domenica, aprile 08, 2007

il suicidio di Matteo

"DOVEVAMO SAPERTI ASCOLTARE"
Così inizia un articolo senza firma pubblicato oggi su un noto quotidiano a distribuzione nazionale che ci racconta lo svolgersi del funerale del sedicenne MATTEO, suicidatosi a Torino per essere stato per lungo tempo dileggiato dai suoi compagni di classe e di scuola perchè ritenuto un "gay".
Ad evento irrimediabilmente concluso in maniera tragica la famiglia e tutta la comunità torinese, assieme a quanti di noi rimasti esterrefatti per il gesto suicida del povero Matteo Maritano, determinato da un perverso continuo linciaggio morale, ha perso un ragazzo, uno studente sedicenne tra i migliori in quanto a profitto dell'istituto da lui frequentato, forse dal carattere un po' chiuso probabilmente perché isolato dai suoi stessi compagni di classe, proprio quelli che da tempo non trovavano far di meglio che usare nei suoi confronti, in tono dispregiativo e nel contempo accusatorio, il termine "gay".
Quegli stessi ragazzi, più o meno della sua stessa età, i quali, non fosse altro che per quel legame di colleganza che sarebbe dovuto maturare nei loro animi per aver condiviso assieme una parte dei migliori anni della loro esistenza nella stessa classe o scuola.
I miei migliori amici li ho trovati proprio tra i banchi di scuola, anche nelle ampie sale universitarie frequentate allora da pochi, avendo la frequenza obbligatoria solamente per alcune materie base; nei vari istituti di specializzazione poi si lavorava sodo assieme nelle ricerche e l’amicizia ebbe a cementarsi maggiormente, continuando nella vita professionale e privata.
Qualcuno nel frattempo è deceduto o per incidenti o per malattie incurabili; la notizia della loro morte procurò ai noi sopravvissuti un forte dolore perché era morto non un collega ma un nostro fratello.
Ai nostri tempi, anche se si aveva idee ed orientamenti politici diversi, discutevamo, ci si sosteneva vicendevolmente nei momenti di difficoltà perché era la persona umana al centro della nostra cultura il resto contava poco o nulla.
E’ molto raro trovare nel contesto sociale di oggi quei vecchi valori che ebbe a contraddistinguere la nostra giovanile epoca studentesca in quanto adesso le mire, costi quel che costi, sono completamente diverse: il denaro, la sopraffazione, spesso anche la frode pur di essere considerati importanti e, non avendo alcun merito personale da poter propagandare, per superare l’avversario si usa l’arma della denigrazione, la violenza morale ed anche quella fisica.
Tutto ciò frutto non solo di una mancanza di dialogo, da qui l’incomprensione del proprio prossimo, od il non voler comprendere che un uomo non potrà mai essere eguale ad un altro perché al mondo non esistono due cervelli umani identici tra di loro al 100%; anche alcune piccole differenze fanno sì che due soggetti abbiano sentimenti e valori che solo apparentemente si eguagliano ma che in realtà si diversificano anche sulla base della cultura che si riesce ad accumulare: c’è modo e modo di amare, di stimare una persona, di odiare, c’è una diversa modalità con la quale si mette a frutto, sul piano pratico, quanto si è imparato dai libri e dalla vita.
I giovani oggi sono purtroppo dei facili bersagli in mano a chi ha la capacità di manovrarli a dovere, inculcando loro certe tendenze che mirano scientemente a confonderli per poter poi distoglierli dalla verità, dal ragionamento, da quel senso critico che fa ben discernere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il lecito dall’illecito.
Non a caso, presi singolarmente, ragionano in un modo ma, in gruppo, anche i più timidi, cercano a modo loro il riscatto e di divenire dei protagonisti, ricalcando, nel loro dire e nel loro comportamento fattivo, esempi che pervengono loro attraverso parole e comportamenti di personaggi poco raccomandabili ed anche da importanti soggetti operanti in seno alla nostra vita pubblica.
Ma il
“DOVEVAMO SAPERTI ASCOLTARE”
giunge oramai troppo tardi.
Cosa resta a questi giovani adesso; forse solo il rimorso di non aver fatto in modo di ascoltare quel qualcosa di buono che alberga in fondo all’anima di ogni essere umano; non tutti oggi, per una serie di ragioni, ne sono capaci a causa di una perversa deviazione dei valori essenziali della loro vita.
Il rimorso, ammesso che sia effettivamente sincero e non derivi da uno stato d’animo contingente al doloroso momento dei funerali, come le lacrime dei coccodrilli dopo aver mangiato la loro preda, permarrà su di loro per tutta la vita; è questa la prima dura punizione che subiranno vita natural durante e, una volta acclarati i fatti e le singole responsabilità, giungerà anche la seconda, quella della giustizia degli uomini.
La dilagante omofobia, divenuta oramai uno dei punti di lotta dell’opposizione di destra contro l’attuale Governo così come altri incomprensibili atteggiamenti verso i “diversi”, appare oggi ai miei occhi come la medioevale caccia alle streghe con tanto di processi sommari che si concludevano con la condanna a pene rigorose e spesso persino a quella di morte.
Di tutto ciò ne parleremo la prossima volta anche perché a suo tempo, imbattendomi in due casi di processi clamorosi, ebbi a scrivere per una amica, giornalista ed insegnante, un qualcosa su un articolo del Codice Penale che, una volta dichiarato incostituzionale dalla Consulta e quindi decaduto, tre senatori del centrodestra nel corso della scorsa legislatura avevano tentato di riesumarlo, sotto mentite spoglie, presentando nel 2004 altrettanti disegni di legge, poi riuniti in uno solo, per la reintroduzione nel codice penale di quel reato che, pur diversamente rubricato, manteneva, a mio giudizio, le stesse caratteristiche di quello non più vigente.
E’ la storia del reato già previsto e punito dall’art. 603 C.P. (Plagio) e del suo surrogato art. 613 bis – (Manipolazione mentale) con spostamento della nuova fattispecie di reato dal Capo III: dei delitti contro la libertà individuale- Sezione I: Dei delitti contro la personalità individuale in cui figurava il Plagio alla Sezione III: Dei delitti contro la libertà morale.
Fortunatamente questa proposta unificata, pur essendo stata approvata in Commissione giustizia, giace da oltre due anni in qualche polveroso scaffale del Senato della Repubblica in attesa del suo passaggio, se mai avverrà, in aula.

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