martedì, gennaio 08, 2008

Le mie città

LE MIE QUATTRO CITTA’
- CREMONA, NOTO,
CORSICO e MILANO-
CHE PORTO NEL CUORE.
I^ parte

CREMONA
La mia città natale,
famosa per le tre
T
Turoòn, Turàs, Tetàs

In molti ne aggiungono una quarta di T
Tugnàs
ed è un peccato che ad Anna Maria Mazzini non venne in mente di attribuirsi in arte il nome di Tina invece di Mina, altrimenti le T sarebbero divenute ben cinque!
Rivolge, spalancondole, le sue braccia accoglienti, con l’ausilio di un ponte sul Po,


verso la confinante Emilia Romagna dalla quale è riuscita a recepire il meglio in molti campi.
Il Po, la gloriosa Canottieri Baldesio, un tempo fucina di vogatori di fama internazionale, il Ponchielli e l’amore per la musica alimentato anche dalla fama dei suoi famosi violini Stradivari,

noti in tutto il mondo, strumenti preziosi dal valore, oggi, inestimabile.
A Cremona non ci ho mai abitato se non da neonato e nei primi anni della mi vita ma l’ho sempre seguita da lontano anche se spesso non rifuggo dal tornarci da turista; attraverso le e-mail ed il sito web dell’Amministrazione comunale mi tengo al corrente di quanto avviene nella mia città.
NOTO
PROCLAMATA DALL’UNESCO
PATRIMONIO DELL’UMANITA’

per il suo eccezionale ed ineguagliabile patrimonio urbanistico improntato al barocco del decadentismo che vide attorno al 1700 le sue migliori realizzazioni in tutta la Val di Noto.


Aggiungiamoci un mare da anni “5 vele” da Legambiente per cui non è azzardato definirla come una perla che si specchia nel mar Mediterraneo.


Qui mi sono formato in quella cultura umanistica, che da molto tempo ha reso famosa Siracusa e la sua provincia, presso il glorioso Ginnasio – Liceo classico intitolato ad Antonio Di Rudinì, ex Presidente del Consiglio in due legislature, sia pure per un periodo totale di circa tre anni, nobile palermitano, il cui vero nome era Antonio Sterrabba, marchese di Rudinì.
A Noto, in contrada San Corrado Fuori le Mura, così denominata per avere in una delle sue vallate il Santuario eretto, addossandolo alla parete della grotta in cui il santo eremita pregava,


il patrono della città e della Diocesi di Noto, Corrado Confalonieri, piacentino di casato e di nascita.
In questa stupenda contrada uso trascorrere, oramai spogliatomi da ogni impegno, sei mesi all’anno in un villino ereditato da mio padre in mezzo ai miei fiori e le mie piante,
Ma su Noto, in continuo declino a causa dell’incapacità programmatica di alcuni politici locali che si sono succeduti ultimamente nel governo della città – brave persone, per carità, ma prive di quei presupposti necessari che oggi fanno di un sindaco un vero e proprio manager dei beni e servizi da offrire sia alla collettività locale che ai numerosi turisti- mi soffermerò più lungamente a parte in un prossimo post, cogliendo lo spunto dalla lettura di un articolo pubblicato sul finire dello scorso anno sul quotidiano
La Sicilia.

CORSICO


Città, confinante con Milano, dove risiedo, ancora per poco, da ben 41 anni.
Uno di pochi comuni italiani la cui civica amministrazione è stata retta dalla Liberazione ad oggi dalla sinistra e quindi da una coalizione di centrosinistra.
In questa città, oltre che abitarci, ho svolto parecchie funzioni sia nel campo politico che istituzionale e sportivo senza tuttavia tralasciare il lavoro svolto a Milano presso una importante impresa di assicurazioni all’interno della quale, partendo dalla gavetta, ho raggiunto anche cariche dirigenziali.
A Corsico, e per un certo periodo anche a livello di zona, oltre ad incarichi politici in diversi campi, ho anche svolto per 10 anni la carica di Giudice Conciliatore e, successivamente, sempre per altrettanti anni, quella di assessore in diversi comparti amministrativi.
Esperienze queste che mi hanno consentito di mantenere con tutti i miei concittadini, di qualsiasi appartenenza politica, un rapporto amichevole cementato con gli anni sulla base di una fiducia reciproca tuttora immutata anche se, per varie ragioni, da qualche anno a questa parte mi sono ritirato a vita privata, fatta salva qualche puntatina presso la sede del Partito cui, pur cambiando per ben 3 volte denominazione. sono iscritto dal lontano 1955.
Cosa ne ho avuto in cambio ? Tutto.
Credevo di portare in questa mia nuova “patria locale” l’esperienza maturata nel corso del lavoro privato ma, invece, è stato l’opposto perché il continuo contatto con i miei nuovi concittadini mi ha consentito di arricchire alcune doti che di già erano presenti, sia pure in forma latente, in me:
- la comprensione dei bisogni di tutti, nessuno escluso, molto diversificati gli uni dagli altri, ma la maggior parte di essi meritevoli della massima attenzione; tale pratica quotidianamente applicata ha aumentato la percezione sia dei problemi generali della città che di quelli particolari di un quartiere, di una via, di un palazzo, di una famiglia nonché, soprattutto, l’individuazione della via giusta da percorrere per la risoluzione delle varie problematiche;
- accettare le critiche, riconoscere pubblicamente gli eventuali propri errori, coinvolgere in alcune operazioni tutte le altre istituzioni, anche private, cittadine a partire dall’Arma dei Carabinieri alle Banche ed Istituti finanziari;
- coltivare l’associazionismo fornendo ad ogni gruppo sedi idonee dove riunirsi;
- l’assistenza agli anziani attraverso il potenziamento del già esistente Centro Geriatrico, difendendolo con le unghie ed i denti dall’assalto della locale Unità Socio Sanitaria Locale (ASSL) e la Regione lo ha lasciato al Comune.
Oggi Corsico, pur lamentando la chiusura nel corso degli ultimi anni di numerose industrie (Besana, Ceramiche Pozzi, Cartiera Burgo, Smalterie di Corsico, Saint Goben, Cerutti, ecc..) ha cambiato volto assumendo, specie lungo la statale Nuova Vigevanese (Milano- Vigevano), un importante ruolo commerciale (Esselunga con un amio parcheggio anche sotterraneo e con contorno di una serie di negozi gestiti da corsichesi, Emmelunga, Ikea con due sedi, Chicco, Poltrone e divani, Decathlon, Castorama, concessionari auto e moto veicoli, ecc.. ).
Non a caso vi sono oramai sedi di istituti bancari quasi ad ogni angolo delle vie centrali e lungo la Nuova Vigevanese.

MILANO


Premetto subito che amo Milano, non quella invivibile di oggi, bensì per il ricordo che ho di questa città, ancora a misura d’uomo, per ciò che era e rappresentava negli anni ‘50.
A quel tempo era ancora piacevole passeggiare per le strade ed ero particolarmente attratto dalle botteghe artigianali che allora operavano lungo le stradine vicine a via Torino.
Qui mi sembrava di ritornare indietro nel tempo e di vivere nella stessa dimensione di questa città come era alla fine dell’ottocento, quella Milano meravigliosamente descritta da Emilio De Marchi nel suo romanzo “Demetrio Pianelli”.
Avevo la sensazione di poter incontrare da un momento all’altro questo povero travet, creatura di un De Marchi ancora legato agli ultimi sussulti della scapigliatura milanese; la mia curiosità mi portava ad interpellare i vecchi artigiani autori di veri capolavori in opere in legno ed in ferro battuto ma anche il ciabattino faceva parte non secondaria di questo mondo, facendo rivivere vecchie e malandate scarpe che dopo il suo trattamento sembravano nuove di zecca.
Purtroppo i loro allievi non erano all’altezza dei maestri e poi, l’avvento della plastica ed il lievitare del costo degli affitti fecero sì che queste botteghe chiudessero i battenti una dopo l’altra, lasciando il posto ad alcuni anonimi negozi che nulla avevano in comune con la storia della vecchia grande Milano, quella col cuore in mano.
Tralascio, in quanto nelle vesti di novello Barbapedana ho già raccontato su questo ed un altro mio blog, il periodo delle elementari alla “Morosini”, il primo devastante bombardamento con successivo
trasferimento a Roma, il viaggio in Sicilia una volta che la nostra capitale venne liberata, ed il mio ritorno a Milano con la frequenza al Berchet dei 3 anni di scuola media e quindi, dopo la morte del nonno materno, nuovamente a Noto.
Ritornammo tutti a Milano nel 1954, una volta conseguito a Noto il diploma di maturità classica e mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Statale con sede presso la Ca’ Granda


allora ancora in parte restaurata e con le sole facoltà di Lettere antiche e moderne e, appunto, Giurisprudenza; per la verità l’inizio dell’anno accademico 1954-1955 avvenne presso l’Educandato Femminile di via della Passione – vicino al Conservatorio – ma i primi esami del giugno 1955 si tennero presso la Ca’ Granda a seguito della ultimazione di ancora pochissime aule.
Quattro anni passati in fretta assieme a colleghi splendidi sotto tutti i punti di vista, quattro dei quali divenuti in seguito professori ordinari della facoltà, uno di questi addirittura Presidente della Corte Costituzionale, noti avvocati penalisti e civilisti, e Giorgio Ambrosoli giustiziato per la sua onestà dalla mafia nonchè Franco Muscariello, provetto sub morto per embolia in mare greco, che assieme ad Enrico Visconti – di cui ho perso le tracce,- chi l’ha visto ? – erano i colleghi a me più cari.
E che dire del Tiziano Barbetta il quale, con il suo fare da tribuno, divenne per più di un mandato anche il Segretario dell’Ordine degli Avvocati.
Correndo per i corridoi del Palazzo di Giustizia se c’era un capannello di avvocati che discuteva animatamente, statene certi che in mezzo, al centro, c’era sempre lui.
E poi il Magnaghi, celeberrimo fuoricorso, terrore delle matricole e dei fagioli; quanti caffè e cicchetti di grappa e cognac ci scroccava, ma noi lo assecondavamo in quanto era oramai divenuto per giurisprudenza una vera e propria istituzione.
Un caso a parte, che meriterebbe di essere approfondito in altra sede, è quello di Sergio Spazzali che non era del nostro corso ma del successivo; essendo in pochi a frequentare l’Ateneo, ci si incontrava quasi tutti i giorni o nei corridoi o nell’atrio dove si svolgevano tutte le discussioni politiche che sollevavano le ire bonarie del vecchio portiere Fumagalli, una carissima persona a noi tutti molto vicina per la sua paterna pasienza.
Sergio era uno studente di sinistra in continua sbandata verso l’estremismo extraparlamentare, maoista convinto ma, nel gruppo, non dava alcuna impressione di essere un esaltato pur difendendo con passione le proprie idee.
Una volta conseguita la laurea ne persi le tracce ma non le notizie su di lui per i guai giudiziari da lui incontrati relativi alla sua attività di difensore appartenente al c.d.
“Soccorso rosso”.
Seppi che morì poi da esule in Francia nel gennaio del 1994.
Eravamo comunque un gruppo di amici coeso per tanti anni, coesione vieppiù cementata da una protesta collettiva, cui parteciparono anche gli studenti delle altre facoltà, nei confronti del Magnifico Rettore sen. De Francesco, ordinario di Diritto Amministrativo, per avere nel corso dell’anno accademico aumentato le tasse; per le conseguenze della chiusura del canale di Suez ci venne detto a giustificazione.
Protesta che sfociò da una parte con l’allora previsto “Ricorso Straordinario Amministrativo al Capo dello Stato”e , in maniera ben più clamorosa, nel bel mezzo della prolusione relativa all’inaugurazione dell’anno accademico 1966-1967, impedendo così la prosecuzione della cerimonia cui partecipano le maggiori autorità politiche e religiose.
Fu, a qual che venne scritto all’epoca, la prima “rivolta” studentesca che tuttavia non ebbe mai a degenerare;
il ricorso venne respinto a distanza di qualche anno ma l’aumento, per poter sostenere gli esami, ce lo tenemmo sul gobbo.
Un gruppo coeso nonostante le tendenze politiche diversificate perché, prima di tutto veniva il rispetto delle idee che ognuno di noi aveva maturato col tempo.
Anch’io avevo preso la strada dell’avvocatura sino a che un giorno ebbi la ventura di incontrare il nostro professore di Diritto del Lavoro che era anche Direttore Generale di una delle più importanti imprese di assicurazione italiane.
Mi riconobbe e mi chiese quale carriera avessi intrapreso; appreso che avevo superato il concorso statale per procuratore legale mi propose di andare a lavorare presso la sua Compagnia.
Così avvenne e per ben 36 anni ho passato la mia vita lavorativa sempre presso questa società, partendo dal giro di tutti gli uffici per poi passare in Direzione Generale con varie competenze di un certo impegno.
Alla fine del ciclo lavorativo passai all’ANIA come consulente per altri 6 anni.
Come non avere Milano nel cuore per tutto quello che mi ha dato !

Dovrei adesso ritornare sul discorso relativo a
N O T O
prendendo come punto di partenza il suaccennato articolo.
Ma, avendola fatta troppo lunga, mi sembra opportuno riprendere il discorso nel prossimo post.

segue

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