martedì, luglio 29, 2008

Democrazia limitata

Il caso Schifani- Travaglio
- e non il solo -
incomincia sul seguente articolo pubblicato su
L’Unità del 02/05/2008
PARTE PRIMA
La seconda carica dello Stato nei verbali di Campanella.
Biografia non ufficiale di Renato Schifani firmata Marco Travaglio
Dagli affari di Villabate alla guida del Senato


Martedì scorso Renato Schifani proclamato presidente del Senato.
Il giorno dopo, la prima pagina del Giornale di Sicilia era tutta per lui.
La seconda carica dello Stato è un siciliano, un palermitano.
Che onore.
Ma a rovinare la festa ci si mette Marco Travaglio, che nella sua “ora d’aria” su l’Unità propone “qualche nota biografica del noto statista palermitano che ora troneggia là dove sedettero De Nicola, Paratore, Merzagora, Fanfani, Malagodi e Spadolini”.
E, tra le altre cose, vengono ricordati alcune vicende “antipatiche” che riguardano il passato di Renato Schifani, e i suoi rapporti con alcuni esponenti mafiosi. Socio di Mandalà.
“Trent’anni prima di sedere sul più alto scranno del Parlamento – scrive Travaglio – Schifani sedeva nella Sicula Brokers, società di brokeraggio fondata col fior fiore di Cosa Nostra e dintorni.
Cinque i soci: oltre a Schifani, l’avvocato Nino Mandalà (futuro boss di Villabate, fedelissimo di Provenzano); Benny D’Agostino (costruttore amico del boss Michele Greco, re degli appalti mafiosi, poi condannato per concorso esterno); Giuseppe Lombardo (amministratore delle società dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori mafiosi e andreottiani di Salemi arrestati da Falcone e Borsellino nel 1984). Completa il quadro Enrico La Loggia, futuro ministro forzista”. Da Villabate al Parlamento.
“Nei primi anni ´80, Schifani e La Loggia sono ospiti d’onore al matrimonio del boss Mandalà.
All’epoca, sono tutti e tre nella Dc.
Passeranno pochi anni prima che, nel 1994, Mandalà fondi uno dei primi club azzurri a Palermo, seguito a ruota da Schifani e La Loggia.
Il boss, a Villabate, fa il bello e il cattivo tempo.
Il sindaco Giuseppe Navetta è suo parente: infatti, su richiesta di La Loggia, Schifani diventa «consulente urbanistico» del Comune […].
Il pentito Francesco Campanella, braccio destro di Mandalà e Provenzano, all’epoca presidente del consiglio comunale di Villabate in quota Udeur, aggiunge: «Le quattro varianti al piano regolatore… furono tutte concordate con Schifani».
Che «interloquiva anche con Mandalà».
Sul Piano Regolatore Generale c’erano “grandi appetiti dalla famiglia mafiosa di Villabate. Mandalà organizzò tutto in prima persona.
Mi disse che aveva fatto una riunione con Schifani e La Loggia e aveva trovato un accordo […]
Domanda del pm: «Schifani era al corrente degli interessi di Mandalà nell’urbanistica di Villabate?».
Campanella: «Assolutamente sì. Mandalà mi disse che aveva fatto questa riunione con La Loggia e Schifani».
Il tutto avveniva «dopo l’arresto di Mandalà Nicola», cioè del figlio di Nino, per mafia. Mandalà padre si allontana da Forza Italia per un po’, poi rientra alla grande, membro del direttivo provinciale.
E incontra Schifani e La Loggia.
Lo dice Campanella, contro cui i due forzisti hanno annunciato querela; ma la cosa risulta anche da intercettazioni.
Nulla di penalmente rivelante, secondo la Dda di Palermo.
Nel ‘98 però anche Mandalà padre finisce dentro: verrà condannato in primo grado a 8 anni per mafia e altri 4 per intestazione fittizia di beni.
E nel ‘99 il Prg di Villabate salta perché il Comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose nella giunta che ha nominato consulente Schifani.
Miccichè insorge: «È una vergognosa pulizia etnica».
Ma ormai Schifani è in Senato dal 1996.
Prima capogruppo forzista, ora addirittura presidente.
Applausi. Viva il dialogo. Viva l’antimafia”.

E prosegue con l’intervento del suddetto giornalista nel corso della trasmissione
“Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio.
Per farla breve, Travaglio non fa che illustrare alcune frasi riportate nel libro scritto da lui e Pietro Gomez
“Se li conosci li eviti”.
Così scatenando un vero e proprio pandemonio; Travaglio viene aspramente criticato non solo dal centrodestra ma anche dal alcuni esponenti del centrosinistra.
L’unico a prenderne le difese è Il parlamentare del PD e giornalista
Furio Colombo
con un articolo pubblicato
su L’Unità del 13 maggio c.a.
dal titolo:
Schifani, il silenzio dell’opposizione.
FINE PRIMA PARTE

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