martedì, maggio 23, 2006

"la pesante eredità del cavaliere"

  • Dalla serie : “ Le pesanti eredità del quinquennio berlusconiano”

    1 - La legge n. 30/2003, alias la precarizzazione del mercato del lavoro

    A detta di tutti gli esponenti del centrodestra il più bello ed efficace fiore all’occhiello, tra i molti del cospicuo mazzo, del governo Berlusconi sarebbe il benefico effetto ottenuto nel campo occupazionale dall’entrata in vigore della legge Biagi, più correttamente attribuibile all’ex ministro del Welfare, il leghista Maroni, per i motivi che vedremo in prosieguo.
    Sono passati quasi tre anni da allora e, nonostante le mirabolanti cifre sparate a raffica in ogni occasione dall’ex capo del governo, al tirar delle somme le statistiche ci dicono che questa legge, così come licenziata dal Parlamento e poi applicata dalle imprese, si sia rivelata come un vero flop anche perché questa più volte elogiata legge è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico in maniera del tutto monca, essendo stata approvata solo parzialmente, mancando quella parte, molto importante, che dava alcune precise garanzie al lavoratore “precario”; mi riferisco alla totale assenza di alcuni istituti di sostegno a questa riforma del mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali, i quali, pur previsti nello studio del suo ideatore, sono stati del tutto ignorati volontariamente, vanificando in tal modo in maniera totale tutto l’impianto del progetto del compianto Prof. Biagi.
    Un edificio costruito senza fondamenta non poteva che crollare miseramente; ecco perché sarebbe più consono catalogare questa normativa come “legge Maroni”, responsabile del disastro causato nel campo occupazionale con la valida collaborazione di tutti i componenti del governo di allora e di chi poi l’ha votata in Parlamento.
    In buona sostanza, per comprendere il fine di questa riforma voluta fortemente dal “presidente operaio, impiegato ….” basterebbe, al di là delle negative cifre statistiche, riportare le dichiarazioni di alcuni studiosi e dei rappresentanti sindacali che si possono così riassumere: l’unica differenza apportata dalla legge 30/2003 è che mentre nel sistema previgente si poteva ricorrere al lavoro atipico solo in determinati casi alquanto eccezionali adesso le aziende possono ricorrere ai contratti di lavoro flessibili anche per l’ordinaria amministrazione.
    E’ certamente lecito chiedersi il perché vennero accantonati i surrichiamati ammortizzatori sociali senza i quali questa legge, stravolta nel suo spirito essenziale - quello di promuovere in contemporanea sia le agevolazioni alle imprese per il rilancio della nostra economia che, sia pure in misura minimale, gli interessi dei lavoratori esposti al rischio di un lavoro non a tempo indeterminato – alla fine si è concretizzata in una potente arma contro la parte più debole, quella dei precari.
    Molti ricorderanno come i primi due anni del governo berlusconiano furono letteralmente buttati via perché, in combutta con l’allora presidente di Confindustria Antonio D’Amato, si tentò di abrogare l’art. 18 della Legge 300 del 20 maggio 1970, meglio nota come lo Statuto dei Lavoratori (reintegrazione nel posto di lavoro da parte del giudice per licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo per imprese con più di 15 lavoratori) voluto fortemente dal ministro del lavoro e della Previdenza Sociale Giacomo Brodolini, che introdusse anche l’istituto della pensione sociale.
    La pressione del duo Berlusconi - D’Amato non sortì effetto alcuno ma la rivincita governativa non tardò tanto ad affermarsi perché il ministro Maroni subordinò la richiesta di discutere la riforma degli ammortizzatori sociali alla disponibilità sindacale a modificare proprio l’art. 18 di cui sopra !
    E dire che stavolta la Confindustria non ebbe a porre anch’essa questa pregiudiziale, preferendo nell’occasione assumere una posizione neutrale!
    Oltre all’introduzione della precarietà più becera avrebbero voluto anche la libertà di licenziare anche coloro che avevano un contratto di lavoro a tempo indeterminato !
    E’ intuivo come gli ammortizzatori sociali, opportunamente adattati alle innovative tipologie lavorative, fossero del tutto necessari in quanto questi strumenti di sostegno, che avrebbero dovuto garantire un reddito da lavoro quando questo non sarebbe stato percepito, in tutto o in parte, a causa della sospensione temporanea dell’attività, o quando fosse intervenuta, per motivi vari, la risoluzione del rapporto di lavoro; nella stessa denominazione di questi istituti sta la prova della giustezza di quanto prima osservato :
    cassa integrazione guadagni;
    contratti di solidarietà;
    indennità di disoccupazione;
    indennità di mobilità;
    fondo per lo sviluppo;
    lavori socialmente utili.
    Ma non è tutto perché, contrariamente a quanto avviene nel resto delle nazioni rientranti nel novero delle potenze industriali, in Italia si è proceduto nel senso opposto perché, assodato da parte del governo e delle forze imprenditoriali che il rilancio del nostro sviluppo dovesse avvenire attraverso un abbattimento dei costi, si è pensato subito a quello del lavoro; questa tendenza è andata generalizzandosi in tutti i settori produttivi ed a farne le spese sono stati naturalmente tutti i nuovi assunti; scelta per due volte scellerata perché da un lato ha contribuito ad aumentare il numero dei nuovi poveri e dall’altro ad una notevole diminuzione della domanda interna non contrastata da quella esterna per via dei costi dei nostri prodotti non opportunamente calmierati da iniziative governative con opportuni patti con le fonti di produzione.
    Già nel 2004 la precarietà si è abbattuta sulla testa del 70 % dei nuovi occupati ed ad marzo di quest’anno i lavoratori atipici ammontano a circa 4 milioni, così suddivisi a seconda della tipologia del contratto di lavoro applicato:
    · 1.177.000 sono i collaboratori coordinati e continuativi e a progetto;
    · 106.000 sono i collaboratori occasionali;
    · 311.000 sono i collaboratori con partita Iva;
    · 502.000 sono gli assunti (ex interinali) con contratti di somministrazione;
    · 400.000 sono gli associati in partecipazione;
    · 1.599.000 sono i lavoratori a tempo determinato.
    La precarietà nel lavoro è sempre più femminile e adulto:
    l’occupazione femminile in un lavoro stabile ha un tasso del 36 % di tutti gli occupati mentre nel lavoro discontinuo è del 49,2 %.
    Suddivisi per età si nota come;
    il 68% dei collaboratori ha un’età compresa tra i 30 ed i 50 anni e solamente il 21 % ha meno di 30 anni.
    I collaboratori, specie nel privato, lavora più di 38 ore la settimana, superiore agli standars normali e nonostante questo pluslavoro, il 46 % ha una retribuzione inferiore ai 1.000 euro al mese mentre il 25 % meno di 800 euro.
    Un recentissimo sondaggio lanciato dall’Eurispes ha rilevato come il 37,8 % degli italiani -la metà di età compresa tra i 25 e 34 anni - si trasferirebbe molto volentieri all’estero dove si trovano maggiori opportunità di lavoro e di guadagno.
    Questo il quadro dolente determinato dall’introduzione della flessibilità del lavoro ma non ci si ferma qui perché non è valsa nemmeno ad abbattere il c.d. lavoro sommerso che, invece, in tre anni, dal 2002 al 2005 è cresciuto !
    Prova ne sia, proseguendo con le cifre statistiche che:
    il lavoro autonomo irregolare è passato dal 15,7 al 16,2;
    il lavoro dipendente irregolare è passato dal 26 % al 27,9.
    E’ dove sta lo scandalo se il nuovo governo di centrosinistra si è proposto di rivedere questa legge che ha, per vari motivi che esamineremo più sotto, prodotto effetti devastanti sia verso i lavoratori che verso le stesse imprese e quand’anche la stessa Confindustria ha rilevato come alcune forme contrattuali promosse da questa legge siano quasi del tutto inutilizzate ?
    Dati statistici confindustriali ci dicono che:
    · ben poche delle 42 nuove forme contrattuali previste dalla legge 30 sono utilizzate dalle imprese per “la eccessiva flessibilità introdotta dal sistema”;
    · solamente il 2,2 % delle imprese ha fatto ricorso ad alcune forme contrattuali previste dalla legge 30, quali il lavoro condiviso e quello a chiamata?
    Ma vediamo come questa legge sia punitiva nei confronti dei lavoratori “precari” – l’abbiamo già accennato – sino al punto da rivoltarsi a danno delle stesse imprese.
    Due sono i punti problematici da rivedere e sciogliere, ammortizzatori sociali a parte:
    1. il trattamento dei lavoratori precari
    In termini di convenienza economica è regola universalmente riconosciuta che al maggior rischio della posizione contrattuale corrisponda, a favore del lavoratore, una maggiore contropartita economica; in Italia si sta assistendo al fenomeno opposto ed in più ad un peggioramento, rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, del trattamento in tema di diritti, specie nel campo dei contributi sociali e previdenziali – che condizionano a fine carriera l’ammontare della pensione - e tutela di legge per le malattie, infortuni, maternità, ecc.
    Così si spiega che ricercatori anche di elevate capacità si rivolgano al mercato estero dove sono trattati economicamente in maniera decente e dove vi sono laboratori in grado di esperire ricerche, con l’ausilio di macchinari aggiornati alta più avanzata tecnologia, nel campo industriale, energetico, medico e farmaceutico.
    In Italia in questo quinquennio non si è pensato ad altro, anno dopo anno, che a tagliare le risorse per le ricerche scientifiche.
    2. l’efficienza delle imprese
    Non occorre molto per comprendere che un lavoratore assillato da mille problemi nel quotidiano – impossibilità quasi totale di accendere mutui, retribuzione alquanto insufficiente a sbarcare il lunario, difficoltà di crearsi una propria famiglia, ecc… - e proiettati nel futuro – come andrà a finire ? troverò un’altra occupazione ? – rende molto meno di un altro che sa di avere un posto certo e duraturo.
    Molti vedono proprio in questi due nodi da sciogliere al più presto il più importante dei motivi che ha contribuito alla deludente crescita della produttività del lavoro da qualche anno a questa parte con la conseguente perdita di competitività delle nostre imprese.
    Il passato “attaccamento ai colori dell’azienda” è per i più un sentimento del tutto sconosciuto, il reiterarsi nel tempo di lavori precari alla fine toglie ad ogni lavoratore quel
    minimo di slancio verso l’arricchimento professionale che costituiva per il datore di lavoro un riflesso vantaggio in termini di bontà di risultati economici.
    La morale di quanto sopra scritto ? Abbiamo:
    · giovani preoccupati per il loro futuro, circostanza questa gravissima sotto tutti i punti di vista;
    · calo devastante per le nostre imprese dei consumi e, quindi calo impressionante della produzione di beni e sevizi;
    · gli investimenti hanno raggiunto l’anno zero;
    · aumento della povertà;
    · mancanza di fiducia nelle istituzioni dello Stato.
    Non si dovrebbe da parte del centrosinistra mettere subito mano su questa problematica ?
    Viene difficile capire il perché, salvo che chi continua a lanciare “urbi et orbi” queste opinioni non sia un disfattista di professione
    Purtroppo nell’eredità lasciataci da “l’apostata delle istituzioni repubblicane” c’è ancora dell’altro ancor più oneroso per noi tutti:
    Ve lo racconterò quanto prima proprio per “il dovere di comunicare”.


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