lunedì, luglio 10, 2006

lA DEVOLUTION AFFOSSATA DAL REFERENDUM


MA IL VERO SCOPO ERA IL POTER IMPERSONARE TUTTI E TRE I POTERI DELLO STATO


Avevo preannunciato che sarei ritornato sul tema della “devolution”, approvata nel corso della trascorsa legislatura dalla sola maggioranza di centrodestra, cancellata poi attraverso una valanga di NO in risposta al referendum confermativo cui si è dovuti ricorrere in base all’art. 138 della Costituzione per non aver ottenuto questa legge di revisione costituzionale, nel corso della seconda votazione presso le due Camere, il voto favorevole dei 2/3 dei suoi componenti.
Capitolo chiuso, direte; certamente, è proprio così, ma ritengo di ritornare su questo argomento poiché non credo che si sia compreso da parte di molti il pericolo che tutta l’Italia è riuscita ad evitare, sventando con il suo NO, come ho precisato in un precedente mio scritto, di arretrare in un sol colpo – di Stato direi - al 13 luglio 1789, giorno antecedente a quella rivolta, passata alla storia come la “rivoluzione francese” che, prima in un Europa in mano alle potenti dinastie monarchiche, portò attraverso la “Carta dei diritti dell’uomo e dei cittadini” alla divisione dei poteri detenuti sino ad allora in mano ai potenti monarchi di turno.
Si deve ammettere che tutto l’impianto revisionistico era stato, anche a giudizio di molti costituzionalisti tra i quali diversi Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, ben congegnato atteso che il quadro generale di questa revisione costituzionale nascondeva, secondo i voleri dell’allora capo del governo, qualcosa di molto diverso del semplice decentramento da attuarsi con lo spostamento di alcuni poteri già dello Stato alle Regioni: alludo al c.d. “premierato forte” che, una volta introdotto nel nostro nuovo assetto istituzionale, avrebbe costituito un serio ostacolo all’applicazione in concreto della presunta “devolution” causa la figura del tutto accentratrice del premier, titolare unico di ogni potere.
Questa circostanza la si poteva comprendere appieno attraverso la lettura completa del testo in discussione, ma quanti hanno avuto la possibilità o la voglia di farla ?
In contrapposizione a ciò stava la propaganda “ingannevole”, quotidianamente strombazzata da tutti i partiti del centrodestra e dai media filo-governativi, rivolta ad enfatizzare i benefici che da questa riforma “federalista” avremmo tutti goduto tra i quali, in via principale:
· risparmi sulla spesa pubblica perché, come conseguenza dell’abbandono del c.d. “bicamerismo perfetto” – due Camere con identici funzioni oggi in vigore – si andava a ridurre il numero dei deputati da 630 unità a 400 e quello dei senatori da 315 a 200 più 12 deputati e 6 senatori eletti nella circoscrizione riservata agli elettori italiani residenti all’estero ed in più 3 senatori a vita eletti dal Presidente della Repubblica nel corso del suo mandato contro i 6 previsti oggi;
· maggiore rapidità nell’approvazione delle leggi di competenza dello Stato in quanto di esclusiva competenza della Camera dei Deputati;
· eliminazione di quegli ostacoli burocratici quali il voto di fiducia , nomina dei ministri da parte del Premier sul cui capo passa inoltre il potere di scioglimento delle Camere attualmente prerogativa del Presidente della Repubblica;
· eliminazione dei c.d. “ribaltoni” attraverso l’indicazione da parte della maggioranza di un nuovo Premier in caso di un voto di sfiducia nei confronti del capo del governo in carica.
Ecco delineata l’Italia moderna voluta dal sig. Berlusconi il quale, a più riprese, non ha fatto altro che ribadire come l’andare in Parlamento fosse per lui una perdita di tempo; “sono stato costretto ad andare alla Camera” gli scappò di affermare in TV. Chiestogli un dibattito sulla politica estera ebbe a rispondere “ Ma che bisogno c’è ? Basta leggere i giornali”.
Il regolamento della Camera all’art. 135 bis stabilisce che il presidente del Consiglio deve intervenire durante lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata – il c.d. “question time” a cadenza settimanale – ma l’ex Premier non vi ha mai partecipato, in dispregio di ogni regola parlamentare, preferendo inviare l’ex ministro Giovanardi.
Con la possibilità di poter sciogliere la Camera dei deputati nel caso di mancata approvazione di una sua legge come negare la sottomissione del Parlamento ai voleri del premier ? Come non comprendere che in tal modo al suo potere esecutivo si andava aggiungendo anche quello legislativo, proprio del Parlamento, sottoposto direttamente al controllo del capo dell’esecutivo ?
Rimaneva da sistemare quello legislativo e qui interviene la riforma Castelli che dispone tutta una serie di controlli e provvedimenti che delimitano fortemente ogni iniziativa in sede penale da parte della magistratura inquirente.
L’inizio di una azione penale, obbligatoria per legge, diviene di esclusiva competenza dei Procuratori Capi della Repubblica, una cinquantina in tutto, mentre prima potevano iniziarla, senza alcuna espressa autorizzazione da parte di questi ultimi, i circa 2.500 Sostituti Procuratori sparsi nelle varie Procure italiane.
C’era anche un progetto di legge secondo il quale sarebbe stato il Parlamento, all’inizio di ogni anno giudiziario, a decidere per quali reati si potesse obbligatoriamente procedere d’ufficio; non sono riuscito a scovare la fine di questa proposta ma, visto il precedente della legge Castelli, appare chiaro come sia facile, con un provvedimento ad hoc, manovrare un’azione penale da parte degli altri due poteri dello Stato, già riuniti nelle mani del comandante in capo di tutto e di tutti, cioè del Premier “forte”, nella realtà, per legge, divenuto un assoluto sovrano.
Fortunatamente il rischio è per adesso passato ma, visti questi precedenti intenti, chissà cosa potrà accaderci un domani; occorre vigilare e non farsi infinocchiare dai tanti venditori di una falsa democrazia.
Tutto qui ? No, qualcosa va senza dubbio cambiata nella nostra Costituzione.
Come e cosa alla prossima volta

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