IL BULLISMO
I ^ parte : nella comunità locale
II^ parte: nella scuola
III^ parte: casi particolari
IV^ parte: proposte e provvedimenti
I ^ parte : nella comunità locale
II^ parte: nella scuola
III^ parte: casi particolari
IV^ parte: proposte e provvedimenti
I^ parte
Il bullismo nella comunità locale
Il bullismo nella comunità locale
Il termine “bullismo” deriva dal sostantivo inglese
bully
che, usato inizialmente per definire il comportamento di un soggetto, per lo più di giovane età, che in determinate e circoscritte occasioni assumeva, al solo fine di potersi distinguere dagli altri facenti parte della sua comunità, un atteggiamento da “spaccone”: uno spavaldo all’ennesima potenza, ma, fondamentalmente, buono d’animo.
Eminenti psicologi individuano le cause scatenanti di questo tipo di comportamento del tutto anomalo rispetto alle norme di una normale e civile convivenza all’interno di una comunità, nelle carenze di cure ed affetti appropriati sofferti sin dalla prima infanzia dai soggetti da loro esaminati.
Se ne può dedurre, in definitiva, che mentre da un lato crescono bambini capaci di primeggiare per intelligenza, per efficienza fisica e per cultura dall’altro ve ne sono alcuni che, nell’incapacità di mettere in mostra doti oggettivamente encomiabili, tentano di attirare l’attenzione di chi li circonda con atti “prepotenti”.
Il vecchio dualismo tra la ragione e la forza ben definito sin dai tempi antichi da un uomo di diritto qual’era Cicerone.
Penso che, data la natura di noi esseri umani, fenomeni di questo tipo, pur diversamente definiti nel corso dei secoli passati, siano esistiti da sempre.
Riandando indietro nel tempo di una quarantina d’anni, mi sono ricordato di alcuni episodi , allora considerati di estrema gravità, ma che a confronto di quanto accade oggi sembrano solo delle sciocchezze: mi riferisco all’imbrattamento, con scritte o con disegni, dei muri da parte di alcuni scolari o studenti, durante la ricreazione allorché la stessa si svolgeva all’esterno delle aule, nei giardini recintati facenti parte dell’area scolastica.
Alle lamentele ed accuse dei direttori didattici e dei presidi nei confronti dei genitori degli imbrattatori veniva risposto dagli psicologi che si trattava di fenomeni dovuti al senso di solitudine che incombeva su questi bambini o giovani ragazzi e che, quindi, gli atti compiuti rappresentavano l’unico modo, sia pure anomalo ed eclatante, per richiamare su di loro l’attenzione sia dei compagni che del corpo insegnante ed ausiliario.
Latitava, a conti fatti, il ruolo della famiglia.
Erano questi bambini i predecessori dei c.d.
“WRITER”
i quali oggi, se non fosse che come campo operativo prediligano pareti o muri di cinta appena sbiancati, con scritte imbecilli, con disegni orribili ovvero ancora con composizioni effettivamente apprezzabili, ritengono di dare sfogo alla loro creatività artistica sia con pennelli, molti dei quali d’occasione o con bombolette spry
bully
che, usato inizialmente per definire il comportamento di un soggetto, per lo più di giovane età, che in determinate e circoscritte occasioni assumeva, al solo fine di potersi distinguere dagli altri facenti parte della sua comunità, un atteggiamento da “spaccone”: uno spavaldo all’ennesima potenza, ma, fondamentalmente, buono d’animo.
Eminenti psicologi individuano le cause scatenanti di questo tipo di comportamento del tutto anomalo rispetto alle norme di una normale e civile convivenza all’interno di una comunità, nelle carenze di cure ed affetti appropriati sofferti sin dalla prima infanzia dai soggetti da loro esaminati.
Se ne può dedurre, in definitiva, che mentre da un lato crescono bambini capaci di primeggiare per intelligenza, per efficienza fisica e per cultura dall’altro ve ne sono alcuni che, nell’incapacità di mettere in mostra doti oggettivamente encomiabili, tentano di attirare l’attenzione di chi li circonda con atti “prepotenti”.
Il vecchio dualismo tra la ragione e la forza ben definito sin dai tempi antichi da un uomo di diritto qual’era Cicerone.
Penso che, data la natura di noi esseri umani, fenomeni di questo tipo, pur diversamente definiti nel corso dei secoli passati, siano esistiti da sempre.
Riandando indietro nel tempo di una quarantina d’anni, mi sono ricordato di alcuni episodi , allora considerati di estrema gravità, ma che a confronto di quanto accade oggi sembrano solo delle sciocchezze: mi riferisco all’imbrattamento, con scritte o con disegni, dei muri da parte di alcuni scolari o studenti, durante la ricreazione allorché la stessa si svolgeva all’esterno delle aule, nei giardini recintati facenti parte dell’area scolastica.
Alle lamentele ed accuse dei direttori didattici e dei presidi nei confronti dei genitori degli imbrattatori veniva risposto dagli psicologi che si trattava di fenomeni dovuti al senso di solitudine che incombeva su questi bambini o giovani ragazzi e che, quindi, gli atti compiuti rappresentavano l’unico modo, sia pure anomalo ed eclatante, per richiamare su di loro l’attenzione sia dei compagni che del corpo insegnante ed ausiliario.
Latitava, a conti fatti, il ruolo della famiglia.
Erano questi bambini i predecessori dei c.d.
“WRITER”
i quali oggi, se non fosse che come campo operativo prediligano pareti o muri di cinta appena sbiancati, con scritte imbecilli, con disegni orribili ovvero ancora con composizioni effettivamente apprezzabili, ritengono di dare sfogo alla loro creatività artistica sia con pennelli, molti dei quali d’occasione o con bombolette spry
A latere di queste espressioni comportamentali, ritenute generalmente come anomale ma non di più, è andata parallelamente a svilupparsi un altro tipo di moda di alto grado tecnologico, divenuto poi per alcuni di essi più che un hobby, un vero e proprio atto criminale; alludo a quella messa in atto dagli
“HACKER “
a danno degli utenti di sistemi telematici attraverso l’invio di virus che causano il blocco dei computer con il danneggiamento del software e la perdita dei dati raccolti.
Ma queste due sono forme di atteggiamenti che, pur causando danni da un punto di vista economico, notevoli quelli conseguenti all’opera degli hacker, non incidono fisicamente sulle persone destinatarie delle loro azioni bensì, sia pure negativamente, al loro portafoglio.
Solo per affinità della tipologia del danno causato, sia pure su piani nettamente diversi, ho fatto accenno, spingendomi avanti nel tempo, agli hacker, ritenendo invece che il tema che oggi è divenuto scottante sia quello relativo all’altro tipo di danno causato, quello alle persone fisiche.
Riprendo adesso la continuità cronologica dell’evolversi del bullismo.Ma queste due sono forme di atteggiamenti che, pur causando danni da un punto di vista economico, notevoli quelli conseguenti all’opera degli hacker, non incidono fisicamente sulle persone destinatarie delle loro azioni bensì, sia pure negativamente, al loro portafoglio.
Solo per affinità della tipologia del danno causato, sia pure su piani nettamente diversi, ho fatto accenno, spingendomi avanti nel tempo, agli hacker, ritenendo invece che il tema che oggi è divenuto scottante sia quello relativo all’altro tipo di danno causato, quello alle persone fisiche.
Evidentemente, col tempo, soprattutto con il crescere di grado di una certa tolleranza del sistema educativo nei confronti di siffatti comportamenti giovanili non proprio aderenti ad un livello medio di educazione civile, questo termine venne usato per indicare tutti quegli atti attraverso i quali da parte di singoli o di gruppi si soleva tiranneggiare nei confronti di determinati amici, conoscenti occasionali, compagni di scuola, emeriti sconosciuti ritenuti dei deboli ovvero a compiere atti vandalici su ogni cosa capitasse loro sottomano, specie appartenente all’intera comunità in quanto di proprietà pubblica.
E’ provato come tra giovani si realizzi facilmente il senso dell’emulazione per cui la naturale conseguenza dell’allentarsi dei freni educativi non poteva che procurare inevitabilmente il formarsi nei vari quartieri delle città alcuni gruppi di “prepotenti”, violenti per natura.
Costoro vennero presto affiancati da altri soggetti che, sebbene di indole mite, ritennero di doversi confondere con gli altri o per non essere dileggiati dagli amici o per liberarsi finalmente da quel complesso di inferiorità acquisito sin dalla nascita: e così nasce il
“BRANCO”.
Da qui l’inizio di una serie di atti che secondo la loro mentalità - oramai irrimediabilmente tarata dalla visione di films, programmi TV dove la violenza costituiva il tema principale - venivano ritenute delle semplici digressioni dal senso di noia provocato dal quieto vivere; per loro costituivano delle bravate anche quegli atti che in realtà integravano reati penalmente perseguibili.
Costoro vennero presto affiancati da altri soggetti che, sebbene di indole mite, ritennero di doversi confondere con gli altri o per non essere dileggiati dagli amici o per liberarsi finalmente da quel complesso di inferiorità acquisito sin dalla nascita: e così nasce il
“BRANCO”.
Da qui l’inizio di una serie di atti che secondo la loro mentalità - oramai irrimediabilmente tarata dalla visione di films, programmi TV dove la violenza costituiva il tema principale - venivano ritenute delle semplici digressioni dal senso di noia provocato dal quieto vivere; per loro costituivano delle bravate anche quegli atti che in realtà integravano reati penalmente perseguibili.
massi dai cavalcavia e
aggressioni di gruppo
per non parlare poi degli scippi, delle estorsioni effettuate sotto minaccia di guai fisici per ottenere denaro, cellulari o giacconi griffati, di atti sessuali effettuati in gruppo su delle minorenni e via di seguito.
Fine I^ parte
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