mercoledì, gennaio 16, 2008

La IAAF ed il caso Pistorius


LE OLIMPIADI
ed
il caso

PISTORIUS

Il veto pronunciato dalla International Association of Athletics Federations (IAAF ) nei confronti della richiesta di partecipare alle prossime Olimpiadi da parte di questo atleta diversamente abile,



ma munito di protesi in titanio ad entrambi gli arti inferiori, ha diviso sia l’opinione pubblica in generale che i giornalisti sportivi e non.
C’era d’aspettarselo, qualunque fosse stato il verdetto della massima autorità che governa l’atletica leggera mondiale.
Un quotidiano non sportivo, nella sua versione on line,
LA REPUBBLICA.IT
in data 14 gennaio, alle ore 12,35
ha aperto un sondaggio tra i propri lettori che dovevano esprimere il proprio parere favorevole o sfavorevole sulla decisione IIAF.
Sul numero pubblicato e distribuito alle edicole oggi i risultati del sondaggio, rilevato alle 23 di ieri, 15 gennaio, erano i seguenti:
l’84,4 % ha ritenuto come sbagliato il divieto in quanto
“non conta solo l’aspetto meccanico, anche perché compensa un forte handicap iniziale”;
il 15,6% lo ha ritenuto come giusto perché
“se la tecnologia avvantaggia un solo concorrente il risultato della gara viene falsato”.
Alle ore 08 di oggi, 16 gennaio leggo sul sito La Repubblica.it che il risultato del sondaggio aveva avuto un eccezionale capovolgimento delle opinioni, salvo che non si tratti di una erronea postazione dei dati; comunque il verdetto di 17.521 lettori era il seguente:
il 56% condivideva la decisione dell’IIAF,
il 39% era contrario,
il 5 % ha dichiarato il suo “non so”.
Ho praticato in Sicilia come atleta questo sport nelle varie competizioni scolastica sia a livello locale che provinciale;
ritornato a Milano, dopo il necessario corso con esami finali, sono divenuto nel 1956 membro del Gruppo Giudici Gare (GGG) del Comitato Regionale lombardo.
Un suo sostanzioso gruppo venne chiamato, me compreso, nel 1960 ad operare, in vari ruoli, alle Olimpiadi di Roma.
Ritengo che proprio questa Olimpiade moderna sia stata l’ultima, in parte, ma solo in parte, quella successiva di Melbourne, che abbia rispettato al 100% la regola decubertiana
secondo la quale
“ l’importante non è vincere, ma partecipare”.
A quei tempi il doping era ancora sconosciuto, agli atleti andavano per la partecipazione ai vari meeting solo un rimborso spese sulla base di un tariffario prestabilito dalle stesse Federazioni nazionali ed internazionali; qualche premio ci scappava in caso di un nuovo record, nazionale, europeo per noi, o mondiale, ma questi premi non andavano agli atleti bensì alle società di appartenenza che, in seconda istanza retrocedevano un quid anche al suo tesserato.
Oggi lo spirito delle Olimpiadi è diverso.
Create in Grecia, durante il loro svolgimento in quel Paese ogni conflitto veniva sospeso ed è per tale motivo che l’Olimpiade era stata considerata come l’unico valido strumento per fermare tutte le guerre in corso.
Oggi è solo un “business” per tutti: per le nazioni che le organizzano, per le varie Federazioni nazionali di Atletica Leggera e, soprattutto, per gli atleti.
Vincere una Olimpiade vuol dire sistemarsi economicamente per tutta la vita.
Il dilettantismo, che in base alle sue regole perseguiva ogni atleta che si prestava a fare – dietro compenso – della pubblicità a qualche prodotto comminandogli la squalifica a vita, è oramai un lontano ricordo; anche questo sport, definito come “puro”, per la sua eccellenza, si è lasciato contaminare dal denaro.
Si cominciò, per poter prevalere in questo sport, con assumere gli anabolizzanti per finire con droghe naturali o chimiche di qualsivoglia tipo.
Che differenza tra quella gazzella Wilma Rudolph e la Marion Jones di questi ultimi tempi, tra quell’antilope Livio Berruti, leggiadro in ogni suo movimento della corsa, ed i vari centometristi e duecentisti di oggi dalle muscolature supergonfiate; frutto solamente degli allenamenti ?!
Un’etica troppo difficile da sopportare; si diceva e si scriveva che l’atletica, ricalcando il pensiero decubertiano,

era uno sport in cui ogni atleta lottava contro se stesso, per superare i propri limiti e non contro i suoi contendenti; era questo il vero senso agonistico poichè anche chi arrivava ultimo nei cento metri vinceva la propria gara facendo fermare i cronometri sui 10”,8 centesimi contro il precedente primato personale di 10”,9.
Quella della domanda di Pistorius poteva essere l’occasione buona per ripristinare, sia pure in minima misura, una certa etica sportiva venduta da tutti per denaro.
Si poteva accoglierla facendolo partecipare per ora “fuori gara” con la riserva di valutare in maniera meno frettolosa la questione anche perché oggi ci sono pareri molto discordanti tra chi sostiene che le protesi siano per questo atleta un sicuro vantaggio e coloro che lo smentiscono.
Altri hanno affacciato l’ipotesi di introdurre una gara di corsa sui 300 metri, distanza questa che annullerebbe gli eventuali vantaggi derivanti a Pistorius, sicuramente penalizzato dalla partenza dai blocchi, nel correre l’ultima curva ed il rettilineo d’arrivo dei 400.
Fatto sta che ancora una volta un diversamente abile viene espulso da una decisione presa da “abili” forse solo fisicamente. Però largo ai dopati ed alle donne-uomini; mi sorge il dubbio che la prova del sesso, prevista dai regolamenti per le maggiori gare internazionali, non venga più disposta, ma forse mi sbaglio?
Sono stati cambiati i regolamenti che disciplinavano alcune competizioni per renderli aderenti al continuo progresso dei tempi; per esempio, nel salto con l’asta si è passati dall’asta di legno a quella di alluminio e quindi a quella di bambù che, in quanto pieghevole contribuisce a dare all’atleta nella fase d’ascesa una spinta maggiore atta a far raggiungergli limiti un tempo impensabili.
Certo la usano tutti gli atleti iscritti a questa gara ma, comunque, qui è stata data una diversa regolamentazione così come, all’incontrario, si è dovuto spostare il baricentro del giavellotto onde evitare misure astrali, oltre i cento metri, che, all’atterraggio, costituivano un grave pericolo per gli atleti, giudici, addetti agli attrezzi e pubblico.
Anche per Pistorius ed altri come lui che inevitabilmente usciranno allo scoperto in caso di una diversa futura decisione, i regolamenti possono essere cambiati in omaggio allo spirito di ribellione e di rivincita che nutrono contro il loro stesso stato; e proprio questo spirito che li spingono a vivere e ritenersi ancora degli uomini.

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