
E allora si fa il pubblico ministero a 25 anni per poi finire in Cassazione.
Pensare di regolamentare questi passaggi a funzioni, come dicono loro, più elevate, attraverso concorsi, è una sciocchezza.
E’ una sciocchezza perché noi i concorsi ce li avevamo.
Li hanno tolti tutti.
Abbiamo provato il concorso per esami, il concorso per titoli e la comparazione sulla quantità e sulla qualità del lavoro.
Il concorso per esami privilegiava quelli che lavoravano nelle “Preture sdraio”, ovvero quelle in cui non si lavora e dunque uno ha un sacco di tempo per studiare.
Negli uffici dove si lavora tanto non ci voleva andare nessuno perché poi come fai a studiare?
Si sa benissimo che non riuscirai a fare mai nessun concorso.
Ricordo quella battuta infelice che fece l’allora ministro Biondi:
“Studia studia, mi diceva mio padre, sennò finisci a fare il pubblico ministero”.
Battuta alla quale rispose l’allora procuratore di Milano Borrelli, definendola una affermazione “fatta a un’ora pericolosamente tarda del pomeriggio”,
in riferimento ad alcune chiacchiere su alcune abitudini del ministro.
Ma è vero.
Perché andava negli uffici più delicati chi sapeva che non avrebbe progredito in carriera.
E quindi rinunciava a priori.
Allora si è passati al concorso per titoli.
E il risultato fu peggiore del primo.
Perché vedete, io posso essere anche il più bravo in assoluto, ma se mi mettono a fare gli incidenti stradali è difficile che qualche mia sentenza venga pubblicata, perché su questa materia è già stato pubblicato tutto ciò che si poteva pubblicare.
Se invece sono il cocco del capo dell’ufficio e mi mettono a fare la prima causa di franchising che arriva nell’ufficio, anche se sono scemo e scrivo stupidaggini, la mia sentenza verrà comunque pubblicata.
Magari con le note critiche al testo.
Questo ha scatenato il servilismo nei confronti dei capi.
Come scatenava il servilismo verso i capi un’altra cosa della quale ci siamo liberati:
gli arbitrati.
Ci sono ancora per i giudici amministrativi, non c’è verso di farli togliere.
Io mi sono sempre chiesto come mai un magistrato, sia pure amministrativo, debba fare gli arbitrati.
Perché mai lo Stato deve rivolgersi a collegi privati per dirimere una controversia consentendo poi ai giudici di farne parte?
La risposta è semplicissima.
La giurisprudenza arbitrale è generalmente più favorevole alle imprese di quella ordinaria.
Sennò gli arbitrati non ci sarebbero più perché le imprese non affiderebbero le loro controversie ai collegi arbitrali nelle cause con la pubblica amministrazione.
E’ questa una forma brutta, brutta, brutta di influenza sul modo di decidere, sia pure in attività non pubbliche.
Capite bene che se il presidente del Consiglio di Stato chiama un suo consigliere e gli dice: “Caro collega, volevo parlarti della tale causa…”, se il collega in questione è sveglio risponde: “Presidente, mi ha battuto sul tempo, stavo per venire qui da lei per lo stesso motivo”.
Il giorno dopo verrà nominato presidente di un collegio arbitrale .
Compenso: 500 milioni di lire.
Se invece il collega convocato risponde: “Presidente, prendo atto di come la pensa lei, ma mi riservo di decidere come credo”,
il giorno dopo verrà nominato presidente della commissione d’esame per due posti di barelliere all’ospedale di Lamezia Terme, quindici lire di compenso e sei mesi a Lamezia Terme salvo imprevisti.
Così impara.
Questo non ha nulla a che vedere naturalmente con l’indipendenza del giudice.
Così come i rapporti di sudditanza nei confronti del capo per avere la causa che ti permette di pubblicare la tua sentenza sulle riviste specializzate.
L’indipendenza del giudice è rivolta in due direzioni.
C’è l’indipendenza della magistratura nel suo complesso verso gli altri poteri dello Stato e l’indipendenza di ogni singolo magistrato all’interno dell’Ordine.
La seconda viene spesso dimenticata.
La valutazione della produttività del giudice con metodi statistici è una cosa veramente ignobile.
Io avevo un procuratore aggiunto che era un cialtrone che si vantava di aver smaltito in un anno 330 mila procedimenti.
Vi chiederete come è possibile.
Semplice.
Aveva una squadra di carabinieri timbratori, provvisti di timbro di gomma con la sua firma che, a ritmi forsennati timbrava il frontespizio dei fascicoli:
“Non doversi procedere perché rimasti ignoti gli autori del reato”.
Con lui c’era un consigliere istruttore aggiunto che aveva a sua volta una squadra di poliziotti timbratori che controtimbravano.
Con questo sistema, smaltiva 330 mila procedimenti all’anno.
E’ chiaro che uno così poteva lamentarsi del fatto che il Consiglio Superiore non lo avesse ancora nominato primo presidente della Corte di Cassazione perché era quello che apparentemente, sulla base dei dati statistici tanto cari al ministro della Giustizia, lavorava di più.
Una volta un collega cercava una prima segnalazione di un sequestro di persona a scopo di estorsione, con il rapito ancora nelle mani dei sequestratori, e non la trovava.
Poi è saltata fuori in un fascicolo già archiviato contro ignoti.
I rapitori erano effettivamente ignoti, ma forse quella decisione era prematura, visto che il rapito era ancora nelle mani dei rapitori.
La produttività misurata con la statistica porta a questi risultati, attenzione!.
Anche le sentenze di amnistia e di prescrizione fanno numero come le altre.Allora, questo meccanismo infernale significa voler assoggettare la magistratura a poteri gerarchici, perché il retropensiero è:
“se mettiamo le mani sui capi, poi li controlliamo tutti”.
Non funziona e non funzionerà.
Ma il problema è che nel frattempo sfasceranno tutto perché ci vorranno alcuni anni per coprire qualunque ufficio.
Per cui molti uffici rimarranno scoperti per tre o quattro anni.I
l problema non è che non vogliamo essere valutati periodicamente.
Ci vogliono sicuramente criteri di valutazione più rigorosi di quelli attuali.
Io per esempio, sarò valutato per l’ultima volta, in base all’attuale normativa, tra un anno e mezzo e poi non saro’ più valutato per altri vent’anni.
Invece bisogna essere valutati ogni quattro anni almeno.
Non esiste che uno smetta di studiare e di aggiornarsi.
Ma altro sono i concorsi.
Che in teoria servirebbero a selezionare i più bravi, che poi i più bravi non ci sono.
Non so se avete visto recentemente Ballarò, dove il ministro della Giustizia ha detto una frase infelice:
“Ma perché, se c’è un magistrato ambizioso, non dargli delle possibilità?”.
Ma perché l’ambizione è un difetto per un magistrato, ecco perchè!
Veniamo a principi più generali.
La pena, si dice, dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato.
E’ vero.
Quando ero bambino ho imparato in un episodio la funzione rieducativa della pena e la distinzione tra dolo e colpa.
Giocavo con i sassi, ho rotto un vetro e mi è arrivato un ceffone, accompagnato dalla frase “Così impari” (funzione rieducativa).
Alla mia protesta: “Non l’ho fatto apposta”, me ne è arrivato un altro, con la battuta “Ci mancherebbe!” ( distinzione tra il dolo e la colpa).
Detto questo vorrei sottolineare che la funzione riparativa della giustizia funziona per riconciliare il colpevole con la sua vittima sempre che il colpevole sia disposto ad ammettere la sua colpa.
Vi ricordate cosa disse in chiesa la vedova di uno degli uomini della scorta di Giovanni Falcone?
“Sono disposta a perdonarvi ma dovete mettervi in ginocchio a chiedere perdono, non continuare ad uccidere”.
Questo è il punto.
O per dirla come l’ha detta una volta Moni Ovadia, il perdono è una cosa privata tra la vittima e l’offensore e inoltre, il perdono prima che sia stata fatta giustizia qualche volta è complicità.
Allora, è vero che dobbiamo cercare di introdurre il più possibile forme di riparazione al posto di forme di vendetta.
Ma attenzione, per certe questioni e non per altre.
Non per esempio per i crimini dei colletti bianchi che fanno dei veri conti economici. Calcolano quanto e se conviene loro violare la legge.
Allora, avere l’idea che dopo che ne hai fatte più di Bertoldo puoi riparare il danno di quella volta su dieci in cui ti hanno beccato, significa invitarli a continuare a fare così.
Una volta un uomo politico di cui non faccio il nome perché ha anche lui diritto all’oblio, condannato per vari reati contro la pubblica amministrazione, ha partecipato una volta a un dibattito a Telelombardia (si tratta di Gianni de Michelis n.d.r.) con il giornalista Marco Travaglio, disse a proposito di Tangentopoli che bisognerebbe fare come in Sudafrica dove hanno costituito una commissione per la riconciliazione dopo la fine dell’apartheid. Travaglio replicò:
“Scusi, ma in Sudafrica c’erano i bianchi che ammazzavano i neri, i neri che ammazzavano i bianchi, i bantù che ammazzavano gli zulu eccetera.
Qui c’eravate voi che rubavate e io che venivo derubato.
E’ un po’ diverso”.
Si può scegliere quale forma di giustizia attuare se riparativa o retributiva, ma prima bisogna accertare se qualcuno ha fatto qualcosa e cosa.
E invece noi abbiamo messo su un meccanismo processuale infernale che rende sempre più difficile accertare le responsabilità.
Nell’attesa di decidere quale modello di giustizia sostanziale applicare se non restituiamo agli apparati giudiziari, innanzi tutto efficienza e efficacia, torniamo all’anarchia totale.
La giustizia dello stato moderno nasce come fine dell’anarchia feudale.
Il re decide che vanno messe via le spade, non ci saranno più vendette, d’ora in poi sarà il re a punire i torti.
Ma se il re smette di punire i torti, la gente torna a metter mano alle spade.
Questo è il rischio più grave al quale si va incontro disarmando la giustizia.
Allora torniamo all’importanza del numero delle navi.
A nessuno piace usare la forza ma bisogna mettersi in testa che il sistema giudiziario non riposa sull’uso del consenso, bensì sull’uso della forza.
E dunque va tutto bene, per carità, San Francesco ha ammansito il lupo, anche se poi ci hanno spiegato che i lupi non sono poi così cattivi come ci raccontavano da bambini.
Ma nel mondo degli umani qualche lupo pericoloso c’è.
Ammansirlo non è sempre facile e qualche volta è inevitabile l’uso della forza, da contenere nei limiti essenziali, naturalmente, ma sempre di forza si tratta.
Fateci caso, la giustizia è rappresentata di solito dalla bilancia e dalla spada.
La bilancia qualche volta non c’è ma la spada c’è sempre ed è sempre sguainata.
Deve saper minacciare. O colpire.
Piercamillo Davigo

Nessun commento: