domenica, settembre 24, 2006
Gli schiavi di campo
Gli “schiavi di campo”
Oltre ai clamorosi “buchi” nei conti pubblici dal governo di centrodestra abbiamo ereditato un’altra piaga, come poterla definire diversamente, quella del “lavoro irregolare”.
Quanto è andato evidenziandosi a seguito di indagini svolte sia dalle Forze dell’Ordine, a ciò delegate da varie Procure della Repubblica, che dalle stesse Organizzazioni sindacali – CGIL, CISL, UIL – non è un fenomeno di modeste dimensioni, un’eccezione alla regola generale bensì, come vedremo, una colossale serie di violazioni di un vasto arco di leggi particolari che vanno da norme di natura economica, fiscale e contributiva a quelle del diritto umanitario sancito dalla nostra Costituzione, dalla Convezione europea sui diritti dell’uomo e, prima fra tutte, da quella voluta e sottoscritta dalle nazioni aderenti all’ONU una volta conclusa la seconda guerra mondiale.
Violazioni a tutto vantaggio di personaggi, che non è iperbolico definire come schiavisti, a svantaggio dello Stato, cioè di tutti noi, sia economicamente che come immagine.
E’ bene precisare, prima di addentrarci nel mondo dei numeri e degli eventi venuti alla luce ultimamente, come il fenomeno in parola presenti varie sfaccettature rappresentanti un’ampia gamma di situazioni irregolari le quali, pur diverse l’una dall’altra, hanno tutte come comune denominatore lo sfruttamento dell’uomo in quanto lavoratore.
Ma ecco le cifre estrapolate dallo studio delle tre Confederazioni sindacali sul c.d. “lavoro nero”.
In Italia abbiamo ben 4milioni di donne e di uomini che lavorano in nero o con contratti dichiarati parzialmente, per esempio il far passare un contratto di lavoro a tempo pieno come a tempo parziale; viene così naturale dedurre che ad una siffatta situazione conseguano due negative fenomenologie, la prima relativamente all’evasione fiscale e previdenziale mentre la seconda attiene alla sicurezza del lavoro.
Lo studio più sopra richiamato indica come l’economia sommersa produca tra il 15,9 ed il 17,6 % del Prodotto Interno Lordo (PIL) per un valore minimo di 170miliardi di euro annui e, come conseguenza, un’omissione di versamenti fiscali e contributivi pari a:
72miliardi di euro annui di base imponibile IRAP;
1,9miliardi di euro annui come base imponibile IRPEG;
16,5miliardi circa di euro anni in favore dell’INPS e dell’INAIL.
Cifre strabilianti che, aggiunte a quelle del debito pubblico, fanno divenire come necessari alcuni drastici tagli sulla spesa pubblica che, direttamente ed anche indirettamente, ci vedremo costretti a sopportare sin dal prossimo anno.
La latitanza dello Stato nell’ultimo quinquennio in questo campo è stata scandalosa; il passato governo se n’è lavate le mani ritenendo, erroneamente, che con la promulgazione della legge impropriamente, perchè monca rispetto al progetto iniziale, chiamata BIAGI
Infatti l’illustre defunto ideatore della riforma dei contratti di lavoro aveva previsto a latere di questa normativa, ma non per questo meno importante anzi essenziale, la contemporanea istituzione di altri provvedimenti rientranti nel novero dei c.d. “ammortizzatori sociali” che il centrodestra non si è nemmeno sognato di creare; un esempio fra tutti, l’erogazione per un certo periodo di tempo di un salario o di uno stipendio minimo al lavoratore subordinato che, finito il contratto a termine o a progetto, fosse in attesa di iniziare un altro rapporto di lavoro.
Questi ammortizzatori avrebbero dovuto rendere meno “indigesta e punitiva” per chi entrava per la prima volta nel mondo del lavoro la nuova normativa di stampo USA dove però le condizioni e le opportunità di trovare rapidamente un’occupazione sono del tutto diverse dalle nostre in quanto un lavoratore trova facilmente una prima od una nuova assunzione presso un diverso datore di lavoro.
Ma qualcosa, ancor poco per la verità se raffrontato all’ampiezza del fenomeno elusivo così come più sopra illustrato, si sta muovendo soprattutto con mirati controlli anche per il recente reiterarsi di luttuosi infortuni sul lavoro sui quali mi sono già intrattenuto lo scorso mese con altro studio.
Un blitz della Guardia di Finanza contro il lavoro sommerso in 93 cantieri edili di Roma e provincia, ha messo in luce un fitto sottobosco di illegalità e lavoro nero.
Su 598 lavoratori circa il 59% era irregolarmente assunto, per un totale di 353 dipendenti: 191 "irregolari", poichè seppur assunti risultavano di fatto impiegati a tempo pieno anziché parziale, con la conseguenza che i relativi contributi previdenziali e assistenziali venivano liquidati e versati solo in parte dal datore di lavoro; mentre 162 completamente "in nero", impiegati in maniera occulta. Tra questi ultimi 88 erano italiani, 58 romeni, 6 moldavi e ancora macedoni, polacchi, cinesi, etiopi e albanesi. Come si nota non è solo un problema di manodopera offerta a clandestini.
I loro dati identificativi non risultavano neanche censiti nelle scritture obbligatorie ai fini previdenziali (libro matricola e libro paga) e pertanto in evasione di ogni forma di contribuzione di competenza nel settore di lavoro.
Le Fiamme Gialle, inoltre, nei primi sette mesi di quest’anno hanno individuato, nei cantieri edili di Napoli e provincia, 790 lavoratori assunti in nero di cui 232 gli irregolari e 28 gli evasori totali, cioè persone che non hanno presentato le dichiarazioni dei redditi e si sono sottratte a tutti gli obblighi fiscali e contributivi.
Conforta la circostanza che le indagini proseguono alacremente.
Molti altri casi non sono sfuggiti alla Forze dell’Ordine e sono stati ampiamente riportati da alcuni quotidiani e settimanali anche se, tra le tante vicende scoperte, due mi hanno colpito particolarmente.
La prima, emersa su denuncia risalente al marzo 2005 da parte della meritoria organizzazione di “Medici Senza Frontiere”, interessante la bidonville di Cassibile (SR) dove centinaia di immigrati clandestini, circa trecento, “gestiti” da immigrati marocchini residenti da tempo nella zona, per un tozzo di pane raccoglievano patate dall’alba al tramonto, vivendo in condizione di vita disumane.
Ma perché sin d’allora da parte del governo di centrodestra non venne mossa foglia così consentendo ai proprietari delle aziende agricole di collezionare una serie di affari d’oro anche per la concomitanza di una eccezionale produzione di questo tubero.
Un incendio scoppiato in questa bidonville ha impresso la parola fine a questo sfruttamento.
La seconda ha come teatro la Capitanata ed il Tavoliere delle Puglie ed è relativa, rispettivamente, alla raccolta del pomodoro e dell’uva.
Incominciamo con la raccolta del pomodoro per la quale, su disposizione del neo-ministro Cesare Damiano, un’operazione congiunta tra le Forze dell’Ordine ha portato alla luce la circostanza che su 150 aziende agricole ben 84 – pari al 56 % del totale – facevano lavorare persone reclutate irregolarmente, in barba alle legge.
Su 1.040 “contadini schiavizzati” accertati 672 erano italiani, 200 gli immigrati extracomunitari e 168 neocomunitari ma la maggioranza di loro aveva accettato di lavorare senza alcun contratto scritto e sottoscritto; da qui la denuncia dei titolari delle 84 aziende all’Autorità Giudiziaria e la contestazione di 110 violazioni amministrative comportanti multe per un importo di 55.000 euro ed ammende comportanti esborsi per 465.000 euro.
Ma la bagarre continua poiché molti non si rassegnano a lasciare definitivamente la “gallina dalle uova d’oro”, il guadagno derivante dallo sfruttamento della manodopera clandestina e non.
Passiamo ai vigneti; a conclusione di un’operazione concordata tra la Polizia di Stato e la Direzione Provinciale del Lavoro di Foggia, il Commissariato di San Severo ha denunciato 5 imprenditori agricoli per sfruttamento di manodopera clandestina mentre altri 11 proprietari terrieri hanno avuto la stessa sorte nel corso di una seconda operazione.
Si sussurra comunque da più parti che alla base di questo illegale reclutamento vi sia in Puglia lo zampino della malavita organizzata; 15 braccianti polacchi sono stati trovati morti e su questo episodio sta indagando la Direzione Distrettuale Antimafia che, per altri episodi di sfruttamento, ha disposto già in questi mesi più di 20 arresti.
Certamente esiste e fermenta in loco un grave problema sociale perché mentre la manodopera locale italiana guadagnava 40 euro al giorno, pur lavorando duramente e per molte ore, quella clandestina si accontenta della metà con profitto da parte dei caporali.
L’augurio è che queste iniziative di controlli a tappeto diventi un deterrente atto ad evitare questa tratta di braccia di lavoro.
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