Il j'accuse'
processi lenti e leggi sbagliate, così si blocca la lotta alla mafia.
Ascoltato dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia di Palazzo Madama, nell'ambito dell'esame del ddl sicurezza, il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, denuncia le difficoltà del sistema giudiziario e le responsabilità politiche.
A partire dalla lotta alla mafia,
"bloccata dalla lentezza dei processi".
Poi Grasso spiega:
"E' strano, ma ho subito il pignoramento di 150 mila euro destinati alle Dda, quindi all'azione antimafia (sotto forma di autovetture, di riparazioni, di manutenzione delle stesse e quant'altro), proprio in attuazione di decreti ingiuntivi emessi per la legge Pinto".
In sostanza, dice Grasso, questa legge
"produce delle condanne per la lentezza dei processi.
Per l'esecuzione forzata viene colpito il denaro destinato alla Direzione distrettuale antimafia".
E dunque, "la lentezza dei processi produce l'arresto dell'azione antimafia".
Il procuratore antimafia sollecita
"una riforma organica di tutto il sistema",
ma che colpisca i punti nevralgici.
Infatti, "come si puo' conciliare la celerita' dei processi e l'inserimento di sempre nuovi termini a garanzia dell'indagato o dell'imputato, senza modificare il sistema delle impugnazioni o gli attuali tre gradi di giudizio?
Come si puo' far convivere il sistema assolutamente segreto delle indagini del PM con le garanzie della difesa?".
Ecco, prosegue Grasso, "oggi si lavora contemporaneamente per due tipi di processo: uno inquisitorio, ma eventuale, nel caso in cui l'imputato, senza che il PM possa interloquire, scelga il rito abbreviato, che deve essere documentale e garantito".
Accanto a questo, prosegue il Procuratore, c'e' "il secondo, un tipo di processo accusatorio, in cui non ha alcun valore probatorio tutta l'attivita' svolta nel corso delle indagini.
E poi quanti giudici vengono investiti dallo stesso fatto criminoso?
GIP, Tribunale della Liberta', Corte di Cassazione (ai fini della custodia cautelare), GUP, Tribunale, Appello e ancora Cassazione, con un ulteriore controllo sul merito attraverso il ricorso per difetto di motivazione".
Altro capitolo, i collaboratori di giustizia:
"Non si puo' recriminare che non ce ne siano più quando le norme ordinarie consentono sconti tali da non rendere più convenienti i benefici penitenziari della collaborazione",
sostiene il Procuratore, che continua:
"Oggi si ha un'attenuante per cui si sconta solo un quarto della pena in carcere ma, se facciamo i conti, tra rito abbreviato, impugnazione del rito abbreviato e patteggiamento allargato in sede di appello, una persona che dovrebbe essere condannata per traffico di stupefacenti a 24 anni di reclusione ne sconta solo 8, molti meno di quanti ne avrebbe presi se avesse collaborato".
E' chiaro, insiste Grasso, "che avvalendoci di questi sistemi e queste norme, la collaborazione non e' piu' conveniente".
Un paradosso, dunque, che porta il procuratore antimafia a concludere:
"Prima di chiederci 'perché non si risolvono i problemi della criminalità dobbiamo farci un'esame di coscienza su quali siano le norme che devono contrastare la criminalità organizzata".
“Chi orecchie per intendere intenda”
afferma un nostro proverbio.
Giustissimo, ma mi domando se i destinatari di questa speciale “requisitoria” abbiamo orecchie per sentire e cervello per capire.
Purtroppo abbiamo avuto sino ad ieri esempi del tutto contrari da parte degli stessi avvocati seduti in Parlamento il cui compito principale è quello di predisporre proposte di leggi che consentano al loro principale cliente di sfuggire attraverso una serie di cavilli inseriti in queste leggi al posto giusto ad un rapido e serio processo.
Sbraitano contro i giudici ma dovrebbero auto fustigarsi perché è da anni ed anni che hanno ridotto la GIUSTIZIA ad un livello così basso che sarà molto difficile salvare in tempo quel poco di buono che ancora c’è per merito esclusivo di molti magistrati attraverso molti sacrifici.
La riforma della GIUSTIZIA ci sarà secondo il volere berlusconiano di cui si intravedono i primi segnali.
Mi riferisco in particolare all’indagine che una certa parte politica (AN) vorrebbe imporre alla Procura di Bologna relativamente alla
STRAGE della STAZIONE.
Dall’amico “appaltone “ ho ricevuto oggi il seguente pezzo:
Che succede a Bologna?
Lo chiede ai suoi lettori il Secolo d’Italia, già organo del Msi, poi di Alleanza nazionale, oggi confluito nella potentissima flotta dei media fiancheggiatori dell’attuale governo.
Di solito i giornali, quando vogliono sapere quello che accade in una città, mobilitano uno o più inviati.
Non così il Secolo, che forte di un editore, Gianfranco Fini, che è anche Presidente della Camera, solleva interrogativi di cui evidentemente conosce già la risposta. Perché a Bologna, secondo l’articolo che ieri appariva in prima pagina sull’organo di An, c’è una Procura che non vuole indagare sulla strage avvenuta alla stazione il 2 agosto 1980. In realtà, a Bologna c’è una Procura che le indagini sulla strage le ha già fatte e altre ne sta facendo, magari non come il Pdl desiderebbe: la chiamano separazione dei poteri.
Tre neofascisti, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e il loro complice Luigi Ciavardini, sono già stati condannati quali autori materiali del massacro; due ufficiali del Sismi, all’epoca controllato dalla P2, il venerabile maestro Licio Gelli, e Francesco Pazienza, sono stati condannati per calunnia pluriaggravata finalizzata al depistaggio delle indagini.
È solo la sintesi di sentenze pronunciate all’esito di un iter processuale lunghissimo, che ha visto una decina di dibattimenti, celebrati da altrettanti collegi giudicanti nei vari gradi di giudizio.
Da alcuni anni però i parlamentari di An-Pdl chiedono che le indagini imbocchino una pista diversa, che in ultima analisi attribuisce la strage a fazioni dell’Olp, la vecchia Organizzazione per la liberazione della Palestina, tesi cara anche al senatore a vita Francesco Cossiga e prima ancora ai servizi segreti controllati dalla P2.
Ieri i parlamentari del Pdl hanno interrogato a mezzo stampa il ministro della giustizia Angelino Alfano, reduce dalle fatiche del lodo salva-premier, «affinché verifichi se effettivamente la Procura di Bologna stia attentamente e scrupolosamente indagando sulle importanti novità emerse nella commissioni Mitrokhin e relative alla strage del 2 agosto 1980».
In altre parole, viene invocata un’ispezione ministeriale - si legge nella lettera firmata tra gli altri da Enzo Raisi, parlamentare di An-Pdl nonché procuratore generale del Secolo, e Italo Bocchino - su una «serie di attività comportamentali ed eventi» che «inducono a credere che non vi sia una ferma volontà, da parte della Procura di Bologna, di verificare realmente le circostanze che hanno indotto personalità come il senatore a vita Giulio Andreotti e il senatore Francesco Cossiga a giudicare come importante novità» le conclusioni relative alla strage della commissione bicamerale. Insomma, se Alfano si è occupato di processi che impensierivano il premier, perché non dovrebbe spendersi per quelli che in passato hanno squadernato gli imbarazzanti album di famiglia di Msi-An (suscitò clamore l’intervista rilasciata a Gian Antonio Stella in cui, ricordando la vecchia militanza nel Msi, Mambro e Fioravanti, commentavano: «Noi in galera, loro al governo»).
Un primo effetto la lettera dei parlamentari sembra averlo prodotto: proprio ieri il ministro Alfano ha fatto sapere che domani non sarà a Bologna, dove avrebbe dovuto parlare - l’annuncio ufficiale è stato dato solo pochi giorni fa - per conto del governo alla commemorazione delle vittime della strage.
Al suo posto ci sarà Gianfranco Rotondi, figura più defilata (è ministro all’Attuazione del programma)dell’esecutivo Berlusconi. Ma cosa rimproverano i parlamentari del Pdl al sostituto procuratore bolognese Paolo Giovagnoli, titolare delle indagini sulla strage?
È semplice: non aver preso per oro colato le informazioni uscite dalla commissione Mitrokhin, diventata famosa perché il cui presidente Paolo Guzzanti utilizzava come consigliere tal Mario Scaramella, venditore di patacche (voleva incastrare Romano Prodi come agente del Kgb) successivamente arrestato dalla Digos per traffico d’armi.
Il nodo del contendere è la presenza a Bologna di un terrorista di sinistra tedesco, Thomas Kram, per An legato al più famoso Ilich Ramirez Sanchez, alias Carlos.
È accertato che Thomas Kram, pedinato da servizi e polizie di mezza Europa, trascorse la notte tra il primo e il 2 agosto 1980 all’hotel “Il Cappello Rosso” di Bologna, registrandosi con nome e cognome e veri.
Per questo motivo, secondo An-Pdl, avrebbe dovuto essere iscritto nel registro degli indagati per il reato di strage.
La Procura, che ha già avviato una rogatoria internazionale, lo vuole invece sentire come persona informata sui fatti, cosa che intende fare anche per Carlos.
Perché per formulare un’ipotesi d’accusa ci vogliono prove e, pur supponendo Kram autore della strage di Bologna, restano da spiegare alcune cose.
Innanzitutto c’è da capire per quale motivo un terrorista esperto e navigato arrivi dalla Germania con l’intenzione di fare una spaventosa carneficina e declini in albergo le sue vere generalità.
In secondo luogo, perché una simile leggerezza provenga da uno come Thomas Kram, che la polizia tedesca considera un abilissimo falsario (non un «esperto di esplosivi» come scrivono i parlamentari del Pdl) nonché autore di una clamorosa truffa con titoli taroccati ai danni delle Poste del suo Paese.
Quindi uno perfettamente in grado di procurarsi, se non di fabbricare, un passaporto falso. Kram viene controllato al posto di frontiera di Chiasso, che il primo agosto 1980 ne segnala l’ingresso in Italia.
In quell’occasione, Kram, che è diretto a Milano, viene anche perquisito con esito negativo. Insomma c’è un terrorista supersorvegliato, perfettamente consapevole di esserlo (anche l’11 dicembre del ‘79 la sua casa di Perugia viene perquisita dalla Digos), che il 2 agosto dell’80 va a fare una strage premurandosi di far sapere come si chiama con tanto di documento autentico.
Sull’altro piatto della bilancia, ci sono le accuse ai terroristi neri verificate in anni di indagini e confermate da numerosi collegi giudicanti, con sentenze pronunciate anche dalle Sezioni penali unite della Cassazione.
È comprensibile che un magistrato proceda con cautela.
È anche comprensibile che An veda in Kram la soluzione di qualche suo problema di immagine, ma per questo farebbe bene a rivolgersi a un esperto di comunicazione.
La magistratura, almeno per ora, ha altri compiti”.
PURTROPPO
caro “appaltone”, la riforma della Giustizia la faranno costoro !
Il che fa presagire niente di buono: solamente una pseudo riforma per soddisfare le loro voglie vendicative, anche con l'istituzione di qualche tribunaletto speciale capeggiato da giudici che di nero non avranno più la toga ma una camicia.
Poi, magari, per farci felici e contenti, ci propineranno un contorno di manganellate e di olio di ricino in ricordo di quei tempi felici in cui un tizio mandava i suoi oppositori in “ villeggiatura “; però strettamente vigilata per salvaguardare la loro intimità.
Se penso che ce la siamo anche voluta......mi sento male !
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